venerdì 22 luglio 2022

HEJA HEJA CIBOSI






Vi siete mai soffermati a tradurre gli sponsor apparsi sulla canotta del Cibona Zagabria? Sono state tutte aziende dell'industria alimentare jugoslava (all’epoca di proprietà statale): Kraš, Franck, Badel e Voćeche. E d’altra parte non poteva essere diversamente se consideriamo che Cibona è uno dei tanti acrostici latini apparsi in queste terre che significa letteralmente buon cibo. Questo a partire dal novembre 1975, quando il club di basket si separò dalla vecchia società sportiva chiamata “Lokomotiva” nata nell’immediato dopoguerra, passando sotto il controllo diretto delle autorità municipali della città e finendo sotto la presidenza di Slavko Šajber, uno dei politici più influenti del periodo. Mirko Novosel arrivò sulla panchina con il suo riporto permanente sulla fronte e quel grugno dà mai sazio poggiato su qualche pecenje di troppo. Certo, se fosse stato per i suoi genitori Novosel sarebbe potuto diventare un ottimo pianista o almeno ci avrebbe provato, mentre se la sua carriera fosse stata decisa invece dall'indirizzo scolastico magari avrebbe indossato la toga da avvocato, di quelli dalle arringhe emendate, teatrali, eppure profonde e convincenti. Ma Novosel, ad un certo punto, sparigliò le carte del suo destino dedicandosi anima e corpo alla pallacanestro: giocatore, arbitro, allenatore direttore, direttore generale. Mirko Novosol sarà uomo essenzialmente laborioso, un soldato come lo etichettò qualcuno della stampa, coraggioso nell’accettare scommesse su prospetti ancora acerbi e accattivante allorché si trattò di dialogare con giocatori affermati sul ciglio della carriera per rifornirli di nuovi stimoli. Mirko Novosel naque il 30 giugno del 1938 a Zagabria e giocherà oltre 120 partite in Prima Divisione con l’allora “Lokomotiva” per poi laurearsi in giurisprudenza nel 1964 e completare il servizio militare a 27 anni dopo il quale decise di porre fine alla sua carriera sul parquet, trovando lavoro presso la compagnia ferroviaria nazionale (evidentemente su raccomandazione della Lokomotiva che gestiva il trasporto su rotaia) e la domenica pomeriggio si divertiva a fare l’arbitro, solo che, ad un dato momento, nel 1967 capisce di possedere un dono per lo scouting e allora scenderà di corsa dai vagoni per sedersi in panchina debuttando come coach della Lokomotiva contro il Borac Cacak vincendo per 91 a 79. Una delle sue prime brillanti idee, fu un idea del tutta slava se vogliamo, vale a dire quella di evitare che ogni suo giocatore pagasse i biglietti del treno visto che giocavano proprio per il club delle ferrovie. Permesso accordato, almeno fino al 1975 quando, come detto, la sezione basket si separò dalla società sportiva Lokomotiva e iniziò il decennio straordinario del Cibona, e Novosel gli cucirà addosso il suo mantra più efficace: correre e tirare. Sono gli anni del "Kutija Sibica" un fabbricone di palasport stretto e alto con le tribune a perpendicolo sul campo, sorto a Tresnjevka, un area in cui un tempo si trovava un ameno parco giochi. Ma tutto sommato il parco giochi continuò a funzionare perché il Cibona di Novosel accese in maniera costante “la scatola di fiammiferi” (traduzione di Kutija Sibica). Uno dei primi passi fu prendere dalla seconda squadra cittadina, il Monting, (Industromontaza), un giovanotto riccioluto di 23 anni originario di Drnis nell’entroterra dalmato: Mihovil Nakic, eclettismo allo stato puro, capace di fare tutto, un jolly insomma, dotato di un intelligenza cestistica fuori dal comune. A 20 anni, Nakic aveva lasciato Zagabria andando tre anni negli Stati Uniti e firmando un contratto per la Brigham Young University, la stessa scuola di Cosic ma vi rimase solo per sei mesi rientrando nel 1977 per giocare, appunto, con il Cibona. Il capelluto "Nik" non era una grande star dei media, un giocatore che attirava l'attenzione per la sua eleganza o per la sua tecnica brillante, ma era una sorta di assicurazione sulla vita per tutti gli allenatori, l'uomo chiave della difesa. Sotto le plance Andrija "Andro" Knego acquistato dallo Jug di Dubrovnik, ragazzino di bell’aspetto sfuggito di un nulla al richiamo della pallanuoto (oggi la sua canotta è appesa su in alto nella nuova Drazen Petrovic Hall), il tiratore di Pola, Sven Usic che notte, appen arrivato al Cibona fu chiuso per errore negli spogliatoi prima della partita. Usic dopo aver bussato invano alla porta prese a scaldarsi per la partita tra le panchine degli spogliatoi, e quando qualcuno dello staff si accorse del problema e tornò a prenderlo lui entrò realizzando un clamoroso 12/12. Dopo la partita, Novosel scherzosamente gli disse che lo avrebbe rinchiuso ogni volta in qualche sgabuzzino. In regia il playmaker Aleksandar “Aca” Petrovic, colui che gli addetti ai lavori credevano dover essere il vero predestinato della famiglia; preso a 15 anni mentre stava facendo sfracelli nei tornei federali giovanili e marcatore del canestro decisivo contro il Real Madrid nella finale di Coppa della Coppe del 1982. In quella squadra si vide pure l'utilissimo Zoran Cutura (un giornalista mancato, ma meglio così, visto che cominciò a fare l'editorialista prima di approdare al parquet) e i centri Franjo Arapovic, nato da famiglia croata in un villaggio bosniaco vicino a Mostar, e Branko Vukicevic (unico serbo dentro una squadra totalmente dedita a San Giuseppe, San Biagio e San Doimo e, verrebbe da dire alla bottiglia, sacra a modo suo, di birra Karlovacko). Ma fu solamente nel 1984 che il grido “Heja Heja Cibosi” fu davvero pronto a innervavare di passione i ferri e le gradinate dell' imballatissimo Kutija Sibica (mentre gli altoparlanti dell'impianto elargivano la musica del gruppo Električni Orgazam che spopolava con “Les Chansones Populaires” etichetta “jugoton”) ebbe risalto totale nel continente, perché nel frattempo a Zagabria era pervenuto dal “Sibenka” il fratellino di Aca, Drazen Petrovic: malformazione alle anche, e soprannome che nel gioco pareva tutto un programma a smettere: “Kamenko” (pietraio). Di carattere ombroso e taciturno, il suo mondo era tutto racchiuso nello spazio del rettangolo di gioco. Il caso volle che potesse disporre della palestra della scuola a pochi passi da casa tutta per sé e così ogni santo giorno, a partire dalle sei del mattino, Drazen raggiungeva quel luogo per lui magico e iniziava con cura maniacale a dare libero sfogo al suo istinto. Era una magnifica e spietata ossessione la sua: provava per ore il tiro da tutte le posizioni, centinaia, migliaia di volte; cercava di affinare e ripetere all’infinito quei movimenti e gesti tecnici che vedeva compiere dai grandi campioni assistendo in tv ai loro match. Si può affermare che fosse posseduto faustianamente dal basket, quasi volesse esorcizzare e placare le proprie angosce interiori. Il suo totale autismo devozionale portò il ragazzino a diventare il riccio talentato esploso nella palestra di Sibenik, il ragazzo delle finte, del dai e vai, delle penetrazioni, del tiro euclideo, ma era anche lentezza in sospensione, un illusione di stravizio, un giovane lupo nell’angolo di bosco meno educato, più propenso alla macchia, che scoraggia i passi e promette solitudine. Solo così né percepisco davvero un senso di eternità che non può esaurirsi nella carne e nel sangue di quel maledetto 7 giugno 1993. Il Cibona di Novosel e del giovane "Mozart" vincerà in maniera scontata il primo campionato disputato dopo l'introduzione della linea da tre punti, fattore che dava ulteriori vantaggi a una squadra già piena di ottimi cecchini. Un giorno d'ottobre scendendo in campo più nervoso del solito ne metterà a referto qualcosa come 112 affrontando lo Svelt Olimpia di Lubiana, superando il record di 74 realizzato da Radivoje Korac risalente al 1962. Nemmeno la Stella Rossa di Ranko Zeravica seppe opporsi in maniera convincente. E con Drazen in squadra il Cibona si mostrerà in tutta la sua eleganza, vincendo nel 1985 la Coppa dei Campioni ad Atene contro il Real Madrid battuto 87 a 78. I “Vukovi” decisero di fare la storia in una manciata di anni, (sì ripeterono la stagione seguente piegando lo Zalgiris Kaunas, stavolta con  Zeljko Pavlicevic in panchina) perché sapevano che quello o mai più sarebbe stato l'attimo da cogliere al volo, e poi in fondo a loro piace giocarsi tutto al tavolo verde, è una dipendenza all'azzardo, sia traslitterato in un tiro, in un lancio di dadi, o in un giro di carte; più rischioso certo, eppure più vicino a dogmi da evangelizzazione balcanica; là nel grande salotto pavimentato di Zagabria, in piazza Josip Jelacic, la cui statua equestre più volte riposizionata, oggi punta l’indice verso il nemico più attuale, in quell’immenso rettangolo, in quel brulichio incessante di generazioni, in quel confine urbano fra Gornij Grad e Donij Grad, tra la pianura Pannonica, la sponda alta del fiume Sava e le pendici del Medvednica, dove si sviluppa una dimensione corale, radicata nella terra, intrisa nell’acqua, e anelante al sacro, come quella splendida canotta blu del vecchio Cibona. Oh, è proprio vero, Sic transit gloria mundi.

 

THE GATE OF SHEL'S

  Diciamolo, ci avete fracassato il cazzo con gli stadi nuovi tutti uguali. Ma qui siccome siamo a livelli straordinari di decadenza occorre...