mercoledì 13 dicembre 2023

THE STANKS


Berwich-upon-Tweed nel Northumberland è la città più a nord dell'Inghilterra a 2,5 miglia circa dal confine con la Scozia. Lo è dal 1482, quando passò definitivamente in mano inglese seppure non interamente. E nei Borders, la frontiera non è mai stata una semplice traccia su una mappa geografica. Occorre interrogarsi sul senso da dare alla parola “Unito” nella locuzione “Regno Unito”. E' una questione complicata, difficile da gestire, spinosa come il cardo simbolo del paese limitrofo. Non è passato un eternità da quando qui si sentivano distintamente le esplosioni di coloro che nel vecchio originario centro di Berwick (ancora locato in territorio scozzese) facevano saltare in aria le cassette della posta fabbricate in Inghilterra e marcate Elisabetta II. Con un libro di storia in mano e un candelotto nell'altra gli scozzesi facevano notare (se vogliamo con una discreta logica) che l'Elisabetta originaria non era la sovrana del Regno Unito ma solo dell'Inghilterra. Dunque il ragionamento in un certo senso scorre. Se la ex Regina era Elisabetta II, doveva essere anzitutto Elisabetta I di Scozia, e conseguentemente del Regno Unito. A un certo punto si parlò pure di spostare il confine per permettere un ritorno in Scozia ma l’idea naufragò senza sviluppi ulteriori. In ogni caso alla fine questo tipo di argomentazioni, da ferventi nazionalisti, pare lascino tutti perfettamente imperturbabili quando si parla di calcio. E infatti in quest’ambiguità di fondo il Berwick Rangers Football Club, data di nascita 1881, nonostante batta bandiera di San Giorgio, gioca tranquillamente nel sistema calcistico di quelli con la croce di Sant’Andrea. Una scelta dettata dall’economia del club di Shielfield Park che non si potrebbe permettere lunghe e costose trasferte nel sud inglese e quindi si è subito adattato al clima del vicinato alternandosi (salvo un fugace momento di gloria a cavallo fra i settanta e gli ottanta; diciamo da Dave Smith a Jim Jefferies) fra le ultime due serie professionistiche, che in questo caso di professionismo onestamente hanno avuto sempre poco se non un vago sentore, un po’ alla stregua di quelli che si avvicinano alle finestre della cucina di un ristorante di lusso solo per sentirne gli odori visto che i prezzi del menù non rientrano nelle loro possibilità. Ma volete mettere un porridge girato lentamente sul fuoco, con lo "spurtle" per togliere i grumi, e servito con del sale e un po’ di whisky? Tuttavia a Berwick c'è dell'altro, forse l’appuntamento più atteso dell’anno, ossia la "Berwick Charities Cup", una competizione calcistica amatoriale per raccogliere denaro da dare in beneficenza, che si gioca dal 1922 fra maggio e giugno in un luogo unico e bellissimo. Oh, il torneo è gestito da un piccolo gruppo di volontari fra cui l’ex leggenda del Reading Les Chappell. Vi partecipano squadre di pub, dopolavori ferroviari e aziendali, comprese le squadre della polizia e dei pompieri locali, oltre a ragionieri alla Fantozzi e fancazzisti vari. Insomma basta iscriversi in tempo, darsi un nome e lasciare un contributo. Lo scenario è probabilmente il più suggestivo che si possa trovare, un campo appena fuori città come nessun altro, costruito sulla cima di una collina circondata ai due lati da imponenti fortificazioni elisabettiane erette nel tardo ‘500. Il tutto si chiama “The Stanks” un'antica parola scozzese che significa fossato o luogo paludoso. Ed in quest’erba ruvida, al limitare di questo pezzo d’architettura militare Tudor, abbastanza grande da poter delimitare un campo da calcio, si svolgono gli incontri utili a raccogliere sostentamenti per i più bisognosi, ormai da 100 anni.






venerdì 8 dicembre 2023

IL FRUTTETO DEI CILIEGI



Marzo 2016, ho controllato. Vostochnaya, zona sud-ovest di Mosca, vicino al parco Gorky e alla stazione della metropolitana di Avtozavodskaya. Gocce di pioggerella finissime simile ad aghi di vetro ti pungono sulla pelle scoperta, ai lati della strada principale si ergono le case di Velozavodskaya, dove viveva Valerij Voronin con le finestre affacciate sulla ferrovia di Kursk e sul “il frutteto dei ciliegi” lo stadio eretto nel 1959 quando sulla collina di Vostochnaya si riuscì a costruire l’unica tribuna dell’impianto, detta "Est", l’altra, "l’Ovest", dovette aspettare il 1976 per ospitare i tifosi della Torpedo, forse la meno "glamour" delle squadre della capitale russa ma sicuramente una di quelle dal fascino semiotico più forte. Oggi lo stadio non si presenta più lo stesso, quel che restava del vecchio irsuto impianto è stato abbattuto, roba da far salire ai pensieri la solita amena nostalgia per le cose perdute di ordine morale, probabilmente un’ipocrisia costante eretta a sistema, ma d’altra parte non si può senza conseguenze, mostrarsi ogni giorno diversi da quello che siamo, da quello che ci si sente: sacrificarsi per ciò che non si ama, rallegrarsi di ciò che ci rende infelici. Ecco, la frase avrebbe fatto felice quel malinconico di Boris Pasternak e il suo Dottor Zivago. Lo stadio è completamente nuovo, di plastica, utile ma senza la minima arteria di collegamento al battito profondo del cuore della Torpedo di un tempo. Ci sono un paio di gradinate dai sedili verdi e le biglietterie in cima a un vicolo, anzi a una scalinata dove un artista russo chiamato in arte “Misha” ha disegnato sui muri a lato una raccolta di graffiti: le immagini di tutti i migliori giocatori della Torpedo Mosca da Eduard Streltsov, la cui tomba in granito si erge cinerea nel cimitero di Vagankovo, fino ai vincitori dell’ultimo campionato sovietico da parte di questo club nel 1976 grazie alla squadra guidata da Valentin Ivanov ex velocissima ala destra oltre che tabagista impenitente, e dal suo assistente Viktor Shustikov, discreto pungiglone tattico probabilmente dovuto anche dalla sua innata passione maniacale per gli scacchi, ma in Russia non è mai stata una novità l'amore per il gioco. Smette di piovere, i passi sull'asfalto adesso strepitano alla pari di umidi cantori: La Torpedo Mosca, il club con la grande T sul cuore cucita sulla maglia bianca come la luna non nascerà subito, o meglio, rettifichiamo, occorre tornare indietro ed entrare dentro un’officina per provare a scrivere del rumore perché sicuramente la prima cosa che uno deve aver sentito entrando in una fabbrica del 1924 deve essere stato il rumore; il rumore è la cosa più importante, difatti uno più che guardare sta a sentire senza volontà quel gran rumore che cadeva addosso come una doccia. Solo dopo un primo momento si cominciava a distinguere i tipi di rumore; quello continuo dei torni e dei trapani, e poi, lo squillo del metallo. Bisognava aspettare del tempo invece per sentire il rumore degli uomini; appena entrati si vedeva che parlavano tuttavia assomigliava a cinema muto, si muovevano certo, senza però che a tali gesti si potesse attribuire un suono. Lentamente, soprattutto con l’abitudine si udiva la cagnara ponderata delle voci, dei passi, dei gesti.. Nella fabbrica, tra il grande frastuono delle macchine, l’orecchio finisce però sempre per scegliere le voci degli uomini, il loro brusio. Ed ecco allora come doveva presentarsi lo stabilimento di Likhachev immensa cattedrale di ferro e cemento con un’unica navata grigiastra e i fianchi arabescati da geometriche carpenterie percorsi da fasci di tubi simili a sistemi venosi, scalette, binari, corridoi e in mezzo a tutto questo lei, la catena di montaggio, linea di demarcazione che separava il contorno dalla sostanza. Qui dentro nell’anno aperto dalla morte di Lenin nasceva la Proletárskaya Kúznitsa, la Forza Proletaria. La cosidetta Forza Proletaria era una paccottaglia di uomini turpi e sgrassati impegnati nel dopolavoro a calciare un pallone, costretti a cambiare nome quando la fabbrica venne acquistata da un'impresa statale del settore automobilistico, la ZIL, che si occupava della fabbricazione camion e poco dopo divennero la squadra aziendale dell’Avtomobilnoe Moskovskoe Obščestvo (AMO), una ditta sul ventaglio della precedente, anch'essa dedita ai mezzi di trasporto, in particolare di auto, assumendo la definitiva denominazione di "Torpedo" nel 1936, nome che non cambierà più. Straordinario quel simbolo, sia in origine che dopo il restyling, un ributto di socialismo integro e futuristico, la T già da sola è monolite se poi solcata successivamente da un ingraggio dentato e da un “siluro” obliquo, ossia un autoveicolo da corsa puntato verso l’alto, diventa davvero "un’ assalto al cielo" che produrrà successi solo dopo il secondo conflitto mondiale anche perché, dopo la conquista di una coppa nazionale nel 1949 ancora di quelle con il colbacco in testa e i bicchierini di vodka sul tavolo degli spogliatoi. Negli anni cinquanta l'URSS aveva ottenuto una straordinaria nidiata di giovani promettenti campioni. Per la sfida - spalleggiata naturalmente dal PCUS - del pallone staliniano alle nazioni occidentali. La spina dorsale della celeberrima CCCP (vincitrice degli Europei 1960, finalista quattro anni dopo e quarta ai Mondiali 1966) uscì proprio dalla Torpedo Mosca. Dal capitano Valerij Voronin, al regista georgiano Slava Metreveli, oltre al già citato Valentin Ivanov. Su tutti, “deus ex machina” Eduard Streltsov, il "Pelé bianco" celebrato in molti libri, una carriera da fenomeno scolorita per essersi beccato cinque anni (previa riduzione) in un gulag con l'accusa di aver rifiutato il trasferimento o nella squadra del KGB (la Dinamo) o in quella dell’esercito (il CSKA). Non è dato sapere quel che è accaduto realmente, nella sentenza non poteva essere il solo calcio a decretare tale condanna, e infatti si è parlato di altro, di un abuso sessuale, di un offesa, di un epiteto rivolto alla figlia di un uomo troppo potente in quel periodo. Prove confuse e qualche insinuazione da parte del tecnico della squadra nazionale della tempo, Gavriil Kachalin, perfino il premier sovietico Nikita Khrushchev sembrava coinvolto nell'affare Strelstov, e ciò aggiunse diversi strati di foschia alla storia. Streltsov fu condannato a 12 anni di lavori forzati e ha ricevuto l'ergastolo dal calcio professionistico. La sua carriera era praticamente finita. Con il loro talismano occultato, la Torpedo avrebbe avuto anche una scusa legittima per tirarsi indietro, per chiudere i conti con la storia a due mandate, ma inaspettaatamnete, quando vinsero il titolo nel 1960,  questo venne celebrato come un trionfo del collettivo sull'individuo. I goal di Gennady Gusarov stavano (o potevano) forse sostituire quelli del suo illustre predecessore? Certamente in termini di personalità Streltsov appariva insostituibile. Streltsov uscirà fuori dal Gulag cinque anni dopo la sua condanna, ancora però bandito dal gioco professionistico. Farà solamente delle presenze con la squadra amatoriale dello stabilmento ZIL finchè quando Krusciov perse la poltrona di segretario di Stato estromesso da Leonid Brezhnev, quest'ultimo per acquisire prestigio e garantire soddisfazione al popolo, si affretterà a rispondere alla petizione che chiedeva la fine del divieto di Streltsov ai campi da calcio ufficiali, nell'incombenza dei mondiali inglesi. E il suo ritorno guarda caso coincise con un nuovo successo della Torpedo allenata da Viktor Maryenko sopra di un punto alla Dynamo Kiev nel 1965. Naturalmente al di là dell’episodio controverso l’obiettivo del "Partito" era quello di presentare i calciatori alla stregua di cittadini sovietici esemplari, sul campo insomma avrebbero dovuto influenzare gli spettatori, affinché nella vita di tutti i giorni replicassero il loro comportamento, mostrassero gli stessi valori: modestia, moderazione, lealtà e istruzione. Occorreva innanzitutto differenziarsi dai loro colleghi occidentali attraverso una disciplina e uno stile di gioco collettivo, e sugli spalti distinguersi dalle forme di teppismo nascente degli anni '60. A tal proposito è sempre propedeutico, nonostante la scollatura di luogo, ricordare quello che disse Nick Hornby quando assistette alla sua prima partita di calcio dal vivo. Non erano i giocatori o le dimensioni dello stadio che lo hanno impressionarono, ma la ferocia e la rabbia dei sostenitori, nel complesso ostili e aggressivi. Questo era il tipo di ambiente che i funzionari sovietici cercavano, fin troppo, di prevenire. Ma torniano alla Torpedo. La prima grande serata europea fu il ballo alla Scala. Coppa dei Campioni 1966/67, a San Siro contro l’Inter di Helenio Herrera, una serata quasi autunnale, fosca, i nerazzuri già con due trofei continentali in vetrina a caccia del tris. Della Torpedo nessuno sapeva niente, era un carosello di atelti scesi da un gigantesco "Aeroflot" sovietico allenati da Viktor Maryenko, e tanto per gradire con Valdimir Brednev faranno subito prendere una discreta paura a Sarti salvato dalla traversa e dal rimbalzo fortunato (dentro o fuori? attenzione le poche immagini non rendono giustizia). L’Inter  ad ogni modo vincerà grazie a un tiretto di Mazzola deviato in porta da Voronin ma in sostanza la squadra italiana non riuscirà mai a mettere in difficoltà la porta difesa da Anzor Kavazashvili. Al ritorno l’importanza dell’incontro farà traslocare la Torpedo nel più ben capiente e centrale stadio Lenin e nemmeno la cortina di ferro impedì di sapere che la squadra sovietica stava preparando con estrema cura la partita in una “Dacia”, praticamente un'abitazione situata in campagna e di solito posseduta dagli abitanti delle grandi città che la usano per trascorrervi le vacanze o per affittarle ad altri villeggianti, a circa 40 km da Mosca. Un “Lenin” catino immenso senza tettoie, imballato da oltre 100000 persone per un pareggio a reti inviolate senza troppe emozioni che alla fine promosse i nerazzurri. Si potrebbe parlare di canto del cigno, se non che dieci anni, nel 1976, il giocatore più giovane (e non sposato..) della Torpedo, tale Lyokha Belenkov, durante il ricevimento tenutosi al palazzo della cultura “Zilov”, venne baciato dalla cantante Alla Pugacheva dopo che quest'ultima aveva cantato per la squadra appena laureata campione nazionale. Fu una vittoria con un aneddoto curioso. Durante un periodo di scarsa applicazione e risultati insoddisfacenti il tecnico Ivanov decise di portare tutto il gruppo per un giorno intero all’interno della Fonderia ZIL dove si narra che alla vista della fatica degli operai i volti dei suoi giocatori cambiò repentinamente e dalla domenica seguente la marcia verso il titolo non ebbe più fermate brusche. In quella formazione brillarono il portiere Anatoly Zarapin, il capitano Sergej Yurin, lo stopper Yuri Mirotov e l’attaccante Sergej Grishin. Dopodichè quasi un ventennio di scarsi risultati e crisi interne. Per trovare un'altra comparsata degna di nota si dovrà addirittura attendere il 1992 quando un gruppetto terribile in cui spiccavano Gennadiy Filimonov, Andryukha Gubin, Artur Smolyaninov e da Valery Sarychev (il portiere con le mani da pianista) eliminarono il Manchester United dalla Coppa UEFA ai calci di rigore dopo due vacillanti 0-0. L’aspetto quanto meno curioso è che prima della partita, gli inglesi hanno offerto alla Torpedo scarpe nuove di marca a dir poco costose, in modo che potessero indossarle all'Old Trafford. Il difensore Filmonov racconterà in un aricolo del "Guardian" che l’offerta fu certamente valutata ma aggiunse: "sapevamo bene che dopo 10 minuti non saremmo riusciti a camminare a causa dei calli". Insomma si rifiutarono, e affrontarono lo United di Ferguson con le loro scarpe usate. Oh, a quanto pare portò bene, e dopo la fine della carriera, lui, Filmonov, si è messo a fare il tassista a Krasnogorsk.







 





LA VIOLA D'INVERNO

  I ricordi non fanno rumore. Dipende. Lo stadio con il suo brillare di viola pareva rassicurarci dal timore nascosto dietro alle spalle, l’...