Quel giorno a Campobasso la campanella
delle scuole, di ogni ordine e grado, suonò l’orario d’uscita con un paio d’ore
di anticipo. Era successo qualcosa del genere soltanto nel 1978 durante i primi,
concitati, momenti del rapimento Moro da parte delle Brigate Rosse e nel
novembre del 1980 per timore di scosse dopo la notte del terremoto nella vicina,
devastata, Irpinia. Fortunatamente stavolta a chiudere prima i registri, su benevolenza del
Prefetto, fu l’arrivò in città della Juventus per l’andata degli ottavi di
finale della Coppa Italia. Era il 13 febbraio del 1985 e quell’anno la neve non
aveva risparmiato nessuno in Italia, figuriamoci il Molise stretto nella morsa
del gelo. Il Molise della caponata e del baccalà, il Molise dei figli mai
dimenticati con gli occhi bagnati di pena imbarcati in navi già
partite, il Molise senza camicia sperduto nell’Atlantico cattivo, il Molise che non esiste e invece te lo ritrovasti gracchiato alla radio da Riccardo Cucchi
in un anonimo pomeriggio di mercoledì fra nuvole e cielo basso. A Campobasso c’era
lo stadio nuovo, c’era il presidente Molinari, c’era la neve ammucchiata ai
lati del campo, e c’erano ben oltre i ventiseimila paganti riportati dalle cronache, diciamo
stavano tutti molto stretti, perché come dicono loro: “U Mulis è na region, addó a gent jesch pazz
pu pallon...E la dumeneca a Campuasce quanta gente va a veders la partita, dai
pais d la region tienn tutt a frensij du pallon, oggi sem tutt amic...” Non ci
sarebbe bisogno di un linguista per comprendere la matrice dialettale,
affascinante spirito identificativo che stiamo perdendo insieme a tante, troppe altre
cose in questo maledetto fracasso da social che ci fa credere erroneamente di essere più
felici. Campobasso negli anni ottanta era la piazza d'armi di un esercito gioioso di sanniti,
armato di entusiasmo e battezzato con acqua e aceto, che confluiva festoso a
celebrare il rito pagano dell’adorazione del Lupo, totem e topos di riscatto. Quel
Campobasso lo allenava Bruno Marzi, massese, zonaiolo torvo, inestricabile e sfuggente alla pari di ogni uomo nato su confini fisici e geografici. La fascia fu
affidata a Marco Maestripieri, centrocampista intelligente dalla zazzera mora la
cui rete da antologia aveva messo in ginocchio la Cavese ma non bastò a sancire
la promozione fra i cadetti sfuggita per un punto. L’anno seguente in quel di Casarano si
prese una sassata in testa e finì tre giorni in ospedale. Tempi complessi,
scarnificati nel rancore da campanile, ingiuriati nel vento di un ordalia cruda eppure succulenta,
emendata in quinte da sagra e sanguinacci, fatte di gradoni consunti, fumogeni a buon mercato, sterro
assolato o generose erbette di nobili decadute, tipo il salottino
della zia benestante che andavi a trovare alla vigilia di ogni Santo Natale per l’immancabile, trito, convenevole
da romanzo di Balzac imperniato sul “come vai a scuola?” seguito dal “Ce l’hai la fidanzata?”,
e giù un bicchierino di vino sotto il consenziente sguardo dei genitori che a casa
nemmeno l’aranciata ti facevano bere, ma cosa vuoi l'eredità preme e allora dai, un sorso tipo pirata dei Caraibi, tanto ora sei
grande pure se compivi otto anni e poi, leggermente ebbro, uscivi con
la bustina delle ventimila lire da spendere in figurine. Accanto a Mastripieri
ci fu l’esperto Guido Biondi, una sentenza nella categoria sui calci piazzati,
ci fu Raffaele Di Risio, “local boy” direbbero in inglese, molisano e corridore.
E Primo Maragliulo, mezzala ribelle ed elegante autore indimenticato del goal promozione
alla Reggina. Nell’esordio altisonante all’ Olimpico, contro una Lazio
impelagata al piano di sotto, la matricola si disimpegnerà alla grande e dietro
spiccava uno dei migliori liberi del momento. Non lo dicevano i tifosi, nemmeno i compagni
o il presidente. Lo disse Azeglio Vicini che nella sua splendida Under ’21 chiamò Mimmo
Progna. In porta c’era Walter Ciappi, una sicurezza, e in mezzo spuntavano i
baffi da carabiniere di provincia dello storico capitano Michele Scorrano da Ururi,
paesino di minoranza albanese a sessanta chilometri da Campobasso. Oh,
attenzione, in quella B albergava anche il Milan del trio Jordan-Incocciati-Damiani.
Qualche sorrisetto malizioso per l'ingresso del Campobasso a San Siro ma alla
fine arrivò uno 0-0, come a Roma. Una dichiarazione d’intenti ben precisa
e salvezza anticipata. A subire la banda di Marzi in Coppa Italia fu la Fiorentina di
Antognoni, Graziani, Passarella e Bertoni, insomma mica pizza e fichi. Il
Campobasso in dieci per la doppia ammonizone inflitta a Di Risio la combinerà
bella. A un quarto d’ora dal termine, Biondi lanciò Mario Goretti, il fedelissimo
riccioluto onnipresente nel quinquennio della felicità rossoblù. Sul cross,
velo di Biagetti per D’Ottavio, che salterà elegantemente un viola e farà secco
Galli. Ecco, bando ai convenevoli, nei primi due mesi del 1984 il
Campobasso si sistemerà, persino a suo agio, per quattro settimane in testa
alla classifica della B, forte di sei successi consecutivi fra i muri o "muretti" amici. Sugli scudi la smorfia furba di Carlo Perrone e il passo metodico di Silvano
Pivotto. Superata la Fiorentina, al Romagnoli da rinnovare locato nell'immediata periferia, scenderà la
Juventus in una fantastica e grottesca serata
campobassana. Settanta operai e un numero imprecisato di tifosi spalarono la neve.
L’ingegnere di competenza si era rifiutato di firmare il verbale di agibilità
del campo rendendosi irreperibile, e a quel punto un giudice sequestrò d’ufficio
gli atti, tuttavia, per evitare che la partita del secolo venisse spostata
altrove, il Comune affidò l’incarico a un altro professionista e, in un amen,
arrivò il nullaosta democristiano alla volemose bene. Palla al centro, di là Platini e Boniek, di qua Ugolotti e
Anzivino. Sarà proprio Guido Ugolotti, sul finire del primo tempo, a
sancire la vittoria con un tiraccio che Pioli cercò disperatamente di smorzare ma che aiutato dal
soffio di una città intera scavalcherà Bodini ormai seduto. Nel computo non
servirà a niente perché a Torino nonostante il vantaggio siglato da Perrone la Juventus non
poteva permettersi il lusso di una seconda figuraccia e al novantesimo ne butterà
dentro quattro. “So nat a cambuash e qua s magn assaj, e non ti abbotti quasi
mai, e da quando impazzisco per te m so mbarat a massà l cavatiell. Poi
crescendo mi viene da pensar, nu poc e dieta l’avessa fa, e se un giorno mammà
lo vorrà torn alla cas e magn u baccalà arracanat…” finiamo così, con un
coro della Nord rossoblù sparigliato sulle note di spirit in the sky di Norman
Greenbaum, nonostante la versione che ebbe maggior successo sia quella del
1986, dei Doctor & The Medics, incisa da MadMan. E' vero, Campobasso 1 Juventus 0 potrebbe
essere benissimo il titolo di un libro, di una commedia teatrale, oppure di un film, io penso farebbe un discreto successo.