Non
cercate termini di paragone. Non lì troverete. L’Old Firm resta un
affare per stomaci forti. Noi ci limitiamo a galleggiare sulla
superficie liscia del semplice antagonismo sportivo ma a Glasgow si
scende in profondità, fino ai cromosomi di un popolo, fino alle ragioni
di una comunanza forzata decisa dalla fame e dalle opportunità, il
trionfo delle conseguenze non volute, l'eterogenesi dei fini. C'è una
data d'inizio a tutto questo. Iniziate a cercarla a Gallowgate nel sud
est della città. Edilizia popolare e negozietti che sventolano bandiere
irlandesi mentre sui pub troneggiano scritte in onore dei “Lisbon Lions”. E qui che si riversarono gli emigranti provenienti dall'Irlanda a
seguito della carestia delle patate scoppiata nella metà del XIX secolo.
Ad attrarli il grande porto e i suoi stabilimenti. Un giorno fratello
Walfrid, nome religioso di Andrew Kerins, irlandese di Ballymote, fu
convocato dal suo arcivescovo che aveva in mente di creare ciò che aveva
già preso piede a Edimburgo, ciò che già funzionava con l'Hibernian,
ossia una squadra di calcio che raccogliesse fondi da devolvere in
beneficenza ai bambini più sfortunati: “Poor Children's dinner table”.
Walfrid
si dimostrerà immediatamente entusiasta del progetto e si darà da fare
affittando per 50 sterline un lembo di terra accanto al cimitero di
Janefield trasformandolo in un empirico campo da gioco. Un giorno
imprecisato del 1888, al grido di “viva San Patrizio”, nascerà il Celtic
Football Club: una “banda di poveracci” che tirava calci a una palla
accanto alle lapidi di un camposanto indossando una maglia biancoverde e
un quadrifoglio sul petto. Con il tempo diventerà icona, simbolo,
rifugio e eccellenza sportiva.
La massiccia iniezione di nuova
manodopera provocò malumore nell’altra faccia della città. Quella
protestante, presbiteriana, quella dei sermoni infuocati di John Knox a
una platea che lo ascolta ma non si muove, perché farsi il segno della
croce è da fanatici, da adulatori del Papa e delle sue politiche
d'interesse, da superstiziosi cattolici. Le “braccia locali” si vedono
sfilare qualche posto di lavoro e in fondo essendo cugini di genesi
celtica sono troppo simili per non odiarsi. Ne nacque un attrito via via
accresciuto e amplificato.
Nel 1872 erano nati i Rangers anche
se alcune cronache non collimano con questa data. Quello che è certo e
che nascono dalle idee di quattro padri fondatori. I fratelli Moses e
Peter McNeil, Peter Cambell e William McBeath. I primi due sono figli di
un giardiniere che lavorava presso la residenza estiva di John
Honeyman, un mercante di grano. Per il nome si ispirano a un team
inglese di rugby, per i colori al blu scozzese, che gli anni a venire
macchieranno di una britannicità palesemente ostentata da venature
biancorosse, e i cori racconteranno della battaglia del Boyne e di
quando Guglielmo d'Orange sconfisse il Re cattolico Giacomo II. Sedi
vacanti e provvisorie per i primi anni poi dal 1899 tirano su i mattoni
cremisi di Ibrox, il tribunale del popolo, fra Govan e i brividi umidi
dei cantieri di Gorbals.
1989/90.
Maurice John Giblin
Johnstone, per tutti "Mo", nasce a Glasgow il 14 aprile 1963. Rossiccio
di capelli, qualche lentiggine e lo sguardo di chi conosce le insidie
della strada. E' cattolico oltre che calciatore promettente. E per uno
di quelle parti il Celtic sembrava la destinazione naturale. Ci arriverà
nel 1984 e in tre anni collezionerà 140 presenze siglando 52 reti. Poi
arrivano le sirene francesi e l'esperienza nel Nantes. Nella Loira non
smarrisce le sue doti di bomber facendo intendere di non voler più
tornare, anzi no, improvvisamente rilancia il suo amore per il Celtic e
dichiara che rivuole Parkhead. Frank Mc Avennie, il suo sostituto, se ne
ritorna al West Ham. E Johnstone tornerà a Glasgow, sì, ma un attimo,
ritorna nella parte blu. Soldi. Il primo giornale a darne la notizia è
il Belfast Telegraph (tanto per far capire che una parte consistente di
Old Firm si gioca in Irlanda del Nord). I Rangers sotto la pressione di
Greame Souness vengono meno alla loro regola storica di non tesserare
giocatori di fede cattolica anche se a dirla tutta negli archivi dei
Rangers pare ci siano stati precedentemente al “rosso” altri 15
giocatori cattolici nelle loro fila come per esempio il sudafricano Don
Kitchenbrand ma l'impatto del profilo di Maurice Mo Johnstone non era
certo eguagliabile. Souness risponderà alle domande dicendo:
“Sono
scozzese e protestante, capisco certe cose, ma nel calcio come nel
mondo moderno non devono contare, io ho il dovere di scegliere i più
bravi e poi ho sposato una cattolica figuriamoci se avrò problemi ad
allenarne uno”.
Il neo presidente David Murray avalla la scelta
del “padrino di Edimburgo”. I tifosi no. Di ambo le parti. Per quelli
del Celtic è un “Judas” un traditore. E mentre dall' East End volano
offese e minacce, sui cancelli di Ibrox bruciano le sciarpe dei Rangers e
vengono stracciati gli abbonamenti. Edminston Drive venne presa
d'assalto. Nemmeno una subdola regia occulta avrebbe fatto meglio
considerato che il calendario riportava 13 luglio, guarda caso nel bel
mezzo delle marce orangiste. Johnstone fu costretto a difendersi da
tutti. Da quelli dei Rangers e da quelli del Celtic. Per muoversi avrà
bisogno di tre guardie del corpo. Stessa storia per la moglie e i
quattro figli. Fu persino costretto a prepararsi da solo la divisa in
quanto il magazziniere si rifiutava di farlo.
Billy McNeill, l'allenatore del Celtic, non avrà mezze parole:
“Non
lo posso perdonare e credo che nemmeno i fans lo faranno mai perché ha
mancato di rispetto a tutti a noi e alla nostra causa”.
Eppure
Johnstone dimostrerà una forza di carattere notevole. Sterline o meno
giocare in quella situazione sarebbe stato impossibile per tutti. Invece
se ne andrà da Ibrox solo nel 1991 dopo aver segnato 46 reti ed essersi
lentamente ingraziato il sostegno della gente. Oggi le cose sono
cambiate, il settarismo è più attutito. In ogni caso evitate di segnarvi
o di mimare flauti traversi, non si sa mai. (Boruc e Gazza docet)
giovedì 1 ottobre 2020
OLD FIRM
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