Quanto era bello il
vecchio “Rastrello”? che in quegli anni già si chiamava Artemio Franchi, ma per
i senesi restava sempre la conca del Rastrello, uno stadio nel bel mezzo della
città, incassato fra la Fortezza e San Domenico, uno stadio pulito, piccolo, ristretto
come il caffè del Nannini, con la pista d’atletica, una tribuna coperta e una
scoperta, la cosiddetta Gradinata, poi verso la fine degli anni ’80 arrivò un
empirica curva in cemento a mezzaluna giusto sotto l’enorme Hotel “Jolly” (dove nell'immediato dopoguerra, a lettere cubitali, il Panforte Parenti ci piazzava la
sua pubblicità) da cui inizialmente prenderà il nome, e dopo nè arrivò un’altra eretta nel decennio successivo, nel lato
opposto, nel punto in cui fletteva soltanto un emiciclo erboso e scivoloso, e infatti i
biglietti per questo settore, acquistabili nel casottino accanto all’enorme
statua bronzea di Santa Caterina (uscita dalle celebri Fonderie Marinelli di
Firenze), portavano giusto la dicitura “Prato”, e difatti, accennavo, era un pochino
scomodo perché d’inverno in genere ti toccava stare in piedi sull’asfalto del
parcheggio adiacente, cosa per certi versi "ganza" in quanto assomigliava molto a una delle stand laterali
dello Stamford Bridge del Chelsea prima dell’arrivo
dei soldoni russi, ma in fondo vedersi la partita lì costava poco, una bazzecola, e
poteva andar bene lo stesso, lontani dal chiasso tambureggiante e affumicato degli Ultras Fighters o dal calendario di Barbanera rivisto in accidenti dagli storici Fedelissimi, misto di balda gioventù unita a gente più stempiata e canuta, assiepati sugli scaloni della gradinata laterale. Insomma, fu dentro quel semplicissimo impianto, dove arrivano i refoli degli umori dei vicoli di Siena, delle stalle e degli oratori, che successe l'impensabile, e il "Rastrello" diventerà stadio improvvisamente troppo rarefatto e angusto, perchè dopo oltre 5o anni di indigestioni di serie C sommate ad altre patacche
da alfabeto minore catalogato sulla decima pagina della "rosea", i bianconeri conquistarono una fatidica
promozione in B dando l'abbrivio per stagioni immaginifiche e irripetibili, culminate con la Serie A nel breve periodo. Un successo sul quale quasi nessuno ci avrebbe scommesso, (si dice sempre così) nemmeno i più temerari
frequentatori della mitica Agenzia Ippica in San Martino a un passo da Piazza
del Campo, perché oramai il parco giochi da edilizia popolare con le due altalene C1 e C2 appariva davvero l’unica costante dell’AC
Siena 1904, partorito da una scissione di alcuni affiliati alla Società
Sportiva Mens Sana adottando una casacca a quarti balzani. Un Siena che comincerà a disputare le sue partite nello sterrato di Piazza
d'Armi per poi passare al “Campino” di San Prospero e definitivamente, dal 1938,
si potrebbe anche intonare “tutti insieme giù al Rastrello”, come recitava il
ritornello di Beppe di Gaetano, artista arricciato e di buona forchetta, di
quelli fai da te, prenotato nei fine settimana dai circoli ARCI della zona e da
qualche società di Contrada. La cavalcata, oh, a Siena non si può certo ovviare
da questo termine, anzi meglio galoppata, verso la B, fu messa a segno da
mister Antonio Sala, tecnico taciturno, ometto scaltro e arguto da giallo di Georges Simenon, quanto basta per misurarsi e azzeccare un caso impegnativo e di difficile risoluzione, sfiorato sotto la guida di Ferrucio Mazzola, allorchè alloggiava sugli spalti un empirico striscione con su scritto: B..isogna crederci sez. Coroncina con la B grande e rossa ben in evidenza. Qualcosa si era visto pure nel biennio di Attilio Perotti con Totò De Falco e Simone Mucciarelli bocche di fuoco, ma cedere fu un lampo e addio Rosa. E invece nel 1999/oo il presidente del periodo, tale Leo Salvietti, fino ad Antonello
Pianigiani, a Claudio Mangiavacchi, e all’esperto Giambattista Pastorello accettarono la sfida e la portarono avanti con estremo vigore. Antonio Sala propose un calcio si direbbe moderno ma rischia essere aggettivo assai banale ed inflazionato, fatto di fraseggi e intuizioni, una roba comunque poco incline nei pomeriggi oziosi e
scalcinati delle cittadine di provincia dove il lancio lungo e l’entrata
pesante erano ancora dogmi difficili da evitare. Il Siena in quel
campionato di fine millennio avrebbe svoltato la sera del derby
toscano contro il Pisa quando una rete, e che rete, cambiò la visuale sulla mappa del gioco. Una giornata
uggiosa, il cielo coperto, qualche goccia di pioggia, uno 0-0 tirato e pericoloso. In
pieno recupero il Siena in inferiorità numerica conquisterà una punizione dalla
destra: “Sciaccaluga nel mezzo, tutto il Pisa all’indietro, Siena
in avanti. Il fischio dell’arbitro… Sciaccaluga… la parabola… Voria e
gooooooool”. Ovviamente ripetuto alla sudamericana fino alla nausea per un tempo indefinito. Quella telecronaca di Gigi Rossetti per C3T, a sentire tutta la sua
passionalità, mette ancora i brividi, anche a chi non è mai stato un tifoso vero o presunto del Siena. Gil Voria, roccioso difensore dalla chioma al vento e dai piedi ruvidi, nato ad Agropoli o forse ad Asgard, segnò
di testa in virata la rete della sua vita in quella giornata plumbea subito abbracciato da capitan Michele Mignani, elegante biondino centrale di
difesa dai piedi abbastanza educati, e poi ecco la corsa della ciurma guidata dalla calvizie incipiente di Stefano Argilli, Radice (sì il figlio di
Gigi), Cavallo, Colasante, Arcadio, Sciaccaluga, Orocini e compagnia. Una domenica speciale, un urlo da far rimbombare ogni strato di "tufo", la domenica dove scoppiò la scintilla della lucida follia.