venerdì 31 maggio 2024

OVOSODO


Era l'Italia dove i vecchi che avevano fatto la guerra cominciavano a salutare mentre le nuove tecnologie spuntavano un pò dappertutto; era il 1997 e il film "Ovosodo" portò sul grande schermo Livorno attraversando la città in sella a un “Ciaino”, dai cortili popolari alle palazzine Liberty che si affacciano sul Tirreno, passando dai “fossi” del quartiere Venezia, raccontando una storia come tante, con una comicità malinconica e un’ironia pungente tipicamente labronica. Oh, va detto subito che Ovosodo esiste, è un quartiere del centro di Livorno, chiamato così per via delle maglie color bianco-gialle indossate durante il Palio Marinaro che si svolge nella acque di mare antistanti alla Terrazza Mascagni. Cosa c'entra il film con il calcio? c'entra, il calcio, o la pallacanestro, a Livorno c'entrano sempre qualcosa. Protagonista è Piero Mansani (Edoardo Gabbrielini), emaciato ricciolino tutto pepe, figlio di un ex portuale che entra ed esce di galera. Morta la mamma, Piero cresce insieme al fratello ritardato, ad una giovane matrigna molto nervosa e ai libri che gli presta Giovanna, la prediletta insegnante di lettere (Nicoletta Braschi). Al liceo conosce Tommaso, ragazzo ribelle ed esibizionista, di famiglia molto ricca. Da lui si fa trascinare in un mondo sconosciuto popolato di artisti e filosofi, che per molti versi lo affascina. Conosce anche Lisa, cugina di Tommaso (Marco Cocci), di cui si innamora: per rivederla fa un viaggio a Roma in autostop con l'amico Mirko (Salvatore Barbato), la trova, entra in una casa della Roma bene tra spinelli e nottate in bianco, ritorna stralunato e più confuso di prima nel suo quartiere. Passano gli anni e i sogni della gioventù lasciano il posto alla realtà. Messa da parte la scuola, Piero si iscrive nelle liste di collocamento e viene chiamato per un impiego proprio nella fabbrica del padre di Tommaso, che intanto parte per l'America. Nel frattempo Piero riprende i rapporti con Susy (una giovane e bellissima Claudia Pandolfi), la ragazza del suo condominio che fin da piccola lo guardava con interesse. Quando gli dice di essere incinta, i due si sposano, e lei la mattina lo accompagna in macchina sul posto di lavoro. Piero è ormai un uomo. Si ma il calcio? Ecco ce una scena dove alla televisione il fratello di Piero assiste a una partita, perchè qua la fede amaranto non può mancarti specialmente se la questione ha a che fare con le distanze. La più incolmabile? Quella tra la vita che speravi e l’esistenza che ti è venuta giù. Eppure, di quando in quando, è possibile fare spallucce di fronte ad una sorte beffarda, pur convivendo con un retro pensiero riluttante a salutare. Devi esserci portato, però. Meglio: ci devi nascere. Devi contenere al tuo interno un patrimonio genetico perennemente oscillante tra il baratro e l’irriverenza, una miscela potenzialmente letale, eppure salvifica. Quando il Livorno gioca ti accorgi che il sangue pulsa ancora nelle vene e Paolo Virzì lo racconta disimpegnandosi con acume, seppure si soffermi solo qualche fotogramma sulla questione, ma ne scaturisce un ritratto alquanto fedele. La scena è in ritardo di una decina d'anni eppure funziona. Il Livorno naviga in serie C1 e arriva alla finale da disputarsi contro il Campania Puteolana. In quella squadra guidata da Romano Mattè ci sono: Boldini, Rizzo, Dondoni, Pontis, Manetti, Falsettini, Casilli, Mazzoni, D'Este , Marocchi, e Susi. I festeggiamenti della partita di calcio che il fratello sfortunato di Piero, acceso tifoso, guarda in televisione, mentre lui è in bagno, sono della finale di ritorno di Coppa Italia Serie C '86/'87, vinta dalla squadra livornese. Dopo essere stato sconfitto in trasferta 1-0 all'Ardenza il Livorno ribalta gli esiti della partita e si imporrà 3-0 per la precisione il 20 giugno del 1987. Quando il capitano Maurizio Manetti riceve la coppa in tribuna d'onore il film scorre ma attenzione a non fraintendere Ovosodo con un altra pellicola toscana del periodo: il Ciclone. Toscano è toscano, commedia pure. Ma non è un altro Ciclone. Altra storia, altro livello. Perchè Virzì ama la coralità d'attori e la molteplicità delle idee, mescolando il privato e il politico, il singolare (la storia di uno qualunque che attraversa trent'anni di storia italiana) e l'universale. Anche la struttura è più studiata e complessa: il guscio, infatti, è quello della commedia italiana classica, tanto ben scritta da provocare immediata allegria, ma l'interno, quel che rende l'uovo cotto a puntino, è la sempre valida lezione del neorealismo: vita vera e gente vera con le facce giuste (perfetta insomma quella di Edoardo Gabriellini). Infine, ed è questo che rende il film un po' speciale, Ovosodo è sincero: lo vedi e ridi, ci ripensi e capisci. Che è come la vita: lo corri in fretta, con allegria come il Livorno nel calcio che è stato quella certo quella coppa, ma è stato persino la serie A, è stato Protti e Lucarelli, è stato rivendicazione politica fra il serio e il faceto, Livorno specchio del film dove Piero alla fine scopre l'amarezza di un peso che rende un piano di lettura insito sulle differenze legate all’appartenenza dei personaggi a gruppi e classi sociali diverse, si se vogliamo è anche un film politico, una roba normale se ambientato in questa città. Il tutto impastato dalle colonne sonore punk, rock e indie rock, dagli Snaporaz, ai Mulfunk ai Battista Lena. Ed è proprio attraverso la progressiva presa di coscienza di un’appartenenza di classe che Piero riesce a raggiungere una precisa identità. La stessa che, nel finale del film, gli fa affermare, non senza una punta di malinconia, che alla fine il suo destino non può che essere quello di andare a lavorare in fabbrica e di mettere al mondo un figlio con una ragazza del suo quartiere come se l’epoca dei sogni fosse terminata per sempre, un pò come quella del Livorno del pallone.

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