Bisogna lasciare Piazza Venceslao, lo stuolo incessante di impeccabili camerieri che fanno carosello offrendo ai turisti caffè e liquori, nel cuore di questa città dove i palazzi sono di un gradevole stile neoclassico e il “buon Re” caracolla nel bronzo. Ma Praga evoca tragedie a ogni rintocco della sua più celebre torre, mentre le sagome in pietra degli apostoli ruotano e il gallo fa chicchirichì (all'artefice, racconta la guida, cavarono gli occhi e tagliarono le mani perché non ne potesse costruire un altro simile) nel caleidoscopio dei martiri, fra vie silenziose, le dimore dei vecchi principi boemi, freddi e gravi, con le finestre e i portoni dagli immensi cortili impregnati di malinconia stesa come una quiete religiosa di cose morte: Mastro Giovanni Buss, bruciato vivo, gli impiccati dopo la vana resistenza contro gli Asburgo alla Montagna Bianca, l'antichissimo ghetto rastrellato dai nazisti, la sofferenza di un popolo per il quale alla guerra era seguita una pace insipida, vacillante, retta da un patto politico più subito che gradito. Il Dukla Praga del 1967 è stato scia che ha brillato sopra la polvere delle rivendicazioni, sopra la primavera che verrà, quel Dukla Praga che oggi puoi forse rivedere negli occhi di qualche vecchia fioraia, nei tipici chioschi dove la gente fa la fila per comprare salsicce calde e mangiarsele subito, in piedi, intingendole nella mostarda ed aiutandosi con una fetta di pane nero e una birra a severo tasso alcolico. Il Dukla divenuto profondità tragica. Un lembo di storia del calcio perso nella selva in cui affiora la cuspide di Josef Masopust, che riga, taglia, senza soluzione di continuità l’anima dello stadio Na Juliska, vascello fantasma nel quartiere di Dejvice. Andarci è pellegrinaggio, un percorrere il Ponte di San Carlo di notte, nella nebbia, in mezzo al suo gruppo estatico di statue, nell’ immobilità del marmo destituito dal mutismo grazie alla preghiera incessante dei santi. E il Dukla Praga, squadra partorita dal socialismo reale, sognante, temuta, caduta, fallita, si ridesta nel pensiero, riaffiorando, laica ma non laicista, e nelle orecchie pare di risentire Radio Mosca, attraverso la leggendaria voce del suo speaker Yuri Levitan, colui che esordiva con: “Attenzione! Qui parla Mosca…" emissione indispensabile per la riuscita dell’operazione che favorì il congiungimento degli insorti locali con l’Armata Rossa lesta a impadronirsi di uno strategico passo di confine che darà il nome al club in cui verso la fine degli anni ‘40 confluirono i migliori giocatori cecoslovocchi. Oggigiorno sarebbe qualcosa di inaccettabile, tuttavia fu questo l’inizio della storia poco ortodossa del Dukla. Masopust fu il fuoriclasse che guidò gli orogranata per tredici lunghi anni, dal 1953 al 1966. Figlio di un minatore, nativo di Most, Masopust era un trequartista dotato di eccellente ritmo di gioco, abile a utilizzare magnificamente entrambi i piedi. Allenato da Bohumil Musil detto “Mirek”, impeccabile con il suo spezzato da maggiordomo e l’inseparabile borsalino di lana in testa, il Dukla si iscriverà alla premiata società delle meteore calcistiche. Pavel Kouba in porta, František Šafránek, le bandiere Ladislav Novák, Josef Nedorost e Svatopluk Pluskal. Il Dukla che nel ‘67 eliminò dalla Coppa dei Campioni Anderlecht e l'embrione del grande Ajax fendendo colpi dentro a una conca sparuta vessata da tribune asimettriche per poi beccare in semifinale i futuri vincitori del Celtic, scivolando via dal torneo a causa di una sola rete segnata in meno rispetto agli scozzesi e, inconsapelvolmente, lentamente, uscire al tempo stesso dalle prime pagine dei giornali sportivi a venire, acquisendo quasi la forma di una remota fattoria boema dove la fama del Dukla lavora nella bolla kafkiana di un paradosso romantico che ha oltrepassato i confini rettangolari del campo di calcio, apparendo sulla copertina di un libro, "Dukla mezi mrakodrapy" (Il Dukla tra i grattacieli) di Ota Pavel, che racconta le partecipazioni estive, dal 1961 al 1964, all’International Soccer League di New York, nel Cinema, allorchè il regista Ludek Svoboda, coadiuvato dal produttore cinematografico Petr Studének, decise di realizzare un film documentario “Hrdý na svůj klub” (Fiero del tuo club), e persino nella musica rock con “All I want for Christmas is a Dukla Praga away kit” (Tutto ciò che voglio per Natale è un completo da trasferta del Dukla Praga) del gruppo inglese Half Man Half Biscuit, canzone che scalò con ragione le classifiche dell’epoca visto che il Times ha inserito la maglia del Dukla tra le prime cinquanta divise più belle di sempre. Non era difficile, aggiungo.