venerdì 20 agosto 2021

UN LIBRO, IL MALMO, E BOB.




Chissà se nel caso di qualificazione ai gironi di Champions sarà più felice Mikael Bergstrand o Göran Borg. Ah, capiamoci, il primo è uno scrittore, il secondo è il personaggio di uno dei suoi libri più famosi o forse, come spesso capita, è una proiezione letteraria di chi scrive, un alter ego con connotati e attitudini molto simili. Beh, riguardo al libro in questione vale a dire “La seconda vita del signor Borg” edito in Italia da Piemme nel 2013, il protagonista è un cinquantaduenne che nell’ultimo periodo non se la passa troppo bene: divorziato suo malgrado, sovrappeso, snobbato dai figli e vessato da un capo parecchio più giovane di lui che gli ripete in maniera ossessiva di non essere al passo con i tempi. Il nostro Göran ha l’abitudine di andare in ufficio indossando un dolcevita nero sotto una giacca di velluto piuttosto consunta oltre a portarsi dietro un passato da batterista abbastanza modesto. Qualche gioia gliela regala il calcio, eppure sarà proprio da lì che gli arriverà la stoccata decisiva, esattamente il giorno in cui viene licenziato in tronco per l’assidua frequentazione del blog dedicato alla sua squadra. Una pagina chiamata Himmelriket (Il Paradiso) Malmö FF. E siccome per il suo superiore il Malmö FF non risultava fra i clienti dell’azienda, l’ormai biondo cenere Göran Borg sarà accompagnato all'uscita, ma prima di sbracarsi sul divano a mangiare gelato e guardare vagonate di partite aspettando una chiamata dall’ufficio di collocamento, salta fuori Erik, il suo migliore amico, ex fricchettone riciclatosi come accompagnatore turistico che gli propone un viaggio in India dove, vi assicuro, vivrà la più eccitante avventura che gli sia mai capitata. A questo punto stop allo spoiler e casomai se vi interessa leggetevi il libro. Ad ogni modo il Malmö FF è vicino ad entrare per la terza volta della sua storia nei gironi della moderna Champions League, e in qualche modo la presenza di questo nome fa piacere anche a noi incartapecoriti nostalgici perché ci riporta a quella squadra che nel 1979 giocò ai dadi con il Nottingham Forest, in una tiepida notte bavarese, per decidere a chi dovesse essere assegnato il premio di sorpresa della stagione. Sulla panchina degli svedesi, guarda caso, c’era un inglese: Bob Houghton giovanotto londinese scarmigliato con il vezzo di girare con un cappotto di pelle scamosciata recuperato nei mercatini di Portobello Road e finito a giocare in Sudafrica per racimolare qualche sterlina. A trovarlo fu un certo Börje Lantz, fidatissimo agente uscito dal taschino del presidente del club, Eric Persson. Ora, come sia potuto accadere che Lantz sia andato a recuperare questo tizio in capo al mondo per fargli allenare il Malmö non è un mistero della fede bensì, pare, una sommatoria di consigli avuti sia da Allen Wade, sia dal grande Bobby Robson. Insomma, per farla breve, Lantz si precipitò a Johannesburg promettendo a Houghton di pagargli un biglietto aereo per l’Inghilterra a condizione che si fosse fermato un po’ ad allenare il Malmö. E Bob accettò, previa dono di un compasso. Si avete capito bene, un compasso di quelli da compendio scolastico da disegno. Mise la punta su Solbacken (in pratica il centro indicativo della città) è tracciò una circonferenza avente raggio 50 km. In pratica la filosofia di Bob Houghton stillava della prassi di coniugare football e appartenenza in una sorta di aggancio imitativo (magari, perché no, altrettanto qualitativo ed emotivo) con il Celtic del 1967. Tuttavia, se si ha in testa la situazione geografica di Malmö si evince che almeno la metà di quel cerchio imbarcava acqua, quindi le possibilità di pescare calciatori e non salmoni mostrava evidenti difficoltà logistiche. Invece, in barba ai detrattori del quoziente identitario, il 30 maggio 1979 gli undici titolari usciti dal tunnel degli spogliatoi erano originari della Scania, la contea di Malmö. Un autentico record di concentrazione indigena che per tre volte era riuscito a conquistare il cosiddetto Allsvenskan.  Dall’estremo difensore Jan Möller ai tre Andersson: Roland e Magnus, più Tommy. La squadra si presentò capitanata da Ingemar Erlandsson, bandiera del club biancazzurro a cui avrebbe dedicato l’intera carriera. Accanto a lui Anders Ljungberg, detto “Puskás”, mentre in attacco Houghton aveva riposto la sua fiducia in Tore Cervin e Tommy Hansson, entrambi di Möllevången, quartiere operaio di Malmö. Alle spalle un diciannovenne, Robert Prytz, centrocampista di Kirseberg, sobborgo a nord della città. A dirla tutta (nessuno sui senta offeso se per un attimo provo a sfatare il mito del Forest) quella partita fu persa soprattutto a causa di un grave infortunio, quello di Bo Larsson, forse il miglior calciatore svedese di sempre che aveva esordito a 18 anni nel 1962. “Bosse” ebbe un infortunio in semifinale ad un ginocchio e si accasciò malconcio a terra accompagnato fuori dallo staff medico. Senza la sua stella, e anche senza Staffan Tapper, costretto ad uscire verso la fine della prima frazione per i postumi dolorosi di un dito rotto alla vigilia, il Malmö e il suo calcio fatto in casa, diligente e privo di stravaganze, fu punito da un guizzo di Trevor Francis, ma ahimè quanti rimpianti.

 

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