Dobbiamo gettare in aria un po’ di numeri, così, imbambolati fra l’allegro e il malinconico, proprio come fossero coriandoli di Carnevale che mai è festa del tutto felice perché le maschere hanno sempre una storia da ricordare e magari dimenticare in fretta per non pensarci troppo. Chi è servo del crudele padrone, chi è servo del denaro, chi è schiavo dell’amore, chi è rapito della nostalgia. E tutti quei coriandoli, nello svelarsi della figura retorica, non sono altro che figurine adesive, quelle della Panini, le nostre amate figurine dell’album dei calciatori, quando l’album era una cosa seria, un espositore di amenità, di piccole o grandi curiosità, la vera mappa geografica di noi ragazzi. Il numero sul retro riportava 413, e a quel punto già capivi, anche senza rovesciare l’immagine, che si trattava di una squadra di Serie C, quella Serie C sanguigna e mordace dei campi di provincia, se non di comune, fra terra battuta, nobili decadute, giovani promesse, e un pubblico variegato, da balera e circolo borghese, da commedia all’italiana, gente che imbottiva i cinema quando arrivava l’ultimo film di Pietro Germi, Nanni Loy, Mario Monicelli o Luigi Comencini e il fumo si accomiatava silente in ogni angolo della sala, ristagnando, un po’ come l’Italia dell’inflazione e delle 127, un pubblico da processione in Salmo e da festa dell'Unità in fisarmonica, senz’altro da ombrello, perché le tribune coperte erano poche e allora occorreva prevenire acqua e freddo con un pesantissimo impermeabile color canarino, con il Caffè Borghetti e con la mignon di cognac nascosta dentro la tasca interna del giaccone appena comprato che, per l’amor del cielo, ti doveva bastare tutto l’inverno e forse anche quello successivo. La figurina numero 413 nella stagione di grazia 1983/84 recitava Rondinella Marzocco e rappresentò un autentica scia di cometa attraverso lo spazio fra gli anni settanta e ottanta, infilandosi in campionati di prestigio assoluto se solo si tiene presente che in fondo la Rondinella rappresentava un rione, quello di San Frediano, il rione subito sotto l’ansa inferiore dell’Arno nei pressi di Ponte alla Carraia dove la trippa è la migliore di Firenze e il giardino Torrigiani prova a far invidia a Boboli. Qui, in un bar, il Torrino di Santa Rosa, in un afoso giorno del luglio 1946 su iniziativa di un nucleo di sportivi che volevano provare a creare un'alternativa cittadina all' egemonia della Fiorentina, si misero le basi per una squadra di calcio. Certo, complicato il disegno di rivaleggiare con i dirimpettai, eppure si svolazzò con la fantasia, si svolazzò a tal punto che il nome fu adottato da una precipua peculiarità tutta toscana che ha nel colpo d’occhio la traduzione istantanea di cielo, terra e santi in arte decorativa. Accadde in effetti, al momento di battezzare la neonata società sportiva, che qualcuno tra i soci fondatori notò, incollate alle pareti del bar, alcune rondini di carta, verosimilmente un residuo del periodo pasquale o di qualche festa in costume tanto per tornare in incipit. Così si decise di chiamarla Rondinella, con firma francobollata del suo primo presidente Luigi Mochi. Cosa vuoi, "Benvenuti in casa Gori", minestrina e parenti serpenti, la seconda Categoria sembrò incavo dal pertugio insormontabile, ai tempi il gradino più basso delle serie dilettantistiche italiane non esistendo ancora la scorbutica terza, ultimo emporio della filantropica federcalcio italiana, che farà sbucare dalle porticine degli spogliatoi in calce e lamiera, saltimbanchi, guitti, mutualità, Peppone e Don Camillo, portieri smilzi, liberi dai piede piombati, e centravanti inventati solo perchè avevano il baffetto morbido alla Roberto Pruzzo. Si, ma l’esprit, la creatività, e la sottile sagacia portò la Rondinella a trovare modi ingegnosi per autofinanziarsi e progredire: uno di questi fu l'allestimento di spettacoli canori e musicali con alcune celebrità del momento tipo il locale Odoardo Spadaro o il romano Claudio Villa, che si esibirono per la squadra donandole l’incasso della serata. Al sabato sera non mancava mai la tombola, con o senza dibattito in appendice, con in premio un prosciutto, un salame e qualche bottiglia di vino "bono" , fra cartelle inchiostrate dalla solita tipografia e timbrate due volte dal banconiere, perché i furbi ci sono dovunque e non si sa mai. Ora però occorre scendere un pochino più giù: “Oh quanto fora meglio, quelle genti ch’io dico, ed al Galluzzo ed a Trespiano aver vostro confine” citando un Dante mica tanto serafico nel caso specifico. Fu in pratica appena fuori Porta Romana, al campo delle “Due Strade”, (modesto santuario laico dedito al calcio, stretto fra la periferia che avanzava e il verde non troppo lontano del Chianti, munito di una gradinata dietro la porta di sinistra e di una tribuna centrale costruita sul lato della via oggi intitolata a Stefano Borgonovo), che la Rondine spiccherà un volo dal sapore di primavera. Le mitiche Due Strade, qualcosa da circa 3000 posti a starci comodi, non bastarono in talune partite di cartello. Batti e ribatti, stagione dopo stagione, il gruppo di Renzo Melani e dell’amatissimo bomber Carmine Turano da Caivano, segnò un decennio di progressi e nel 1983 i biancorossi si ritrovarono in C/1 sotto la guida stavolta di Enzo Robotti, altro allenatore verace, senza troppi fronzoli. Sarà un anno straordinario. Basti pensare che in quel girone spiccava la presenza del Bologna e la Rondinella gli combinò due scherzi da matricola terribile andando a vincere al Dall’Ara e replicando in casa in una partita dirottata ovviamente al Comunale per evidenti scopi d’incasso ma naturalmente anche per la difficoltà logistica legata all' enorme quantità di biglietti richiesti dalla tifoseria felsinea. Dunque, ricapitolando, la Rondinella vinse a Bologna con le reti di Sergio Domini su un perfetto calcio di punizione e di Marco Calonaci lanciato in contropiede, mentre per i rossoblù segnò De Ponti su rigore verso lo scadere dei novanta minuti. Marco Marchi, fiorentino purosangue, in campo quel giorno, ricorda: “Alla fine della partita eravamo quasi increduli, ma meritammo la vittoria”. Roberto Mozzini, lo stopper, altro protagonista della storica vittoria, ancora si emoziona a pensarci: "Fu un’esperienza fantastica, spogliatoio unito, e mai un litigio”. In casa la rete invece la realizzò Marco Domenichini, su assist del lume di centrocampo Massimo Tassara. Domenichini era spezzino come spezzino era Sergio Borgo, ex bandiera della Pistoiese. Quella Rondinella del presidente Brunetto Vannacci e del centravanti Attilio Bardi giunse settima in un torneo che oltre al Bologna, secondo classificato e promosso insieme al Parma, comprendeva Lanerossi Vicenza, Reggiana e Brescia, scusate se vi pare poco. Arriverà comunque l’autunno per la Rondine, un tormento di fallimenti e di nidi molto più piccoli e angusti, ma quel volo che sfiorò la Serie B è ancora una “madeleine” evocatrice di un tempo dove i sogni non si facevano soltanto di notte.