mercoledì 14 ottobre 2020

HIGHBURY ROAR




Charlie George non si reggeva più in piedi. Acciaccato, malconcio. Guardò Mee in panchina e scrollò la testa come per dire, “Dai forza, butta dentro quel ragazzo che tanto qui ci hanno fatto un discreto culo, e la coppa potrebbero già consegnargliela questa sera a Bruxelles”. Mancava più o meno un quarto d’ora alla fine della partita d’andata e i gunners erano sotto 3-0 contro i bianco malva dell’Anderlecht padroni di casa. Ad un tratto Bertram Mee, detto Bertie, allenatore dell’Arsenal, club in secca di vittorie da qualcosa come diciassette anni, si voltò, increspò per un attimo la fronte socchiudendo le palpebre, e fece cenno al diciottenne Ray Kennedy di entrare.

Ray che era nato nel villaggio di Seaton Delaval di cui nemmeno le carte geografiche conoscevano l’esatta l’ubicazione, aveva il naso grosso, gli occhi di un colore indefinito, un bel ributto di capelli scuri e una finestrina fra gli incisivi. Entrò in campo come farebbe una busta di plastica trascinata dal vento, non toccando nemmeno un pallone, anzi no, per tutte le polveri del cannone, uno lo toccò. Di testa, l’unico. Il fatto è che lo metterà in rete, e allora quella benedetta Coppa delle Fiere, non sembrò essere già sciaguratamente persa.

Ma te guarda alle volte i ragazzini.

Sei giorni dopo, le cancellate nere di Islington sgocciolavano acqua. Una pioggia obliqua, sferzante, cadde su Londra per tutta la giornata del 28 aprile 1970. In migliaia si avvicinarono alla grande facciata in Art Decò della East Stand che guarda su Avenell Road. Lucidissima, la grande scritta a caratteri rossi “Arsenal Football Club” pulsava come un cuore sulle sue arterie fatte di piccoli spazi pubblici, pub che si sforzavano di appagare l’occhio fra angoli anneriti, vicoli stretti e vialetti di case a schiera. “Bridge over troubled water” di Simon & Garfunkel stava scalando velocemente la Hit dei singoli più venduti in UK, mentre in 50000 (stando ai tabellini ufficiali) quella sera scaleranno, ancora più rapidamente, i gradini di Highbury.

Tutto paranoicamente, febbrilmente pieno. Northbank, Clock End, Tribuna Est e Ovest.

Il busto di Herbert Champman nella meravigliosa Marble Hall, pareva aspettare trepidante, custodito in una nicchia dalla possente emanazione sacrale. Uomo fiero, pieno delle sue certezze, forse il più grande allenatore inglese di ogni tempo, di sicuro colui che in quaderno scarabocchiò quel benedetto sistema a cui tutti vorranno dare una sbirciata.

Le bandierine triangolari dei corner con la scritta AFC indicavano senza soluzione di continuità che la brezza quella sera arrivava dalla foce del Tamigi. Roba da libri di Joseph Conrad. Il terreno di gioco apparve subito pesante, inclemente, scomodo, con i bagliori dei riflettori avviluppati da una leggera nebbiolina che inconsciamente aumentarono i sintomi da seduta psichiatrica per un club atteso a rispondere delle sue angosce, dei suoi problemi, e magari provare a risollevarsi almeno per una notte.

L’arbitro? Un tedesco dell’est guardato a vista da eminenze grigie della Stasi di nome Gerhard Kunze.

Sarebbe occorso subito uno di quei tonici ricostituenti tipo quelli alla radice di ginseng. Lo servirà dopo una ventina di minuti Eddie Kelly che oltre la faccia da donnaiolo impenitente, ne mostrò un’altra da monaco abbaziale, e senza pensarci troppo da fuori area riscaldò muscoli e cervello con un corroborante destro che permise all’Arsenal di passare in vantaggio.

A r se nal, A r se nal, A r se nal”.

Profano eppure seriamente liturgico, incessante preghiera che si riverberava a ondate lungo e oltre lo stadio.

Oh, diciamo serviva almeno un altro goal. E’ sarà un capolavoro, come quelli di Pierre Bonnard e Paul Gauguin che saranno rubati poco tempo dopo in un appartamento di Regent’s Park mandando in confusione mezza Scotland Yard.

Uno dei due dipinti, un olio su tela, si chiamava La fanciulla seduta in giardino. La stessa sensazione probabilmente provata da Jean Marie Trappeniers, estremo difensore dell’Anderlecht, dopo che uno scambio fra George Graham e il terzino Bob McNab aveva portato quest’ultimo (restando in tema) a pennellare un cross perfetto per la testa biondiccia e infangata di John Radford bravo a incrociare la palla in rete siglando il raddoppio dei suoi e alzando al massimo i decibel di Highbury. I belgi accusarono il colpo, la pressione di dover reagire per forza. Quando Jan Mulder colpirà il palo, un fremito di paura rapirà gli occhi dei presenti e fu il segnale che il lavoro era ancora da portare a termine.

E quindi giunse il momento di Jon Sammels, uno dalla faccia pulita come un pastore all’alba. D’altro canto veniva dal Suffolk e di campagna, di bella campagna con i cottage in pietra dal comignolo fumante e dagli infissi bianchi da cartolina, se ne intendeva abbastanza. Si intendeva anche di calcio, ovvio. Nel 1965 segnerà una doppietta al Brasile in amichevole seppure vada detto per onor di cronaca che i campioni del mondo erano privi della loro perla nera Pelé. In ogni caso si guadagnerà qualche presenza con le selezioni giovanili dell’Inghilterra. Ci sarà pure un momento difficile per lui con i tifosi ma questa è un’altra storia. Quel giorno lasciò partire un diagonale colto e ordinato da 30 metri che non lasciò scampo ai belgi ormai respinti con perdite.

Arsenal 3 Anderlecht 0. Frank McLintock, il capitano, finirà abbracciato, spinto, sollevato dalla folla e dai compagni, alzando sopra le teste di tutti la Coppa delle Fiere dichiarando che il digiuno era finito.

Aveva ragione perché nella stagione successiva Highbury mise su diversi chili… Bumm.

 

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