mercoledì 14 ottobre 2020

DIE ELF VOM NIEDERRHEIN




Nubi pesanti avevano gravato tutta la notte e indugiavano ancora in quello che passava per mattino. Il cielo e l'acqua si fondevano in una distesa grigia interrotta soltanto dalla linea scura dell'orizzonte. Gunter Netzer aveva lo sguardo assente oltre il finestrino annebbiato della sua Ferrari 308 GTB solcato da gocce di pioggia.
Bello e dannato, recluso nel suo dispotico destro che aveva appena falciato il Colonia, il biondo Sigfrido lasciava Mönchengladbach, i suoi scorci luterani,
la splendida armonia di elementi gotici e rinascimentali, per andarsene stordito dal barocco sfarzoso di Madrid. Ci torneremo. Adesso mettiamo subito la pronuncia corretta onde evitare scioglilingua da contorsione: "moencenglatbax". Più o meno, pietà. E se pensate che i tedeschi siano razionali per definizione, occorre dire che un tempo questa città custodita dalla Renania Settentrionale Vestfalia si chiamava semplicemente "Gladbach". Facile, senza 15 lettere una attaccata all'altra in un carosello da boccale e bretelle, con tanto di dieresi sulla "o". Ma a fine ‘800 qualcuno pensò che, perbacco, si poteva confondere con il vicino agglomerato di Bergis-Gladbach e allora questo qualcuno filerà dritto negli uffici comunali munito di carte bollate, inscenando un ordalia di ragionamenti e costringendo gli astanti stremati, a convertirsi in München-Gladbach. Già, ma qualcosa evidentemente non tornava ancora, perchè pareva una vera disdetta il fatto che in tal modo il luogo potesse apparire ai forestieri come un pacato sobborgo di Monaco di Baviera, insomma un calo di testosterone mica da ridere. Quindi, in una successiva riunione, meno concitata, si opterà per un enigmatico M.Gladbach (emme puntato, vi assicuro che non si tratta di uno scherzo o di voluta semplicazione) e così sarà fino al 1960, data definitiva in cui i timbri postali e la toponomastica locale potranno finalmente mettersi comodi sull’attuale Mönchengladbach, in una sorta di eresia anabattista che farà precedere la fondazione del club di calcio al nome della cittadina che lo ospita: Borussia. Il tutto perchè durante la lunga congiuntura di assesti nominali, il primo agosto del 1900, nasceva il Fußballklub all'ombra torreggiante della Wasserturm, una struttura ospitante poderosi serbatoi d'acqua che domina lo skyline di Mönchengladbach (sperando di averlo scritto giusto). Ah, dicevamo di Gunter Netzer, se ne andrà esattamente il 23 giugno del 1973. 

E’ adesso? Poteva Hennes Weisweiler, predicare il suo credo ad una banda di sbarbati senza il loro capitano? senza che tutte le palle passassero attraverso il suo 46 di scarpe?

Ja, forse, poteva.

Loro, il Borussia Mönchengladbach, i nipotini della Wermacht, ricurvi sulle loro "Adidas" anticarro, chini sul fango della Renania, spesso scovati ad alzare vesti di valchirie in “Blitzkrieg” immortalati dagli scatti piccanti di rotocalchi rosa. Il Borussia Mönchengladbach aveva fatto tremare il Liverpool in Coppa Uefa, consegnato alla città l'argenteo scudo sassone della Bundesliga, e Berti Vogts, il silenzioso bull-terrier a guardia della fascia, era stato nominato due anni addietro giocatore dell’anno in Germania. Tuttavia, orfani del loro giocatore di maggior prestigio il 'Gladbach nel 1974 visse una stagione insipida, con il campionato sfuggito per un soffio nonostante i 30 centri di Jupp Heynckes e l'eliminazione patita contro il Milan di Trapattoni in Coppa delle Coppe. Hennes Weisweiler meditava di mollare. Ma il sogno di un' affermazione europea gli bruciava il sonno. Il suo calcio dallo stile offensivo, spumeggiante gli regalava così tanti applausi che ad un certo punto per ragioni di capienza, la squadra a malincuore dovette abbandonare la casamatta del "Bokelbergnstadion", autentico fortino in cemento inserito nel quartiere frecciato a nord del centro cittadino conosciuto come "Dä Kull", per accamparsi al "Rheinstadion" di Dusseldorf a partire dai primi anni settanta. Quel Borussia era la sintesi di tutte le doti e di tutte le qualità richieste dall'emergente calcio moderno. Il suo gioco si stendeva nelle corse avanti e indietro, prive di tempi morti, come la più bella armonia creata in un concerto sempre in crescendo, un orchestra interprete di arie Wagneriane per 90 e passa minuti. Ed allora eccoli i volti da guerra dei trent’anni, allineati su sentieri di sbronza a fronteggiare gli agguati sul cammino europeo. I volti effige del saccheggio, l’alito della paura, che si poneva negli inoffensivi bargelli nemici. E questo nonostante l’urna di Zurigo della Coppa UEFA '74/75 fosse stata infarcita per contingenza astrale di squadre di grande livello. i “Die Fohlen”, ossia i Puledri, iniziarono il loro galoppo. Il Borussia confezionato nel rito laico della comunione sportiva con commoventi maglie bianche impercettibilermente listate di neroverde mise mano alle sue bocche da fuoco. Le polveri di Heynckes e del danese Allan Simonsen non si inumidirono mai e in finale si presentarono contro i rossi di Enschede, il Twente, gruppo di novizi da convento, eppure fenomenali freschi giustizieri di Amburgo e Juventus. Mettiamolo in campo quel Borussia: Kleff, Wittkamp, Stielike, Vogts, Surau, Bonhof, Wimmer, Danner, Kulik, Simonsen, Jemsen. L'emozione della prima partita si fece sentire. I puledri picchiarono sullo steccato a Dusseldorf e gli olandesi di Antoine Kohn giocarono attenti imponendo il loro ritmo preferito impattando la partita in un laconico 0-0 che avrebbe rinviato ogni dibattito alla gara di ritorno da disputarsi quindici giorni dopo in un tardo pomeriggio di fine maggio mentre in Germania a Wuppertal veniva fondata la GEPA, la principale centrale di importazione del commercio equo-solidale tedesca. In Olanda la bulimia offensiva di Heynckes e Simonsen ritornò prepotente producendosi in un ingordigia a tratti crudele. Tre le reti del primo, due del secondo, che fissarono il punteggio su un 1-5 finale che gli smarriti centrali del Twente smaltirono in seguito solo attraverso sedute presso analisti in gamba. Hans “Hennes” Weisweiler spigoloso tecnico di Erftstadt-Lechenich, i cui teoremi in panchina furono concepiti sotto le bombe e le sirene dei ricoveri, nel fuggi fuggi generale di una Germania ormai in ginocchio, ora rideva nascosto dietro i larghi occhiali a goccia e il maglione vermiglio a collo alto. Vogts alzava al cielo quella coppa lunga, senza appigli, pozzo esagonale con bassorilievi vagamente neoclassici che si rincorrono sulla base dal sapore d’infinito. La bellezza di quel gioco spregiudicato aveva purificato il mondo del calcio a suon di goal e in quella stessa stagione i puledri tornarono a imporsi anche in campionato. Si, però altre sirene spagnole stavano per lacerare ancora la squadra: Weisweiler annunciò il suo passaggio al Barcellona. Piansero i tifosi in Alter Markt e in Kapuzinerplatz, il cuore del centro storico di Mönchengladbach. Tuttavia l’epopea della squadra del basso reno  non si chiuse qui, anzi, c'era da meritarsi l’appellativo di Der Mythos, c'era bisogno innnazitutto di un altro tecnico di visione e allucinazione. Arriverà Udo Lattek, pluridecorato con il Bayern, un prussiano nato a Bosemb il 16 gennaio 1935. A nove anni si era rifugiato in Danimarca per sfuggire all’Armata Rossa, vivendo 2 anni in una sorta di baraccopoli e successivamente in una fattoria nei pressi di Colonia. Udo dalle spalle possenti, i capelli biondicci ormai stirati e stemperati dal valico dei quaranta lasciavano una fronte morbida e il naso prominente su un di cipiglio perennemente infossato nell'arguzia. Sotto la sua guida il Borussia cambierà atteggiamento, sostituendo la mentalità offensiva e i rapidi contropiedi con pragmatismo e disciplina tattica. Nel 1977 il Borussia (etimo di Prussia in tedesco) impegnato in Coppa dei Campioni ingabbiò ogni avversario sulla quinta emandata da Rainer Bonhof, adunco e scarmigliato specialista dei calcii di punizione. Va da se, ai maledetti posteri, che la finale di Roma, nonostante il pareggio raccolto dallo Simonsen, scivolerà nella sconfitta contro un Liverpool perfetto che spegnerà le luci dell'Olimpico dopo il 3-1 firmato da Phil Neal su calcio di rigore. Nel frattempo a Mönchengladbach sulle serafiche sponde del fiume Ert un cigno uscì da un canneto e cominciò a nuotare in cerchio, il Borussia era tornato a giocare fra le tribune del ruvido Bökelbergstadion dove sul lato della curva scoperta spuntavano, ora innevati, ora verdi, i faggi e gli abeti del boschetto di Eickener. Non un ottima cura per i reumatismi nelle brevi giornate d'inverno quando la pioggia gelata ti picchietta addosso come aghi sottili. Lattek deciderà di tornare a di giocare nel più capiente catino di Dusseldorf in occasione della finale UEFA contro un intruso sorprendente, ossia la Stella Rossa delle giovani promesse, piegata a fatica nelle due partite dalla solita ala tascabile Alan Simonsen. Lattek lascierà il timone e il nuovo tecnico nativo proprio di Mönchengladbach sarà il 35enne Jupp Heynckes (nono di dieci figli e padre fabbro) che indossando quei quei colori in qualità di attaccante aveva attraversato gli ultimi anni del club vincendo anche con la nazionale gli Europei del 1972 e la Coppa del Mondo casalinga del ’74, seppure oscurato dal totem Gerd Muller. Quel cigno di Ert provò a ergersi sull'acqua sbattendo le ali puntando verso il centro del fiume in cerca di cibo. Pare sia circolata una battuta nelle legnose birrerie di Germania tra gli appassionati di calcio che metteva in discussione le sue capacità del tecnico: "ma davvero Heynckes è uno dei migliori allenatori di sempre?" Non ci interessa, le elucubrazioni portano al peggio, la filologia porta al peggio, le pulsioni portano al peggio ma lui, Jupp, non si sparerà certo un colpo di pistola alla tempia come il Werther perduto nell'amore impossibile verso la sua Lotte, al massimo si scaldava un pò per la partita diventando rosso, al punto di guadagnarsi il soprannome "Osram", nota azienda tedesca di lampadine e sistemi d’illuminazione. Il Borussia, alla pari di un Siviglia ante-litteram, tornerà di nuovo all'ultimo atto della coppa Uefa 1980 ma i connazionali dell'Eintracht Francoforte segnarono un paio di reti in trasferta che a salmi conclusi condaneranno i puledri. Heynckes si prenderà comunque il merito di rilanciare un club a fine ciclo, covando talenti da Lothar Matthäus, a Thomas Kastenmaier, da Uwe Rahn a Micheal Frontzeck. Poi l'addio, i trionfi in Baviera, e i puledri dopo una corsa di oltre dieci anni rientreranno nella stalla. Perchè il cavallo come scriveva Robert Sutrees è meglio lasciarlo seguire la sua strada, senza pretendere che sia anche la tua. Poichè non ci sarà mai segreto più intimo di quello tra un cavaliere e il suo cavallo.


 


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