Non sembra vero, nemmeno a
prendere delicatamente in mano le carte dei giornali di quel periodo ancora pieno di fatica e aspettative. Le pagine vanno maneggiate con cura, quei pezzi di
giornale vanno letti con i guanti e magari con la lente, l’inchiostro di stampa
è imperfetto, le foto sbiadite e seppiate. Eppure, abbiamo le prove, il Piombino
disputò la Serie B nei primi anni Cinquanta e qualcuno si ricorda bene il bagliore
trepido che riscaldava i cuori allo stadio Magona sul Viale Regina Margherita che
apriva cancelli verdi a chi usciva in fretta dalle siviere, e i custodi
aspettavano un quarto d’ora a chiudere perché bisognava aspettare arrivassero
in tempo gli operai delle acciaierie; qui fra Via Salgari e Via Gori, qui sotto
i vecchi altiforni e le cadenti “cokerie” di carbone. La tribunetta coperta, i
sedili in legno, una curva ricavata sulla "Tolla Bassa" profumata di resina, le empiriche
impalcature, tra gradoni stretti e bassi in faccia alla tramontana che oggi confonde
l’eco di troppe grida andate, perse fra palazzi rossastri, siepi di pitosforo e
cipressi. Il Piombino in Serie B è tempo scorso, che non ritorna, come un moto irrequieto
di gioventù. Una società voluta e fondata nel 1921 con il nome di Unione
Sportiva Piombinese fino al 1945, quando vide la luce l’Unione Sportiva
Piombino un dopoguerra felice per la squadra toscana, sostenuta economicamente
dallo stabilimento siderurgico denominato “La Magona d’Italia”. In pochi
anni ottenne la C e, al termine del campionato 1950-‘51, la promozione in Serie
B nel corso del quale raggiunse l’apice della popolarità. Il Piombino si
tolse la soddisfazione di restare per tre stagioni fra i cadetti battendo squadre blasonate, e forse la vittoria più bella resta quella contro la Roma,
proprio in casa: Baldino Giusti Presidente e Fioravante Baldi in panchina, sostituito
l’anno seguente da un certo Ferruccio Valcareggi all'esordio. Soffiava un maestrale gentile
in quel giorno d’autunno in cui Piombino si svegliò cullando il sogno della
Serie A. Quella squadra che solleticava un input “sovietico” era infatti l’espressione
di una fabbrica florida, la Magona, che di lì a poco sarebbe precipitata per
poi riprendersi in uno dei tanti cicli di splendore e disperazione che hanno
abbracciato le grandi fabbriche negli anni che verranno. L’aria era tersa, ricolma
di salsedine e di un sole vacuo. A contarli pare fossero in 13mila, forse
14mila persone, stipate in uno stadio che poteva tenerli al massimo 10mila. In
piedi, stretti come sardine, arrampicati sugli alberi e sui tetti. La città fu tappezzata di manifesti nerazzurri: “Campionato italiano
di calcio, Divisione nazionale Serie B”, stadio Magona d’Italia, 18 novembre
1951 ore 14,30: Piombino- Roma”. Sì, la Roma, nel suo unico campionato giocato
al secondo piano del nostro calcio. È la capolista, sette vittorie, un pari e
una sola sconfitta prima di quel giorno: 15 punti contro i 12 del Piombino. Tutti
guardano alle scelte dell’allenatore Fioravante Baldi, svizzero di nascita ma
italianissimo, bandiera granata prima della guerra, uno che quelli del Grande
Torino li ha visti crescere. È lui ad aver portato il Piombino in B e sa tenere
la barra dritta insieme con Baldino Giusti, e il presidente onorario Arnaldo
Lovetti – l’uomo del miracolo Magona – oltre al segretario Siro Iaconi. Con i
giocatori, che vengono controllati passo passo. L’idolo della squadra è Bruno
Mezzacapo, difensore piombinese del quartiere operaio del Cotone. L’altro
piombinese della squadra è Doriano Carlotti, il portiere. Uno che sa stupire,
poi
il capitano Enrico Zucchinali. Avversari manco a dirlo da prima pagina. L’ allenatore
giallorosso si chiama Gipo Viani, uno che poi guiderà anche la Nazionale. Due
ore prima del via lo stadio è praticamente pieno, eppure viale Regina
Margherita sembra ancora un gigantesco fiume di gente. Pensare che possano
entrare in quel catino stracolmo sembra pura follia, ciò nonostante, alla fine
ci saranno tutti quelli che volevano esserci e non si sa come abbiano fatto.
Quando dal sottopassaggio la folla scorse la testa dell’arbitro Giorgio
Bernardi, uno che la domenica di solito frequentava campi di A, fu un autentico
delirio di incitamenti. Nove minuti. Il vento soffiava contro il Piombino, che
attaccava verso la curva opposta alla Tolla, quella dove sedevano i tifosi
romanisti, che di vento sapevano ben poco escluso il ponentino. Per i
piombinesi il vento è il compagno d’ogni giornata normale. E il Piombino ci credette
subito. Ci fu un calcio di punizione: lo batterà Cozzolini, respinse Knut
Nordhal con un campanile da oratorio. Lui, Knut, era uno dei fratelli del più
celebre Gunnar, quello del trio Gre-No-Li del Milan (Green, Nordhal e Niels
Liedholm), e nazionale svedese. Quella palla si alzò scendendo fino a
incrociare una mezza rovesciata di Ortolano e poi un colpo di testa accademico di Ippolito Montiani. Il portiere Risorti restò quasi fermo, trafitto da quel colpo di
biliardo. L’urlo della folla arrivò fino agli angoli più remoti di una città
silenziosa. Chi non si trovava allo stadio stazionava nei dintorni oppure
attendeva a casa in una sorta di "tam tam" di emozioni fatto di voci e passaparola.
Uno a zero. La reazione romanista arriverà, tuttavia il Piombino troverà presto
il raddoppio. Rimessa laterale dalla tre quarti, sotto la gradinata, il mulinare
di braccia del numero 11 Montiani libererà la palla in area Pietro Biagioli. Il numero
1 giallorosso si oppose al centrocampista in maglia nerazzurra, ma il tiro gli
piegò le mani alzando una sorta di palombella beffarda che caracollò all’interno
della porta. Due a zero. Nella ripresa la Roma premette ma il Piombino non cederà
di un metro. Falli, e parate di Carlotti. La terza rete giunse al termine di un
contropiede, Montiani sulla trequarti, il capitano romanista Tre Re lo rincorse
fin nella propria area e lo stese. Il fischio del rigore venne accolto da un
boato fuso in un coro “Piombino, Piombino” che accompagnerà l’esecuzione. Sul
dischetto il solito Biagioli: palla a sinistra, portiere a destra. Piombino 3
Roma 0. E poco importa che manchino ancora 14 minuti, la rete della bandiera la
segna Venturi a cinque scarsi dal termine. Sarà festa fino a tardi, almeno per
quelli che al mattino alle 6 non dovevano timbrare il cartellino per entrare in
fabbrica al primo turno. Il fumo delle ciminiere alimenterà i sogni, non solo
calcistici di una città che appena sei anni prima era in piena rovina anche se l’utopia
della serie A resterà tale. Quello che rimane è una bella storia di calcio di
provincia, ma tanto di provincia, la piccola favola del “Grande Piombino”.
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