Esistono parole indispensabili per capire un luogo o
un’epoca. Se togliamo “Dio” dal Medioevo non capiremo più niente di quel
periodo, così come se togliessimo il sostantivo “denaro” non comprenderemo
praticamente nulla della modernità. A Pistoia se eliminassimo la parola
“Vivaio” potremo conoscere ben poco di questa ridente cittadina toscana seduta
fra la Piana dell’Ombrone, la Valdinievole e l’Abetone. E pensare che i romani
gli avevano rifilato un nome curioso, “Pistores”, ovvero “impastatori di pane”
dal gran numero di forni presenti in loco. Ma un giorno del 1849 Antonio
Bartolini, giovane giardiniere pistoiese, si mise a coltivare piante
ornamentali ben presto imitato da molti concittadini creando un indotto non
casuale, bensì frutto di una cultura secolare che affondava le radici nella
storia regionale, dove i parchi delle grandi ville, già dal tempo dei Medici,
erano modelli per i più importanti giardini europei. L’attività si allargò ben
presto agli agricoltori della zona e il vivaismo resta la maggiore fonte di
reddito e di lustro assieme agli stabilimenti Breda. Va da se che lo sviluppo
economico di Pistoia nell’ambito del vivaismo produsse, se vogliamo restare in
tema, anche un'altra pianta ornamentale che a poco a poco andò germogliando
nelle simpatie ossia il Pistoia Football Club il quale fece la sua comparsa per
la prima volta nel 1911, ne è testimone un breve articolo apparso sul periodico
“Il Popolo Pistoiese” di domenica 26 marzo: "Sappiamo che pure nella nostra
città, ad iniziativa di un gruppo di appassionati del giuoco del calcio, si è
costruita in questi giorni la società Football Club Pistoia, avente appunto lo
scopo di sviluppare fra la nostra gioventù anche questo utilissimo e
dilettevole sport, che fino ad oggi non fu da noi per niente conosciuto e
praticato". Insomma all’ombra del campanile di San Zeno quelle zuffe dietro a
un pallone avevano fatto breccia nel cuore della gente. Merito di Francesco
Vallecorsi, giovane impiegato della “San Giorgio” che aveva messo insieme un
manipolo di ragazzotti dalla buona pedata. Un calcio da primi vagiti, ci
mancherebbe, pionieristico, come si evince da foto e disegni d’epoca,
ricostruzioni di competizioni improvvisate e cronache di derby turbolenti
dipanatosi dapprima nello squadernato, empirico, Campo Marzio (odierna piazza
della Resistenza) e successivamente nel piccolo impianto detto di Monteoliveto
(in onore del monastero olivetano, tenutario per secoli di quel terreno poi
passato a tale Ciro Papini primo presidente della squadra) dove furono disputate,
cito freddo da almanacco, 582 gare
ufficiali di campionato, di cui l'ultimo incontro Pistoiese- Rimini datato 20
novembre 1966 vinto 1-0 dai padroni di casa con un goal di Bertucco a quattro
minuti dal termine. Monteoliveto restò matrice d'antologia, la struttura non
poteva essere più adattabile alle esigenze dei tempi con quella tribunetta in
legno adagiata sulle mura trecentesche del centro, e un’altra quella dei
cosiddetti “popolari” vicino agli spogliatoi ricavati da una vecchia stalla.
Non bastasse tutto ciò nel 1947 ci era stato costruito intorno un velodromo nel
quale si esibirono nell’entusiasmo genuino della folla anche Fausto Coppi e
"Ginetaccio" Bartali. Ma il calcio a Pistoia necessitava di uno
stadio maggiormente all’altezza e allora il 25 giugno 1966 con una partita
amichevole di pregio tra la Pistoiese e il Vasco de Gama, si inaugurerà il
“Comunale”. Poca roba sia chiaro, una tribuna principale e poi sul lato opposto una
gradinata stavolta quantomeno in cemento. Per i
fasti servirà attendere Marcello Melani, uomo tutto di un pezzo, di origini
decisamente povere, di quelli con i genitori dalla valigia di cartone immigrati
verso il Nord dove lui farà le proprie fortune negli anni '50-'60. Ebbe un paio
di mogli, la seconda delle quali aveva discreti interessi nel settore
petrolifero. Si fece ben presto conoscere con l'appellativo di
"Faraone" grazie alle sue mutate facoltà economiche e dopo un
interessante connubio con la società del Valdinievole diventerà presidente
della Pistoiese nel 1974 succedendo a Oriano Ducceschi perseguitato e contestato dalla tifoseria a casusa degli scarsi risultati conseguiti dalla squadra.
Dopo un anno di sommovimenti burocratici Melani dichiarò che in 5 anni, partendo dalla
Serie D, avrebbe portato la squadra in Serie A e tutti gli diedero
eufemisticamente del "visionario", in toscana si traduce con bischero
o coglione a seconda dei gusti. Nella realtà dei fatti, sbagliò la sua
previsione di una sola stagione. Nel 1980 dopo novanta minuti di tacito patto
di non aggressione con il Lecce, la
Pistoiese dei vecchietti, del regista Mario Frustalupi, capace di ritagliarsi
una seconda giovinezza, Rognoni, Saltutti, Lippi, Berni, e
Luppi, saliva a sorprendentemente nella massima categoria in un freddo pomeriggio di
primavera. Sui balconi, donne anche di una certa età, che probabilmente non
avevano mai visto una partita in vita loro, parteciparono alla gioia con qualcosa di
arancione. Piazza Mazzini sarà lo spartitraffico, il ritrovo naturalmente in
Piazza Duomo. In fretta occorrerà tirare su Curva Nord e Curva Sud, portando la
capienza del Comunale a 25.000 posti. I timori a dire il vero erano parecchi e
l’allestimento della squadra suscitò diverse perplessità a cominciare
dall’oggetto misterioso, quel capellone saltellante all’anagrafe Luis Silvio
Danuello, (abbreviato in Louis Silvio) venuto dal Brasile. I dirigenti della
società abbagliati dalle trasferte dei talent-scout dei grandi club, decisero di andare in cerca di fortuna e intraprendere un viaggio in Brasile
alla ricerca di un talento nascosto. Se vogliamo la vicenda rimane un roba abbastanza grottesca e forse ebbe il solo merito di essere l’ispiratrice di
Aristoteles, della “Longobarda” nel celebre “L'allenatore nel pallone”,
espressione di giorni ancora ben lontani dai mezzi di comunicazione attuali in
cui andare a scovare un campione straniero, a maggior ragione dopo più di
dieci anni di chiusura delle frontiere, sembrava a dir poco problematico, tanto per club importanti quanto, figurarsi, per una squadra della provincia salita
insapettatamente in A. In ogni caso Marcello Melani affidò
il compito di scovare un giocatore in grado di fare la differenza a Beppe
Malavasi, allenatore in seconda della squadra. "In che ruolo giochi?". "Yo soi
ponta". “Ponta” in portoghese sarebbe ala destra. Invece fu tradotto punta,
centravanti. La vita stravolta da una vocale. Il refuso esistenziale che si
farà commedia, come in un film di Pietro Germi. Luis Silvio Daunello era nato a
Marilla, 200.000 abitanti immersi in una tranquillità a stretto contatto con
l’oblio. Il curriculum sulla carta sembrava buono, la faccia errabonda di un
gringo capelluto da duello al sole faceva il resto. Luis Silvio, per la cifra
ragionevole di 300 milioni di lire (i giornali brasiliani dissero 170)
sbarcherà a Fiumicino e giungerà a Pistoia dal Ponte Preta. I tifosi inebriati
scrissero sul muro dello stadio “Luis Silvio C’è” parafrasando la più celebre
dicitura spray degli anni ottanta rivolta ai consumatori di stupefacenti per
indicare la presenza di un luogo di spaccio. Tuttavia Luis deluse tutti, da
punta centrale, quale non era, non funzionò affatto, il classico bidone, subito
sbolognato, al punto che negli anni seguenti ci fu anche chi disse di averlo
visto vendere gelati fuori dallo stadio e persino attore protagonista in un
piccante film a luci rosse. In realtà tornerà a casa con la faccia inerpicata
da mille pensieri, appena distratta dalla cortesia della hostess inadeguata a
lenirne la delusione nel via vai nevrotico per sistemare il bagaglio. Uno dei
suoi borsoni zeppo di aspettative stropicciate giaceva nel sedile a fianco.
Solo, dimenticato, inutile, leggermente nascosto da un quotidiano sportivo; un
passeggero si fece avanti. "Luis Silvio?" Lui non rispose, rimase a
osservare l'oblò e il sogno italiano che si allontanava per sempre, un punto
giù all’orizzonte. Solamente quando il Jumbo della Varig si posizionò al di là
delle nuvole, si rilassò, un torpore improvviso lo colse, una tranquillità
infantile, la convinzione che il passato, in quella forma, non sarebbe più
tornato. Avrebbe fatto in modo di ricominciare, aveva vent’anni in fondo e
ancora una vita davanti. A Pistoia per riparare all’errore, in ottobre venne
acquistato dal Catanzaro il bomber da campo e da officina Vito Chimenti. Il 14
settembre del 1980 la Pistoiese, dalla sgargiante maglia arancione, (colore
varato negli anni Venti, quando un consigliere, nel bel mezzo della discussione
per scegliere i colori sociali, mostrò ai presenti la divisa della nazionale
dei Paesi Bassi e tutti rimasero incantati) esordirà di Serie A, in casa del
Torino. Fu una giornata storta per la Pistoiese che nonostante mezz’ora di
superiorità numerica non riuscirono a frenare i granata di Sala e Graziani. Sui
balconi, donne anche di una certa età, che probabilmente non avevano mai visto
una partita, parteciparono alla gioia con qualcosa di arancione. Piazza Mazzini
fu lo spartitraffico, il ritrovo naturalmente in Piazza Duomo. Viva la
Pistoiese, viva "l’Olandesina" dai sedici risultati utili consecutivi in
cadetteria, senza mai strombazzare meriti, in umiltà, quasi in silenzio. La
serie A verrà recepita come un’illusione di stravizio, un pizzico di vanità
nello sfoggio d'angoscia da provincia, una meteora visibile unicamente il
giorno dalla storica vittoria 2-1 sul
campo della Fiorentina (fiondata di Giorgio Rognoni servito da Chimenti, e poi
Roberto Badiani in chiusura di frazione ancora su assist del solito bomber da
bicicletta). La Pistoiese conquistando il derby balzerà al sesto posto in
classifica con tredici punti, l’apice di quella stagione, perché l’Olandesina
visse il suo anno nel massimo campionato come un dito dentro un guanto troppo
largo e cominciò a precipitare. La Pistoiese di Lido Vieri, alla prima
esperienza in panchina, durerà in pratica sei giornate. Il presidente Melani
insoddisfatto dal rendimento dei suoi consegnerà il timone della squadra a
Edmondo Fabbri, ex c.t. della Nazionale, Vieri resterà, ma solo a affiancare il
nuovo tecnico. Per tutto il resto del torneo gli arancioni racimoleranno
incredibilmente la miseria di tre punti grazie ai pareggi con Torino, Brescia e
Ascoli. L’ultima prova d’orgoglio, prima dell’inevitabile ritorno in serie B,
si verificherà proprio nel derby di ritorno. Lippi e compagni resistono ottanta
minuti prima della beffa: autorete di Rognoni, uno degli eroi dell’andata. E
dire che quella Pistoiese era una squadra anche con qualche nome di ottima
matrice: Mauro Bellugi, Andrea Agostinelli, Paolo Benedetti, Alessandro Zagano,
Mirko Paganelli... beh, non servirono, ci restano al limite le loro facce da
parenti della domenica sulle figurine Panini, purtroppo quelle stampate con la
seconda maglia, bianca dalla striscia arancione sul petto, qualche filmato di
repertorio accompagnato dal "Per Elisa" di Alice e poco più, d'altra
parte qui sanno benissimo che una rosa comincia ad avvizzire proprio al momento
del suo massimo splendore. E quindi con raccapriccio scopro che certe cose le
scrivi solo per ricordarle, poiché nel passato uno si certifica e in fondo si
battezza.