Zara è stata la più corteggiata fra le città adriatiche. Fate in modo di arrivarci mentre
viene sera, poi chiudete gli occhi, magari sul molo, Ancona è immobile, lì di
fronte, a un braccio di mare che scintilla calmo attorno a una miriade di isole.
C’è una scalinata di pietra bianca, si distinguono le voci di chi sale e di chi
scende, umanità sotto ogni cielo, salsedine spuria, porte veneziane e sagrati, promontori e ceste di vimini. Fermatevi, non abbiate fretta, la gente ha fretta solo perchè non sa dove andare. Riconoscerete la dolcezza di fonemi
lievi e malinconici, la girandola impazzita della vita infissa nel vento di una
terra su cui hanno marciato troppi scarponi, troppi anfibi, alzato troppe
bandiere, una terra condivisa, divisa, riconquistata. C’è un luogo a Zara dove
un signore ha lasciato il segno, e anche qualcos’altro, un luogo ancora vivo
nonostante la polivalente, modernissima, arena eretta nel cuore della città. E' il
vecchio palazzetto di Jazine, piccolo, semplice, essenziale, bordo aureo di sua maestà Krešimir Ćosić. All’interno, dietro
una delle due curve, un murales che sfrutta la dicotomia
cromatica del KK Zadar: “Dio ha creato l’uomo, Zara la
pallacanestro”. Appesi al tetto gli stendardi delle vittorie ma soprattutto due
maglie, la 11 di Ćosić (naturalmente) e la 10 di Josip Giergia, uno che si
ispirava a Bob Cousy dopo averne osservato chissà quante volte i movimenti in criptici filmati d’epoca. Si entra attraversando porte in ferro arrugginito sotto il logo sbiadito dello
Zadar, fra pareti vetuste tatuate da graffiti confusi riferiti alle gesta della
squadra che vinse il titolo nazionale nel 1974. A Zara, di questo tipo d'argenteria ne hanno addirittura 6 in bella mostra. Si cammina crepitando un intarsio di legno figlio della storia, tribune vuote
eppure parlanti nella migliore sinfonia che trasforma i colori in rumori, ebrezza metafisca di proiezioni
mentali indotte dalla nebbia di 5000 persone accalcate che fumano pacchetti
di Drina e tifano in piedi. Non vorresti più andare via, la custode della
palestra cura quei centimetri quadrati come fosse il più prezioso ricordo di
famiglia, e in alto, assioma assoluto, la benedizione continua di Kreso. Krešimir
Ćosić era nativo di Zagabria, anno domini 1948. Puro sangue croato, scacchiera
a quadrati rossi e bianchi pronta a muovere il pezzo più pregiato. Il dopoguerra è affare
complicato, vita grama, cruda, dove occorre inventarsi qualcosa per tirarsi
fuori dalla miseria. Kreso crescerà in altezza, poco nel peso. Inizia ad
abbassare d’istinto la testa un po’ dovunque, ha difficoltà nel rapportarsi con
gli altri, un gigante dinoccolato disegnato sulle forme di un fisico magro, scavato,
faceva quasi impressione. Ma ci sono quelle mani. Con le mani ci sapeva fare. La sua sensibilità
nei polpastrelli è istanza da ordine del giorno, da specie protetta. Ancora
bambino si trasferisce con la famiglia a Zara e scocca subito il colpo di
fulmine. Gli addetti dello Zadar gli offrono la possibilità di mettersi la
canotta biancoblu del KK, club riformato e rinominato a seguito del 1945, dopo che la
pallacanestro, a dirla tutta, venne portata da militari italiani, e guarda caso il
radar dello Zara, o Zadar, lo controlla un moro corpulento dal naso appuntito: Enzo
Sovitti. Suo padre Renato aveva una macelleria durante il periodo italiano, e Enzo
sarà uno dei pionieri della pallacanestro locale cominciando a far rimbalzare quel pallone
a spicchi su empiriche superfici di gioco quando ancora i parquet non
esistevano e ben pochi sapevano cosa fosse questa roba di lanciare una sfera dentro
un cerchio di ferro abbellito da una retina e non dentro una porta da calcio. A
Zara si ha la sensazione che non ci sia angolo della città in cui non si parli di basket. Si incontrano persone di tutte le età, e neanche il tempo di
concludere i convenevoli e giù un fiume di aneddoti, molto romanzati forse, ma di struggente fascino. Ci sono tante piazze che hanno radicata la passione, tuttavia
quella zaratina conserva anche l’orgoglio primigenio, quello che proprio con
Ćosić, ha cambiato la pallacanestro moderna, regalando eleganza in movimento,
eclettismo. Chiacchiere di basket, bagnate da vino bianco e da una cena di
pesce. Nel 1971 fu fondata la scuola cestistica guidata da Božo Zdrilić e nel
1973 Krešimir Čosić rientrerà a casa dopo quattro anni negli Stati Uniti d’ America.
Ai Cougars di Provo, Utah, lo hanno soprannominato “Big Kress”. Torna perché ha
rifiutato l’offerta di giocare da professionista nella NBA
per i Los Angeles Lakers. A Zara ritrova la Pasticada sul piatto e Josip Giergia. Inevitabilmente arriverà
un altro titolo per lo Zadar. Oltre a loro ci sono Branko Skročo, Zdravko Jerak,
Nedeljko Ostarčević, e Čedomir Perinčić.
In Europa la strada per la Coppa dei Campioni la interrompe il solito Real
Madrid, in semifinale, mentre a Zara arriverà il primo straniero da oltreoceano,
Douglas Richards. L’addio delle leggende coincide con il quinto successo in
campionato dello Zadar. E’ il 1975, 25 vittorie e una sola sconfitta,
registrata a Spalato
contro la Jugoplastika.
Fu la fine di una generazione d’oro, una delle migliori se non la migliore. Darà l’addio anche Josip “Pino” Giergia dopo
26 stagioni, tante, tantissime. Accadde il 21 aprile 1976 in un incontro contro la nazionale.
Giergia segnò 10 punti, esattamente come il numero della maglia che ha sempre indossato. A metà anni ’80 lo Zadar ritornerà temporaneamente al vertice con in
panchina Vladimir Durović. Era la squadra di Zdenko Babić uno che durante un
match di Coppa Korač, nella partita casalinga contro i ciprioti dell’Apollon finita
192-116, mise a segno qualcosa come 144 punti. Non ci provate, non ci riuscirete. Intanto esordisce
una futura sicurezza, Adrijan Komazec, ma ciò che conterà sarà che dopo undici anni
lo Zadar ritorna campione di Jugoslavia, battendo di un punto nella terza e decisiva partita
disputata a Zagabria il Cibona nello sfinimento del terzo tempo supplementare: 111-110. Eroe della
serata Petar Popović, 35 a referto tra cui il decisivo tiro da oltre l’arco sul filo, stridulo, della sirena.
Nessun commento:
Posta un commento