Diciamolo, ci avete fracassato il
cazzo con gli stadi nuovi tutti uguali. Ma qui siccome siamo a livelli
straordinari di decadenza occorre partire da un’evocazione: “Wake up Dead Man”.
Da Pop (U2) traccia 12. Si vocifera in
via ufficiosa che le prime strofe della canzone mister Paul David Hewson, in
arte Bono, le abbia scritte su un tavolino dell’inossidabile Fagan’s nel
quartiere dublinese di Drumcondra. Localino di quelli da meditazione, il
Fagan’s; intarsi, bauletti in stile isola del tesoro, foto di scrittori,
bancone in quercia, divanetti imbottiti, sgabelli con la seduta in pelle
fissata da chiodi d’ottone, luci soffuse, pavimento a lisca di pesce e qualche
delicata moquette nei punti giusti. Non ci sono i vetri istoriati e qualcosina
di troppo moderno c’è, ma, oddio, alla fine sono peccati veniali e poi basta
non farci troppo caso perché, quando ti arriva una Smithwicks e una fumante
zuppa di funghi ti rianimi e a quel punto va preso per buono l’incipit. Dovrei
parlare del gran momento dello Shelbourne FC ma siccome il suo amato Tolka Park
è incastrato a Drumcondra dove anche Joyce si soffermò a fissare la vita che
passava nei pressi del Royal Canal qualche divagazione stuzzica. In fondo di
curiosità ce ne sarebbero, per esempio il fatto che una “stand” del vicino
Croke Park è stata eretta con le macerie prodotte dai cannoni inglesi durante
l’insurrezione del 1919. Va detto che lo Shelbourne, fondato nel 1895 nella
zona di Ringsend da un certo James Rowan, senza peccare in fantasia prese il
nome dalla Shelbourne House dove era stata allestita una raccolta fondi per
consentire al club di acquistare l’equipaggiamento e pagare la quota di
affiliazione alla lega. Squadra di spessore lo Shelbourne, la prima ad aver
cucito i tre castelli cittadini sulla maglia e la seconda in fatto di trofei
vinti in patria dietro solo allo Shamrock Rovers con cui ha condiviso lo stadio
per diverso tempo. Il Tolka Park attuale è uno di quegli impianti a cui non è
servito un minimo di lifting per nascondere la lanugine dell’età ed ogni
gradone corroso può raccontare una storia. Al Tolka se dovete correre in bagno
ce ne uno all’angolo con la scritta "Toilet" incisa a stampo sul
legno e dentro troverete il "gabinetto" alla turca o con i piedoni,
fate voi, e durante l’evacuazione fuori dalla piccola finestra sgangherata
potrete notare ( se alzate la testa ) enormi gabbiani sui tetti degli edifici
adiacenti allo stadio accompagnati dal vento salino mentre in un casotto
annerito da un incendio hanno ricavato un serraglio di club shop chiuso da una
saracinesca modello officina. Eppure qui hanno giocato la prima partita sotto i
riflettori in terra irlandese e il Tolka ha avuto un ruolo ben oltre quello di
calciare un pallone, vive nei cuori delle persone, è sempre stato un impianto
che ha collegato le famiglie della zona attraverso generazioni, un luogo che ha
anche un anima come si usa dire, qualcosa più di un terreno erboso e cemento, è
una comunità. Insomma, non puoi non voler bene a qualcosa di così fatiscente e
ingenuo, aspro se volete, eppure è proprio questo suo anacronismo deliberato a
renderlo poetico. Mi pare chiaro sia nata anche un’associazione per salvarlo
dalle insidie dei tremendi piani regolatori, il “Save The Tolka”. Negli anni
’60, sotto Gerry Doyle, lo Shelbourne costruì una delle squadre migliori di
sempre andando a disputare gare di assoluto prestigio a livello europeo contro
Barcellona, Atletico Madrid e Sporting Lisbona. In quel gruppo c’erano Tony
Dunne (che vinse una Coppa dei Campioni con il Manchester United), Freddie
Strahan, Christy Doyle e Tommy Carroll. Altro lustro da menzionare è quello dei
‘90 con in campo la leggenda Tony Sheridan detto “shero”, seguito dal gradito
ritorno del ragazzo di Crumlin, Pat Scully, ingaggiato giovanissimo niente meno
che dall’Arsenal di George Graham anche se non giocò mai in prima squadra e
durante tutto il suo lungo periodo inglese finì per conquistare soltanto un
trofeo minore a Wembley indossando la maglia dell’Huddersfield. Nel 2000 Scully
firmerà per lo Shelbourne vincendo da capitano 3 Coppe d’Irlanda e un titolo
nazionale insieme al cugino di Robbie Kean, Jason Byrne, Owen Heary e Wes
Hoolahan che in seguito diventerà protagonista di un intero decennio del
Norwich City. Finalmente, dopo anni di purgatorio, chissà per quale strana
combinazione astrale le "Shel’s" sono in testa al campionato di
Premier Divison e sicuramente qualcuno, aprendo le pagine sportive dell’Irish
Indipendent, forse non ci crederà tornando a farsi una pinta schiumosa di
Murphy’s, ma poi, camminando verso il cinereo cimitero monumentale di Glasnevin
probabilmente gli tornerà in mente qualcosa di misterico e finalmente si
lascerà convincere che "per tutti i diavoli" quel giornalista
stavolta ha ragione, perché Seán Boyd e William Jarvis stanno davvero
trascinando i "rossi" di Drumcondra verso un titolo che manca da
ventidue anni. Alla prossima il nostro uomo dovrà comprare un biglietto per una
delle quattro tribune, una più curiosa e diversa dell'altra.
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