giovedì 4 agosto 2022

HENDON MEMORIES


Erba alta, corvi, gradoni sbrecciati, assi cigolanti, e un vecchio custode che ogni tanto piange. Un gruppo di poveracci che spesso superando agevolmente le barriere divelte, si rifugia dalla pioggia e dalle intemperie sotto l’ormai precaria copertura della tribuna posta sul lato opposto della strada principale. Un riparo di fortuna, un bivacco improvvisato, domani sarà un altro giorno e forse andrà meglio. Strano a dirsi anche perché questa è una zona di Londra piuttosto benestante, con una folta rappresentanza ebraica. Eppure se vogliamo raccontare un pezzo importante della storia dell’Hendon Football Club, dobbiamo per forza vedere nella fatiscenza e nell’abbandono di Clermont Road il bicchiere mezzo pieno. In fondo tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine. Il fascino esercitato dai resti sia pure malandati e scalcinati, è alla base di un’estetica che alimenta sgomento misto ad ammirazione. La rovina è apprezzata per la sua incompletezza, per i segni che il tempo dell’abbandono inesorabilmente vi ha lasciato. Per la vegetazione incolta che la ricopre, per i suoi muschi e le sue crepe. Ma l’emozione che cerchiamo è anche quella prodotta da una nostalgica risalita mentale verso la loro passata integrità, e a questo punto siamo sopraffatti da una forma di reverenza verso ciò che sono state, e hanno rappresentato. Occorre leggerlo il declino, occorre riportare in vita le tracce del passato come un qualcosa che certamente appartiene alla storia, ma che resta contemporaneo.

“Un giorno capirai..” dice il nonno, passeggiando con il nipotino..

Londra sobborgo di Cricklewood, Borough of Barnet. Qui c’era la casa dell’Hendon, che semplicemente prendeva il nome da una sua strada locale, Clermont Road, lunga, con tante casette dai comignoli svettanti e a due passi dalla ferrovia. Hendon, si traduce anche in cameratismo, amore per il calcio, e senso di comunità, di gruppo. Nel libro quinto, dell’Eneide di Virgilio, quando Enea indice dei giochi in onore del padre Anchise, abbiamo la suggestiva corsa delle navi. Ce n'è una che procede più decisa delle altre. Più spedita, più convinta.

I suoi energici rematori battono tutti gli altri:

"Possunt, quia posse videntur". Possono, perché pensano di farcela.

Digressione latina non casuale. E’ il motto che si legge sotto l’emblema dell’Hendon, sotto quell’agnello simbolo della mansuetudine, dell'umiltà, dell'innocenza e della purezza, e per questo simbolo della cristianità, di Gesù degli Apostoli e dei Martiri, che con la zampa destra sostiene una bandiera crociata. E non poteva essere altrimenti visto che nel 1908 quando il sodalizio muove i suoi primi passi, lo farà con il mistico nome di Christchurch Hampstead. Amen.

Verdi, ma non subito. Hendon ma in seguito. Solo dal secondo dopoguerra si raggiunse il connubio definitivo fra nome e colore. Verde, il colore simbolo della rigenerazione, non violento, tranquillo, e appagante per gli occhi poiché associato alla natura. Sarà con questa tinta, listata di candido bianco, che l’Hendon FC conquisterà i maggiori successi della sua storia. Cinque volte a Wembley per la finale della FA Amateur Cup. La prima volta nel 1955 sconfitto 2-0 dal Bishop Auckland di fronte a 100000 spettatori, infine nel 1972 contro l’Enfield, di cui rimane un taglio nell’anima a forma di sorriso per l’ultima grande affermazione di questo club. In mezzo, le vittorie del 1960, del 1965, e la sconfitta con il Wealdstone, del 1966 per 3-1.

Clermont Road vede la luce il 18 Settembre 1926 in un pareggio di FA Cup contro il Berkhamsted, proprio nell’anno in cui all’Hempstead venne tolto il suffisso "Town".

La Coppa d’Inghilterra, eccola. Era qui che volevo arrivare.

A una foto in bianco e nero, con una targhetta dorata su cui era incisa una data precisa. Cinque gennaio 1974. Era stata scattata al St. James’ Park di Newcastle, durante la partita valida per il terzo turno di FA Cup di quella stagione. Si vede in primo piano un giocatore in piena area di rigore nell’atto immediatamente successivo al tiro in porta. Ha il naso a punta come un moschettiere da operetta e un ciuffo ostinatamente pendente a destra. Su di lui tenta vanamente un’uscita arrembante il portiere delle Magpies, mentre un difensore in maglia bianconera rinviene inutilmente solo per constatare con occhi di ghiaccio l’inesorabile marcatura.

Forse è tutta qui la storia dell’Hendon in Coppa d’Inghilterra. Forse è tutta in quel Technicolor anni settanta, che fino a pochi anni fa faceva bella mostra di se, appeso nella sala riunioni del club house di Clermont Road. Uno di quegli scatti indovinati, capaci di imprimere sulla pellicola, non solo l’immagine ma anche sfumature emotive, che catturano l’attenzione dell’osservatore. Stiamo trattando dell’attimo fuggente in cui Rodney Haider, per tutti Rod, siglerà uno storico pareggio esterno in casa del Newcastle di Malcom MacDonald davanti a una folla di oltre trentamila persone. Haider era il capitano di quell’Hendon. Era nato nel 1943 e ventiquattro anni più tardi, esordirà con la maglia verde in una trasferta vittoriosa contro il Dulwich Hamlet. Chissà dove si troverà adesso quella foto, quella reliquia da culto pagano. Forse magari in casa dell’eroe stesso, di Haider, il giocatore più amato nella storia di questa società, con 695 presenze condite da 165 reti. Un autentico idolo, insieme al portiere e compagno di squadra, John Swannell. Un Haider che a carriera agonistica conclusa, ha comunque voluto continuare a essere partecipe delle vicende di questo club, restando uno dei responsabili del sodalizio.

In quel gennaio del 1974 a Newcastle incombeva ancora il fantasma dell’Hereford. Quell’eliminazione clamorosa patita nel replay dopo uno sciagurato pareggio casalingo.

Sarà anche per questo motivo, che nel momento sempre bello e affascinante del sorteggio, il manager delle gazze Joe Harvey, capisce subito che sarebbe occorso tenere a bada l’entusiasmo di questa squadra amatoriale londinese, in salita verso il nord a cercare un giorno di gloria. A essere sarcastici verrebbe da dire che in fin dei conti si trattava di uno scontro fra due formazioni di prima divisione. Con l’unica “sostanziale” differenza che il Newcastle United era ragguardevole compagine della massima serie inglese, e l’Hendon invece era iscritto alla più modesta Isthmian League.

Un torneo quello “istmico” datato 1973/74 che i greens chiuderanno con un eccellente secondo posto alle spalle del Wycombe Wanderers, ottenendo sessantatré punti in quarantadue incontri.

Se si soffia via un po’ di polvere da vecchi documenti d’archivio, si fa una particolare scoperta che aleggia sulla storia dell’Hendon moderno. Vale a dire un suo omonimo ottocentesco. Ma non sforzatevi di trovare per forza un suo quadro nella galleria degli avi, semplicemente perché questo primo Hendon, fondato nel 1876, non ha niente a che vedere con quello sorto nel 1908. Un club che fra le altre cose l’Hendon “Hempstead” cercò perfino di aiutare agli inizi degli anni trenta con un paio di amichevoli nel tentativo risultato vano di raccogliere fondi per la sua sopravvivenza. Quel pionieristico Hendon era perfino arrivato a disputare i quarti di finale dell’ FA Cup nel 1883, e un suo giocatore, un certo Charles Plumpton Wilson raccolse due presenze con la maglia della nazionale inglese l’anno successivo.

Nessuno ambiva a tanto in quel 5 di gennaio. Dopo le lunghe qualificazioni di rito, nei primi due turni “proper” l’Hendon aveva eliminato dapprima il Leytonstone vincendo in casa 3-0 grazie alla doppietta “baffuta” del centrocampista Kieron Sommers, e alla rete di John Baker. Un risultato e una coppia di marcatori che si ripeterà anche nella partita successiva in trasferta con il Mertyl Tydfil, in collaborazione questa volta con il lungo e stempiato difensore centrale Alan Phillips. L’Hendon scese in campo a St.James con una deliziosa maglia verde con doppia stretta banda bianca obliqua sul davanti. Pat Howard porterà in vantaggio nel primo tempo il Newcastle, ma nella ripresa il piccolo Hendon si scrolla l’emozione di dosso e reagisce colpendo il gigante assopito nelle sue certezze, evidentemente poco attento alle raccomandazioni pre gara del suo allenatore. E così Rod Haider infilò McFaul da distanza ravvicinata e lo spettro di Hereford si materializzò sulle facce di Super Mac e compagni. L’Hendon aveva bloccato nel suo tempio il Newcastle, e il sorprendente risultato finì sulle prime pagine dei giornali. Ora l'attesa era tutta per il replay da giocarsi a Londra.

Non a Clermont Road. Questo fu piuttosto chiaro fin da subito. Il modesto impianto casalingo dei greens non sarebbe certo riuscito a soddisfare le massicce richieste di biglietti e si scelse di giocare nel vicino e più capiente Vicarage Road, lo stadio dell’Watford.

Diciamolo subito. Non ci fu storia.

Non ci fu un altro “Hereford” per il Newcastle. Il 9 di gennaio si giocò la ripetizione in una giornata grigissima di freddo pungente, su un terreno reso pesante dalla pioggia dei giorni precedenti e davanti alle telecamere della BBC, che forse pregustava un'altra sorpresa da mostrare agli sportivi inglesi. Solo che Peter Deadman lascerà troppo spazio a MacDonald che colpirà subito con un gran tiro da fuori area sul quale John Swannell in sgargiante divisa rossa non riuscì a opporsi. Nel secondo tempo Terry Hibbitt s’inventò un goal da cineteca, e poi Mc Dermott realizzò magistralmente un calcio di rigore causato da un fallo di mano del terzino Gary Hand. Infine, in chiusura arriverà il centro di John Tudor. Poker servito e Hendon a casa.

A casa, per festeggiare lo stesso, perché quello, pur nella sconfitta, resterà uno dei momenti più memorabili di questo club.

A casa, perché per lo meno, quella sera una casa tutta loro c’è l’avevano..

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