giovedì 13 febbraio 2025

LA COLLIGIANA DEL RECORD



Verrebbe da maledire l’inchiesta detta “Calciopoli” e voi, sbirciando la foto, vi starete certamente chiedendo cosa c’entri quella roba con un Colligiana-Poggibonsi degli anni ’50. E invece c’entra, perché se quel funambolo prestato al pallone chiamato Zlatan Ibrahimović non fosse passato dalla Juventus all’Inter in seguito alla defenestrazione della “Signora” in serie B nell’estate pruriginosa e stuzzicante del 2006, lo svedese senza sangue svedese forse non avrebbe consentito ai nerazzurri di inanellare una striscia formidabile di 17 vittorie consecutive che gli portò ad eguagliare un record che nel calcio italiano dei tabellini ufficiali apparteneva alla squadra di Colle di Val D’Elsa, non Colle Val d’Elsa, occhio, qui occorre essere precisi nei toponimi, in queste strade fatte di viti e olivi, di terra dissodata, silenzio e principi di alabastro, se vogliamo ancora una mezza periferia di Medioevo, dove in una serata fosca di nebbia potreste scorgere una compagnia di soldati di ventura intenti a cercare asilo e lauti ingaggi. In realtà esistono due “colli”: Colle alta e Colle bassa, la prima è più antica e panoramica, un prezioso presepe con un groviglio di vie che sbucano inaspettate sulla cinta muraria da cui si può godere il paesaggio delle colline; la seconda, invece, si allunga verso sud e merita attenzione in quanto sede del Museo del Cristallo che qui nel Novecento ha fatto fortuna, fama e stipendi. Da secoli, al ponte di San Marziale, il fiume Elsa incontra la cosiddetta "steccaia", ovvero lo sbarramento che serve a trattenere l'acqua per deviarla nelle "gore" grazie ad un sistema di chiuse mobili che ha favorito l’artigianato colligiano e la lavorazione del vetro. Colle, inoltre, resta cittadina di confine fisico e sentimentale, abitata da gente un po’arcigna, verace e impetuosa, insomma i soliti toscanacci degni eredi di Dante, Cecco e Cacciaguida, assopita fra il respiro della grande matrona fiorentina e la piccola perla senese; qui non a caso si combatté nel 1269 una delle battaglie decisive in cui il partito Guelfo rialzò i vessilli, raccolse i cocci di Monteaperti e si riprese l’egemonia della zona sconfiggendo i Ghibellini di Salvani. La Colligiana del calcio era nata nel 1922 e almeno fino alla costruzione del nuovo impianto sportivo giocava le proprie partite interne nel campo di Sant’Agostino, un campo acerbo incastrato fra le vecchie case con alle spalle degli spogliatoi il campanile della Chiesa e accanto la ciminiera scura della “Fabbrichina”. Quel campo sterrato, piccolo, di polvere e erbetta stenta, conteneva una fetta di passato glorioso. Nella stagione 1957-58 la Colligiana, sotto la presidenza dell’ingegnere Giustino Gallanti con Gino Manni allenatore (a lui sarà dedicato lo stadio attuale), visse una pagina bellissima e struggente in quel periodo empirico degli anni Cinquanta, intriso di neorealismo, di lambrette, di saggezza contadina, di donne e uomini che non andavano in palestra, di briscole e “madonne”, di sagrestie e vespro, e di tanti Peppone e Don Camillo. Accadde che la Colligiana balzerà sulle cronache giornalistiche nazionali ottenendo il record italiano ed europeo di 17 successi consecutivi, vincendo il campionato di Prima Divisione, giusto in quel campo ormai dimenticato dove un tempo si giocava anche il mitico torneo dei Bar, fra Sant’Agostino, Fontibona e La Buca. Su tutti il portiere Bruchi e il capitano Panti, poi Gnoato, Nencetti, Vergani, Polese, Lotti, Soldi, Pacchierotti, Carmignani e Malandrini, tutte facce da pane e salame della nostra perduta fragile innocenza, stretti e vitrei, invischiati di speranza in quel cono di luce apparso fra il dopoguerra e il duemila: l'Italia "degli americani che proprio ieri sono andati via", come canta Amedeo Minghi nella sua romantica "Serenella".


IL GALLO NERO DEL PALLONE


Maglia di lanina a righe verticali gialloverdi, pantaloncini bianchi, lo stemma rotondo con il gallo nero cucito sul cuore e il Castellina in Chianti nel 1977 era in Serie D dopo appena dieci anni dalla sua fondazione. Un’autentica impresa per questo piccolo paese impuntato su rilevi contesi e confusi, tracciati da file serrate di viti dove galestro e alberese spremono la terra regalando un vino dai pochi eguali. Fino al 1967 non esisteva nemmeno un campo da calcio, solo in quell’anno lungo la strada Chiantigiana, che scende rugosa fino a Fonterutoli e più avanti, meno aspra, verso le porte di Siena, si inaugurerà un terreno di gioco oggi intitolato a Franco e Giovanni Niccolai, omaggio della comunità al suo legame con il tessuto economico castellinese. E con il campo, conseguentemente, nascerà l’associazione sportiva “Castellina in Chianti”, imbottigliata ovviamente in un mese di vendemmia, ossia alla fine di settembre al civico numero 12 di via Trento e Trieste che all’epoca era la sede della Società Filarmonica, storica banda musicale paesana oltre che dell’Istituto di riposo “Virginia Borgheri” e del “Circolo Italia”, il punto di aggregazione sociale e culturale per intere generazioni. A Castellina vige la sinossi del tipico campo sportivo di provincia, quelli dove l’erba nasceva solo d’estate e la segatura copriva le buche piene d'acqua nelle aree di rigore, il solito campo con le righe segnate più volte col gesso, i picchetti, la bindella, il filo per tracciare il centrocampo (che di Giotto ce né uno) e le mezzelune delle aree di rigore, attraverso misure quasi sempre empiriche, approssimative, insomma mano ferma e tanta pazienza, campi in cui mangiavi fango ad ogni caduta e per rianimarti ti portavano una spugna e un secchio azzurro pieno di acqua gelida. A muovere il calcio a Castellina in Chianti fu il locale Marcello Partini, un appassionato, daziere di professione, che riuscirà a convincere Franco Niccolai a farne parte nel ruolo di Presidente perché nominare Niccolai a Castellina è un po' come nominare Ferrero ad Alba, Galbusera a Sondrio o Ziliani a Franciacorta tanto per restare in ambito di modesti centri di realtà produttive italiane. In quel Castellina in Chianti ci sono in qualità di vicepresidente il sindaco Gino Tatini, Franco Bianciardi amministratore di cassa e Mario “Mariolino” Bartalini direttore sportivo che porterà Bruno Pastorino sulla panchina di quella squadra. Dopo qualche anno i gialloverdi sono già in Prima Categoria e vinceranno il campionato nello spareggio giocato al Castellani di Empoli battendo il Forcoli per 1 a 0 con una rete realizzata da Gabriele Corradi, il babbo di Bernardo ex Lazio, Parma, Manchester City e altre. Il Castellina in Chianti si guadagnerà l'accesso fra i "semiprof" (più semi che prof sia chiaro..) attraverso il campionato di Promozione del 1976/77, e tre mesi dopo eccolo senza timore a calcare la Serie D, confrontandosi con piazze della portata di Carrarese, Montevarchi, Viareggio, Orvietana e Montecatini. Il Castellina arriverà quart’ultimo, ad un solo punto dal Pontedera, ma purtroppo retrocederà beffardamente in quanto proprio in quella stagione lo schema del torneo venne ristrutturato prevedendo quattro club al piano di sotto invece che i soliti tre. Di quegli anni ruggenti, si può ricordare il portiere Gino Casini da San Casciano Val di Pesa, portiere rigorista e protagonista con l’allora molto importante Nazionale Italiana Dilettanti con la quale disputerà un amichevole a Bombay contro la nazionale ufficiale indiana. Giusto in quel periodo la squadra Juniores diventò pure campione italiana nelle finali disputate a Chianciano, trascinata dal centravanti Mario Cappelletti. Oggi arrivando da Siena a Castellina in Chianti ti viene da voltarti verso sinistra e noti, seminascosto dagli arbusti, il campo sportivo, e per un attimo pensi di intravederci ancora mille e più persone accalcate fra le recinzioni e la tribuna, mentre alle radio passano “Amarsi un po'” di Lucio Battisti e nelle case si sparecchiava e si rimettevano in ordine i centrini, lasciando sul tavolo solamente la bottiglia del vinsanto buono, quello color occhio di pernice: “non si sa mai se stasera ci viene a trovare qualcuno”. Forse no, perché allora erano tutti a vedere il grande Castellina.


mercoledì 12 febbraio 2025

AL MAGONA GIOCA IL PIOMBINO



Non sembra vero, nemmeno a prendere delicatamente in mano le carte dei giornali di quel periodo ancora pieno di fatica e aspettative. Le pagine vanno maneggiate con cura, quei pezzi di giornale vanno letti con i guanti e magari con la lente, l’inchiostro di stampa è imperfetto, le foto sbiadite e seppiate. Eppure, abbiamo le prove, il Piombino disputò la Serie B nei primi anni Cinquanta e qualcuno si ricorda bene il bagliore trepido che riscaldava i cuori allo stadio Magona sul Viale Regina Margherita che apriva cancelli verdi a chi usciva in fretta dalle siviere, e i custodi aspettavano un quarto d’ora a chiudere perché bisognava aspettare arrivassero in tempo gli operai delle acciaierie; qui fra Via Salgari e Via Gori, qui sotto i vecchi altiforni e le cadenti “cokerie” di carbone. La tribunetta coperta, i sedili in legno, una curva ricavata sulla "Tolla Bassa" profumata di resina, le empiriche impalcature, tra gradoni stretti e bassi in faccia alla tramontana che oggi confonde l’eco di troppe grida andate, perse fra palazzi rossastri, siepi di pitosforo e cipressi. Il Piombino in Serie B è tempo scorso, che non ritorna, come un moto irrequieto di gioventù. Una società voluta e fondata nel 1921 con il nome di Unione Sportiva Piombinese fino al 1945, quando vide la luce l’Unione Sportiva Piombino un dopoguerra felice per la squadra toscana, sostenuta economicamente dallo stabilimento siderurgico denominato “La Magona d’Italia”. In pochi anni ottenne la C e, al termine del campionato 1950-‘51, la promozione in Serie B nel corso del quale raggiunse l’apice della popolarità. Il Piombino si tolse la soddisfazione di restare per tre stagioni fra i cadetti battendo squadre blasonate, e forse la vittoria più bella resta quella contro la Roma, proprio in casa: Baldino Giusti Presidente e Fioravante Baldi in panchina, sostituito l’anno seguente da un certo Ferruccio Valcareggi all'esordio. Soffiava un maestrale gentile in quel giorno d’autunno in cui Piombino si svegliò cullando il sogno della Serie A. Quella squadra che solleticava un input “sovietico” era infatti l’espressione di una fabbrica florida, la Magona, che di lì a poco sarebbe precipitata per poi riprendersi in uno dei tanti cicli di splendore e disperazione che hanno abbracciato le grandi fabbriche negli anni che verranno. L’aria era tersa, ricolma di salsedine e di un sole vacuo. A contarli pare fossero in 13mila, forse 14mila persone, stipate in uno stadio che poteva tenerli al massimo 10mila. In piedi, stretti come sardine, arrampicati sugli alberi e sui tetti. La città fu tappezzata di manifesti nerazzurri: “Campionato italiano di calcio, Divisione nazionale Serie B”, stadio Magona d’Italia, 18 novembre 1951 ore 14,30: Piombino- Roma”. Sì, la Roma, nel suo unico campionato giocato al secondo piano del nostro calcio. È la capolista, sette vittorie, un pari e una sola sconfitta prima di quel giorno: 15 punti contro i 12 del Piombino. Tutti guardano alle scelte dell’allenatore Fioravante Baldi, svizzero di nascita ma italianissimo, bandiera granata prima della guerra, uno che quelli del Grande Torino li ha visti crescere. È lui ad aver portato il Piombino in B e sa tenere la barra dritta insieme con Baldino Giusti, e il presidente onorario Arnaldo Lovetti – l’uomo del miracolo Magona – oltre al segretario Siro Iaconi. Con i giocatori, che vengono controllati passo passo. L’idolo della squadra è Bruno Mezzacapo, difensore piombinese del quartiere operaio del Cotone. L’altro piombinese della squadra è Doriano Carlotti, il portiere. Uno che sa stupire, poi il capitano Enrico Zucchinali. Avversari manco a dirlo da prima pagina. L’ allenatore giallorosso si chiama Gipo Viani, uno che poi guiderà anche la Nazionale. Due ore prima del via lo stadio è praticamente pieno, eppure viale Regina Margherita sembra ancora un gigantesco fiume di gente. Pensare che possano entrare in quel catino stracolmo sembra pura follia, ciò nonostante, alla fine ci saranno tutti quelli che volevano esserci e non si sa come abbiano fatto. Quando dal sottopassaggio la folla scorse la testa dell’arbitro Giorgio Bernardi, uno che la domenica di solito frequentava campi di A, fu un autentico delirio di incitamenti. Nove minuti. Il vento soffiava contro il Piombino, che attaccava verso la curva opposta alla Tolla, quella dove sedevano i tifosi romanisti, che di vento sapevano ben poco escluso il ponentino. Per i piombinesi il vento è il compagno d’ogni giornata normale. E il Piombino ci credette subito. Ci fu un calcio di punizione: lo batterà Cozzolini, respinse Knut Nordhal con un campanile da oratorio. Lui, Knut, era uno dei fratelli del più celebre Gunnar, quello del trio Gre-No-Li del Milan (Green, Nordhal e Niels Liedholm), e nazionale svedese. Quella palla si alzò scendendo fino a incrociare una mezza rovesciata di Ortolano e poi un colpo di testa accademico di Ippolito Montiani. Il portiere Risorti restò quasi fermo, trafitto da quel colpo di biliardo. L’urlo della folla arrivò fino agli angoli più remoti di una città silenziosa. Chi non si trovava allo stadio stazionava nei dintorni oppure attendeva a casa in una sorta di "tam tam" di emozioni fatto di voci e passaparola. Uno a zero. La reazione romanista arriverà, tuttavia il Piombino troverà presto il raddoppio. Rimessa laterale dalla tre quarti, sotto la gradinata, il mulinare di braccia del numero 11 Montiani libererà la palla in area Pietro Biagioli. Il numero 1 giallorosso si oppose al centrocampista in maglia nerazzurra, ma il tiro gli piegò le mani alzando una sorta di palombella beffarda che caracollò all’interno della porta. Due a zero. Nella ripresa la Roma premette ma il Piombino non cederà di un metro. Falli, e parate di Carlotti. La terza rete giunse al termine di un contropiede, Montiani sulla trequarti, il capitano romanista Tre Re lo rincorse fin nella propria area e lo stese. Il fischio del rigore venne accolto da un boato fuso in un coro “Piombino, Piombino” che accompagnerà l’esecuzione. Sul dischetto il solito Biagioli: palla a sinistra, portiere a destra. Piombino 3 Roma 0. E poco importa che manchino ancora 14 minuti, la rete della bandiera la segna Venturi a cinque scarsi dal termine. Sarà festa fino a tardi, almeno per quelli che al mattino alle 6 non dovevano timbrare il cartellino per entrare in fabbrica al primo turno. Il fumo delle ciminiere alimenterà i sogni, non solo calcistici di una città che appena sei anni prima era in piena rovina anche se l’utopia della serie A resterà tale. Quello che rimane è una bella storia di calcio di provincia, ma tanto di provincia, la piccola favola del “Grande Piombino”.

IL CASO MO JOHNSTON

  Quartiere di Govan, esterno giorno. Luce tenue della mattina, asfalto bagnato, un chiosco di chips e hot dog infradiciato dalla pioggia ap...