Ho annusato e calpestato quei luoghi per anni e di una cosa
posso essere certo, la Toscana culturalmente e linguisticamente finisce in
Versilia, perché su quell’ultimo tratto veloce e assolato d’Aurelia che porta
verso la Liguria o verso il Passo della Cisa e l’Emilia, il dialetto sfuma in
un ibrido curioso dal sapore d’enclave, quello della Lunigiana, dei suoi testaroli
e delle sue misteriose statue stele. E anche Dante Alighieri quando lassù
soggiornò, invitato da Franceschino Malaspina, marchese di Mulazzo, per mettere
fine ai contrasti tra la famiglia Malaspina ed i vescovi di Luni si rese conto dei
bisticci fonetici. Ma a Massa, città fiabesca di mare e di marmo, di queste
dissonanze poco importa; Giovanni Pascoli al suo arrivo restò colpito dal profumo
degli aranceti e dagli orti che circondavano ogni casa, facendo sembrare la città
seduta su lucide verdure, dove il freddo -scrisse in una lettera alle sorelle-,
se c’è, è asciutto e il cielo azzurrissimo. La scintilla del calcio massese come altrove fu arte tutta studentesca e piccolo borghese, due squadre, la
S.S. Pro Massa e la U.S. Massese, unitesi dopo il primo conflitto bellico in
S.S. Juventus Massa, denominazione modificata ancora per la guerra seguente in Unione
Sportiva Massese- Juventus. La forte amicizia tra uno dei
dirigenti della società apuana e l'allora presidente della società polisportiva
torinese Juventus, Piero Dusio, porterà quest'ultimo in tempo di razionamento bellico, ad alimentare il bel rapporto con l'invio di materiale sportivo da Torino,
tanto da far virare definitivamente i colori della squadra da biancoverde a
bianconero. Nonostante aver indossato le divise del club più titolato in Italia, se
scrolliamo la tovaglia della storia della Massese cadono solo delle briciole,
l’unico tozzo di pane buono resta la stagione 1969/7: l’uomo era andato sulla
Luna e la Massese (toh, la Lunigiana) in Serie B. Nella ricerca dei meriti gran
parte del successo va accredita a Vieri Rosati. Dalla fine degli anni Sessanta,
fino alla metà degli Ottanta, Vieri Serafino Rosati, per tutti solo “Vieri”, è
stato uno degli industriali di punta del territorio apuano. Aveva un'azienda di
ferro, ma anche cave di marmo, una segheria e altre attività. Un autentico talismano
taumaturgico per una zona bisognosa di impresa e posti di lavoro, ed il “Vieri” riuscì
anche a destinare la domenica non più ad anonime scarrozzate sotto i campanili più o meno limitrofi ma a titoli d’elogio sulle pagine dei rotocalchi sportivi nazionali. Non subito, va detto. La conquista
della B insomma fu un'impresa assolutamente impervia eppure alla fine esaltante, destinata a rimanere per sempre nel ricordo dei
tifosi. Di quella promozione Rosati ha sempre detto: “Non è stato un miracolo,
tanto che l'avevamo sfiorata la stagione passata, abbiamo registrato meglio il concetto si squadra...”. L’idea vincente fu quella di
ingaggiare un tecnico capace e amato come Cesare Meucci detto il "maestro delle
promozioni", che giusto un decennio prima aveva fatto il giocatore-allenatore a Massa e
quindi era conosciuto e ben voluto, amato da tutti, ma i tifosi al di là dell'ossequio di rito non speravano
troppo nella vittoria. Anzi, le polemiche, a partire dall'estate furono aspre e dirette verso più settori: innanzitutto stadio e campagna
abbonamenti. All’epoca, infatti, ad appena dieci anni dalla sua costruzione, lo
Stadio “Degli Oliveti” (che aveva sostituito il "Dina delle Piane") era ritenuto inadatto ad ospitare persino partite di Serie
C, figurarsi di una categoria superiore. Si lamentava la mancanza di un punto
di ristoro decente, l’imbarazzante condizione dei servizi igienici negli spogliatoi e
vari problemi strutia il problema dello stadio non aiutò particolarmente la società nel lanciare gli abbonamenti, ritenuti costosi e in precampionato i
poco graditi vicini della Carrarese allocati in Serie D riuscirono nello sgarbo di avere la meglio, in amichevole a Massa, sulla squadra di Meucci che cominciò
con molte ombre sul progetto. La società stuzzicata nell'orgoglio provò a migliorare la
rosa formata da una ossatura giovane e vogliosa di fare bene
coadiuvata da qualche pezzo di esperienza. Agguantare la B però ad un certo
punto sembrava sogno irrequieto e malizioso, sudaticcio e irrealizzabile. La squadra nel girone
d’andata faticò più del dovuto, anzi, fino alla tredicesima giornata non riuscì a vincere nemmeno una partita. Aumentarono ovviamente le critiche. La squadra finì sulla bocca di tutti
in città: a scuola, nei bar come “Il Baffo” a Marina (frequentato anche dai
giocatori) e sul posto di lavoro non si parlava d’altro da mesi, nell’imprudenza
delle parole e del gesto. Alla squadra mancava qualcosa, no qualcuno. Ed ecco presentarsi un milanese di
29 anni, svincolato dalla SPAL (ex Fiorentina, Lazio e Brescia) che arrivò
umilmente in punta di piedi sotto le tre cime screziate delle Apuane. Qualche
allenamento di prova, un passato in Serie A alle spalle e tanta voglia di rimettersi
in gioco. Non ci volle molto per convincere allenatore e presidente e nel
novembre del 1969 Gianpiero Vitali diventerà un nuovo calciatore della Massese.
Sarà amore a prima vista. Vitali da Massa non se ne andrà più. 245 presenze (la
maggior parte da capitano) a tutt’oggi il recordman di presenze con la maglia
della Massese, nonché il numero 6 preferito dai tifosi. Alla sua morte gli è
stato dedicato lo stadio. La squadra continuò tuttavia a balbettare, claudicante, chiudendo
il girone d’andata al nono posto, più giù di metà classifica. Si decise per una sorta di ritiro punitivo a
Castelnuovo Garfagnana, a causa del sospetto fondato che alcuni giocatori non
vivessero esattamente in maniera "pia" la situazione bensì all'opposto, in modo eccessivo e irrispettoso, attratti dalla “movida”
della costa versiliese. Toccasana, poiché sul girone di ritorno della Massese si
potrebbe scrivere un libro. E in diversi a dire il vero l’hanno fatto. Non solo, qualcuno gli ha pure dedicato un film e naturalmente c’è stato chi,
guardando quelle immagini, si è commosso nel vedere le immagini della festa. Perché
quella stagione vincente rappresentò Massa meglio di un saggio mostrando come lo
strano pessimismo che inondava la città, potesse grazie a un pallone diventare gioia. Per cui se all’inizio
della stagione la Massese portava 2000 persone al “Degli Oliveti”, man mano che
la squadra inanellava risultati i gradoni diventarono sempre più stretti e ricolmi di gente e di speranze.
Punti dalle spine del rimorso, con aria spadaccina, finalmente i goal di Giuseppe
“Pippo” Fichera, prelevato in estate dal Catania, e di Mario Menconi guidarono
la squadra ad una folle rincorsa al primo posto. Il 14 giugno del 1970 al
“Degli Oliveti” staccarono 12.000 biglietti. Dopo quindici partite da imbattuta, basterà
una vittoria per 3-1 contro la già retrocessa Vis Pesaro per acciuffare la
promozione. Il pallone della gara fu lanciato in campo da un aeroplano, la
Massese era in Serie B per l'unico campionato nei cadetti nella sua storia in quanto nessuno
aveva oracoli così bravi da leggere il deprimente futuro. Quindi caroselli, mentre alla Capannina del Forte, i "Dik Dik" cantavano il primo giorno di primavera.
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