Alain vide avvicinarsi Bordeaux
attraverso le putrelle d'acciaio del ponte ferroviario e il suo cuore accelerò per l'emozione.
La città si presentava buia e coricata in riva alla Garonna, sotto la crosta rossastra dei
tetti. Un singhiozzo amaro gli si incastrò in gola quando valutò l’allineamento
impeccabile delle facciate nere dei palazzi e lo squarcio di Place de la Bourse, serrata dalle trincee
scure delle stradine strette e curate da un’architettura color corda che si
infilavano verso il centro flagellate da una pioggia che sembrava pizzicare i marciapiedi percorsi da sagome indistinte. Il fiume fangoso, irrigidito
dall’alta marea, somigliava ad una sconnessa lingua di terra. E poi il porto. Le navi
lungo i moli, a ridosso dei magazzini, irte di pali, ai piedi di gru inclinate
o dritte, appuntite alla pari di coltelli impugnati. Alain Giresse memorizzerà tutto questo
con la faccia incollata al finestrino, un ragazzino curioso e un pò impaurito, eppure avido di indovinare cosa scoprirà. Giresse arrivava da Langoiran, viluppo di case
e umidità a una trentina di chilometri a sud est di Bordeaux addossato fra il
salmastro e il dolce, gnosi di protezione prima di affrontare il mare aperto e
il vento dell’Atlantico. Alle cinque del
pomeriggio, al primo allenamento, i suoi atteggiamenti da tozzo torero toccato
dalla grazia, la sua fluidità gestuale, le sue zampe feline e il suo
virtuosismo tecnico corrisposero subito agli impulsi intimi e ai sogni più sfrenati
di un popolo per il quale casta e nobiltà non sono doti accidentali. E un
pomeriggio, dopo una zuppa di cipolle nel Bistrot gestito dal libanese Abdel, gli affibbiarono anche il soprannome: “Gigì”. Alain Giresse l'incantatore, la 10 dei girondini con lui assumerà e incarnerà un raro tipo di lealtà, talmente forte da entrare nella memoria
collettiva dei tifosi mentre intanto sfrecciavano inconfondibili siluette di Citroen intorno
al Parc Lescure, dentro il quale spuntava lo Chaban Delmas, stadio dal contorno
ovale rifinito da un tettuccio sbalzato a coppo in un neoclassico più pacchiano
che accattivante, Giresse, sul campo, controllava la palla maestosamente in un’illustrazione
perfetta dell'interdipendenza tra il regista e la sua squadra. A guidare il
Bordeaux dall’estate del 1980 arriverà Aimé Jacquet un tecnico di provincia dai
capelli chiari prossimi al brizzolato e portatore di uno sguardo malinconico, residuo dei giorni aspri da "classe operaia" quando fu assunto come operaio fresatore alle acciaierie
della Marina Militare di Saint-Chamond, dopodichè siccome ogni tanto la vità gira anche il verso giusto diventerà calciatore apprezzabile nel Saint
Etienne, talmente apprezzabile da assurgersi a bandiera giocandovi ben undici stagioni filate. A Bordeaux lo prenderà al volo il presidente
dei girondini Claude Bez, un omone dal profilo latino pieno di idee e invettive, sigaro, baffo generoso e immancabile calice di Chateaux Maquin sempre sul tavolo, in genere
quello con la fascetta rossa prodotto dalle vigne argillose di Saint-Emilion. Il
Bordeaux non era solo Giresse, sia chiaro, Giresse era la cartina tornasole. Con la maglia blu notte del periodo
spuntavano calibri importanti e geometrie ossidionali: Patrick Battiston, Jean Tigana, il portoghese Fernando Chalana, oltre alla coppia d’attacco composta da Bernard Lacombe e dal tedesco, ex Colonia, Dieter Muller, in un contesto generale fatto di un gioco elegante, definito
forse troppo frettolosamente artistico ma sicuramente espressione godibile d'efficacia .
Al titolo vinto nel 1984 si aggiunse quello della stagione seguente con quattro
punti di vantaggio sul Nantes, un successo condito dal miglior attacco e dalla
miglior difesa, merito nell’ultimo caso del nuovo portiere Dominique
Dropsy. Tuttavia ci sarà una partita, un doppio confronto, che poteva far svoltare completamente l’epica di
quel Bordeaux, la semifinale di Coppa dei Campioni della primavera del 1985 contro la Juventus.
Una dannata semifinale cominciata sotto la pioggia di Torino, sul terreno
infido e periglioso di un Comunale imballato da un pubblico ancora inebetito
dalla beffa di Atene, e tutto sommato poco appagato dalla vittoria di Basilea
in Coppa delle Coppe, una Juventus che rigettava ogni speranza sul maggior torneo continentale
dopo un pessimo campionato. Ora, nelle scuole francesi vigeva da lustri l’usanza di abbeverarsi a quei temi, definiamoli di “fantaletteratura”, in cui Moliere scrive a Racine e Gide a Victor
Hugo. Così avrebbe voluto il Bordeaux: imbucare lettere pesanti alla posta piemontese di Michel Platini, che invece chiuse
ogni buchetta, ogni serraglio e ogni licenza di prosa avversaria attraverso una partita gagliarda giocata più di spada che di fioretto, spengendo i lumi della Gironda troppo presto. Un 3-0 apparso irrecuperabile e
frutto di amnesie, un risultato che quindici giorni dopo sotto il sole spaccone del
Parc Lescure venne lenito fino alla soglia del miracolo, però il 2-0 non basterà e quello
fu l'istante esatto in cui caddero illusioni e passioni, l’istante del vero rimpianto di una
giovinezza che trasse in inganno il Bordeaux di “Gigì”.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
LIVING THE DREAM
“Sto andando a Gretna Green, e se tu non riesci a indovinare con chi, dovrò considerarti un’ingenua, perc hé c’è un solo uomo al mondo ch...
-
Quando la siderurgia inglese restò paralizzata, e scioperi e agitazioni si allargarono a macchia d'olio, i negoziati fra le Unions e la ...
-
Cercate una canzone da ascoltare in sottofondo leggendo questo racconto? diciamo "The Foggy Dew" di Sinead O'Connor e andiamo...
-
Chissà perché, quando scriviamo la parola estate abbiamo sempre la tentazione di associarla all’aggettivo “torrida”, forse pensiamo di aggh...
Nessun commento:
Posta un commento