sabato 16 ottobre 2021

NEL NOME DEL PADRE



Il pubblico diventò ostile, sotto un cielo puntellato di cenere, laggiù nel cuore decadente di Belgrado la "cavalleria leggera" dello Hajduk stava completando il suo ricamo sul prato dell'affollato catino del Partizan. Da un piede all'altro, gli undici spalatini nascosero la palla ai padroni di casa, arruffati e disordinati dentro le loro strizzate maglie bianconere; zero a quattro recitava l'empirico tabellone manuale dove un indispettito addetto si abbarbicava continuando a mutare il numero delle reti segnate dagli ospiti. E al culmine dell'impotenza della squadra di Belgrado, mentre senza successo i suoi giocatori cercavano anche con le maniere più dure e spicciole di togliere la palla a quelli di Spalato, il capitano Frane Matošić urlò al suo "gemello" Bernard "Bajdo" Vukas: "Dai, adesso siediti sul pallone!" Ed è successo davvero, con un sorriso freddo disegnato sul viso l'attaccante croato subì gli scoppi di rabbia delle gradinate e l’accerchiamento degli avversari ormai pronti ad alzare le mani e non solo. Bajdo si sedette sulla sfera giallognola, malata, sporca, nel bel mezzo della partita, così, alla pari di una partitella fra amici quando qualcuno chiede di interrompere il gioco per un bisognino fisiologico. "Questo è per voi, per tutti voi", gridava nel subbuglio Matošić, guardando con aria di provocazione le stelline arrabbiate del Partizan mentre la polizia cercava a fatica di riportare ordine nell'impianto del quartiere  di Autokomanda. Fu un atto di estrema umiliazione nei confronti della squadra che rappresentava l’esercito e indirettamente le istituzioni. Un guanto di sfida da parte di una squadra di una piccola città che aspettava da anni questa rivincita e in quella squadra c’era gente che visse solo per quella rivincita. Il Partizan vinceva sempre, spesso in modo insolente, soprattutto nella loro tana di Belgrado, forti di una sicurezza garantita. Zlatko Tchaikovsky e Stjepan Bobek quel gesto di sedersi sulla palla per irretire i vinti lo avevano già fatto, e lo Hajduk uscirà sconfortato nel punteggio e nell’anima. A Spalato non dimenticarono mai quel disonore. Figuriamoci perdonarlo. Ed allora arrivò il momento della vendetta, a qualunque prezzo, un lancio di dadi, rosso o nero, nella migliore tradizione balcanica. E nello stesso posto, nel centro dello stadio del Partizan, davanti a 50.000 sostenitori con la bava alla bocca. 

Questo era lo Hajduk Spalato degli anni '50. Senza paura, indisponente, testardo. Uno Hajduk che dovunque si faceva rispettare. Frane Matošić incarnava quel nome e quelle nozioni. Perchè si può essere sconfitti ma entrare in campo privi di volontà e zelo, ecco il vangelo mai abiurato dal momento in cui per la prima volta ha indossato la maglia bianca nel vecchio Stari Plac, giusto a pochi passi della sua casa natale in via Matošićeva, alla periferia di Varoš, nella tortuosa Spalato, cardo e decumano dell’imperatore Diocleziano, a picco nel blu, un mare cristallino e ancestrale, attorniato da una miriade di isole e penisole sbriciolate, a evocare un luogo quasi astratto e incomprensibile, fatto di attriti, scontri recenti, odi mai sopiti, che scorrono come le pieghe del marmo di Ivan Meštrović o come la “Barba”, la birra locale fatta con solo ingredienti di base, luppolo, orzo, lievito e acqua, nella migliore trascrizione del Reinheitsgebot, la legge bavarese sulla purezza della lager redatta nel 1516

Frane Matošić il leader indiscusso. Robusto, gli occhi a fessura a inquadrare un possibile bersaglio, i capelli una coltre di crema alle nocciole spalmata all’indietro sulla testa e il mascellone volitivo. La colpa, o l’intuizione, sarà di un allenatore, Luka Kaliterna. Nel 1935 la posizione di centravanti dello Hajduk era dibattuta fra Leo Lemešić e Vlado Kragić. L'astuto Luka Kaliterna decise di risolvere il problema alla vigilia della partita contro lo Slavija di Sarajevo chiedendo al 17enne Fran, che nel frattempo si occupava di legare le reti ai sostegni delle porte oltre che di tirare le righe di gesso, se voleva giocare lui nel ruolo di centravanti. Nello stupore generale Kragić e Lemešić vennero sistemati sulle fasce, e Frane Matošić, sorretto da un destino che passa una volta ogni cento anni, realizzò una tripletta diventando in breve l’attaccante principe dello Hajduk. 

E tale è rimasto. In tutti i libri e in tutti gli almanacchi dedicati allo Hajduk. Le cifre ufficiali dicono 739 partite e 729 gol. Pazzesco. E le statistiche sono ancora più affascinanti quando si aggiungono i numeri del settore giovanile. Matošić insomma è lo Hajduk, o se volete, viceversa. Perché Frane Matošić non solo aveva aperto la fabbrica del goal ma incarnava un'autorità nello spogliatoio, un capitano a cui sia i compagni di squadra che gli avversari portavano un rispetto ai limiti del sacro. Prima delle gare Matošić guardava severo i più giovani e chiedeva loro: “Siete pronti?”-  “Si giocheremo signor Frane”, rispondevano con una sola voce tipo coro greco. E Frane ribatteva secco: “Non sto chiedendo se giocherete, ma se combatterete?”. Ogni partita per lui è stata una battaglia di volontà e impegno, e fino al fischio finale nessuno doveva accettare la sconfitta. Scrive Miljenko Smoje: nell'aprile 1947, Hajduk Spalato e Dinamo Zagabria giocarono allo Stari Plac e Frane Matošić era in tribuna per via di una sanzione rimediata nella partita precedente. Un giocatore della Dinamo, un ragazzino di appena vent’anni, fece numeri di scuola sopraffina. Matošić volle prenderlo a tutti a costi. Preparò un piano d'azione e un mese dopo, insieme al compagno di squadra Božo Broket, aspetterà Bernard Vukas davanti all'Esplanade di Zagabria per portarlo a Spalato. L'accordo fu trovato e venne deciso di trovarsi alle 7:30 alla stazione, il treno per Spalato partiva alle 8 in punto del mattino. Matošić era nervoso, il prossimo treno sarebbe partito solo l’indomani e Bajda ancora non si vedeva. Che fosse saltato tutto? Perchè? poi, quando avevano perso le speranze maledicendo l’inutile viaggio già seduti sui  sedili del convoglio, Vukas entrò trafelato con suo padre e una valigia in mano. Bajdo Vukas completò così il più grande tandem d’attacco del 20esimo secolo dei bianchi, vincendo il titolo del 1950, l’anno dell’arrivo della Torcida sulle tribune dello Stari Plac, creata dallo studente di ingegneria Vjenceslav Žuvela su ispirazione carioca.

Una vittoria senza macchia quella del ’50, senza neppure una sconfitta, tuttavia al termine di quella stagione Frane Matošić fu portato davanti al tribunale della federazione e del partito a causa a uno schiaffo dato in faccia al difensore della Stella Rossa Branko Stanković. Quando gli fu chiesto, davanti alla commissione investigativa se si fosse pentito dell'incidente, rispose: “Mi dispiace solo di non aver colpito Stankovic ancora più forte. E questa indagine non sarebbe avvenuta se la Stella non avesse perso”.

Ovviamente questi atteggiamenti intransigenti gli costarono scarse presenze in nazionale e soprattutto l’esclusione dalla Coppa del Mondo in Brasile nonostante fosse il miglior attaccante del torneo jugoslavo. Respinse due volte Tito, che gli propose di trasferire lo Hajduk a Belgrado e trasformarlo in un club militare con numerosi vantaggi per giocatori e dirigenti. Nel 1955 l'Hajduk vinse ancora il campionato, eppure la Federcalcio della Jugoslavia lo mandò a partecipare alla Mitropa, mentre il Partizan fu scelto per partecipare alla prima edizione della Coppa dei Campioni. Matošić morì a Spalato il 29 ottobre 2007 nell'anniversario della memorabile vittoria dello Hajduk sulla Stella Rossa nel 1950. Frane Matošić, il più grande capitano della storia degli Splitski Bili, i bianchi di Spalato.

 

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