lunedì 12 ottobre 2020

WIR SIND, SANKT GALLEN


Nel calcio la questione della genealogia resta importante. Non tanto per stabilire aristocratiche linee di sangue spesso decadute nell’urgenza del risultato lasciando spazio costituzionale alla nuova borghesia arricchita e piena di iniziativa, quanto per ricostruire una sorta di datario che porta a scoperte quantomeno curiose. D’altra parte si sa, il nobile è vizioso, pigro, si trastulla in metodiche battute di caccia senza infamia e senza lode e alla sera si compiace nell’ ammirare l’avo dipinto, raffigurato nella tipica posa austera, ingenuamente convinto che la sua casata e il suo piccolo mondo antico possano perdurare per sempre. Intendiamoci occorre eliminare subito dalla scena i protocolli britannici, altrimenti si rischia di ristagnare per giorni nel fango di Waterloo insieme a ogni singolo paesino di provenienza dei soldati ammassati dentro i quadrati di Lord Wellington. Qui occupiamoci solo dell' Europa del piano di sotto, anche se, come vedremo, il contatto con Albione sarà cruciale. Ad ogni modo in principio il continente vide l’alba della creazione osservando curioso cosa accadeva lungo le sponde del lago di Costanza.

La campanella d’ottone del Collegio Wiget di Rorschach suonò l’ora di educazione fisica e la genesi si sprigionò chiara nello sciamare degli studenti sul grande prato circondato dai tigli, nel loro improvviso e inconsueto disporsi come pedine di un’empirica scacchiera, finché i rimbalzi profondi, irregolari, di una palla di cuoio, riportarono a una fanciullesca, prevedibile, dispersione degli schieramenti. Tuttavia le parole, i gesti, le grida d’entusiasmo del nuovo gioco in embrione, corruppero l’aria tersa di primavera disperdendosi fra i pizzi dell’Abbazia o infilandosi nelle fenditure dei muri dell’antico eremo, eretto da un santo irlandese seguace di Colombano: San Gallo.

Fu allora che quel primigenio zibaldone si versò rapidamente nel calice delle regole e comparve il primo timbro d’ufficialità emesso fuori dai confini del Regno Unito; il sigillo che decretò il concetto del football club, anzi del “Fussballclub”, vestito in rigorosi camicioni verdi, “dono e tributo” alla venatura monacale di provenienza. Accadde nei legnosi uffici comunali della città dedicata al Santo il 19 aprile 1879; in questo cantone elvetico che premurosamente parla tedesco e sbandiera nell’emblema l’orso rampante a cui il beato donò un tozzo di pane.

Volevamo tenere fuori gli inglesi? No, non ci riusciamo.

Un giorno a San Gallo arrivò un signore molto elegante con in testa una lucidissima bombetta nera. In principio nessuno sapeva da dove venisse, né quale fosse il suo nome e neppure perché si fosse sistemato in città. Quel signore non si toglieva mai il cappello e tutti iniziarono a fare congetture sulla sua presenza. Era il 1912, già soffiavano pungenti venti di guerra, circolavano spie d’ogni risma, si denunciavano tradimenti e si stringevano alleanze. Gli svizzeri, neutrali da tempo immemore, volevano starne lecitamente fuori. Quando tutto fu chiarito davanti a un boccale di schiumosa "Schützengarten" si seppe che l’uomo si chiamava Jack Reynolds, nato in una Manchester uggiosa e circondata dallo sferragliare di carrelli zeppi di carbone.

Seppure sofisticato nel vestire aveva la faccia paonazza e rubiconda dell’uomo di campagna e toh.., gli piaceva il calcio.

Si, perché Reynolds aveva fatto il calciatore a buoni livelli disimpegnandosi nel ruolo di esterno destro del Manchester City, anche se nel 1903 si trasferirà a Burton, dove si spilla la birra più famosa d’Inghilterra, in seconda divisone. Dichiarò apertamente delle idee mai utilizzate in precedenza per gestire una squadra di calcio e gli "ammaliati" dirigenti del San Gallo gli affidarono il gruppo e lui incominciò a predisporla in campo in schieramenti eccentrici, variabili, slegati da vincoli che parevano immutabili. E i risultati lo confortarono. Con calma limò gli errori, le pecche, allontanando critiche e dubbi. Reynolds cercava nel calcio qualcosa di simile a un concerto; tutti insieme all’attacco e tutti uniti in difesa, insomma uno per tutti, tutti per uno, mutuando i moschettieri di Dumas. Correre da una parte all’altra del campo come se al posto dei piedi ci fossero le ali. Ma attenzione la scintilla vera stava per arrivare. Nel 1915 dal San Gallo si trasferì in Olanda all’Ajax e ci resterà oltre trent’anni portandosi dietro la sua formula magica. Jack Reynolds fu il vero inventore del calcio totale. Rinus Michels non apportò alcuna vera rivoluzione, certo perfezionò lo stile, si vide sbocciare Johan Cruyff e altri talenti riempiendo il museo degli Aiacei di Coppe dei Campioni con una squadra che è andata ben oltre il tempo e le distanze ma la chiave del successo era arrivata da Manchester via San Gallo.

Lo stadio Espenmoos è locato nella zona orientale della città, un autentico fortino oggi sostituito dalla nuova Afg Arena. Lì hanno visto per un paio di stagioni Ivan Zamorano impallinare ripetutamente i portieri avversari e nel 2001 senza più il cileno, emigrato verso lidi più noti, si sono presi la soddisfazione di eliminare il Chelsea dalla Coppa Uefa o Europa League che dir si voglia. La qualificazione degli “Espen” era giudicata da tutti i maggiori bookmakers britannici intorno a una quota da capogiro assestata sui 500 contro 1. Eppure nella risicata vittoria per 1-0 conquistata dai londinesi di Ruud Gullit e Gianluca Vialli a Stamford Bridge, a guardar bene, si annidava il germe della sorpresa che due settimane dopo si manifestò in Svizzera mandando in frantumi le certezze sportive dei blues e riempiendo i cestini dei tagliandi accartocciati degli scommettitori. Il San Gallo allenato da Marcel Koller, zurighese dal piglio serioso con alle spalle una vita nel Grasshoppers, ribaltò il pronostico innescando una partenza sprint dettata dalla doppietta griffata Sascha Müller-Charles Amoah, e al Chelsea targato Claudio Ranieri non restò che inseguire ombre per il resto della gara. Quelle ombre che nel 1879 avevano costituito la più antica squadra d’Europa.

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