lunedì 29 novembre 2021

POLVERE DI STELLA


Муње! tradotto starebbe a significare fulmine. E’ un film di produzione serba girato nel 2001 e diretto da Radivoje Andrić. La trama è incentrata dentro una notte d’inverno belgradese, le inquadrature si tingono dei colori dei lampioni della periferia, delle insegne del centro, dei fari delle auto, si intuisce San Sava, la fortezza di Kalmegdan spruzzata di ocra, si percepisce Piazza della Repubblica. Dentro una desueta berlinetta rossa, molto giù di carrozzeria, ci sono un paio di amici, Pop e Mare, che hanno inciso un disco e sperano di pubblicarlo grazie all’amicizia di un ex compagno di scuola, Gojko, che a differenza di loro qualcosa nella vita ha combinato ed è diventato un personaggio di rilievo, proprietario di un locale e di uno studio di registrazione, con tanto di guardia di corpo al seguito. C’è un problema. Gojko non ha un buon ricordo dei due, da bambino è stato tartassato e preso in giro, venendo soprannominato Sisa (grassone), e deciderà di boicottarli per vendicarsi del bullismo ricevuto. Oh, sbuca naturalmente anche una bella ragazza di nome Kata, e un’altra, Lola, tipa con ambizioni musicali, una che vuole cantare ma secondo lei non ha ancora una band di supporto valida, appare perfino un sacerdote e appare un ladro travestito da Babbo Natale in pieno spirito balcanico, con contaminazioni mediterranee e atteggiamento vagamente frivolo nei confronti della vita, oltre a un giovane poliziotto, dal baffo accennato, troppo compunto per essere serio, e troppo fuso dai turni di notte per non divertirsi a inseguire gente che mette il culo fuori dal finestrino e sulla testata del letto non ha esattamente un santino ma una bandana con la foglia di marjuana e accanto un gagliardetto della Stella Rossa, ricettacolo perfetto dal quale può scroccare un paio di lattine di birra e un discreto cannone nascosto sotto un cappello alla pescatora. Il tutto sul sottofondo musicale di “Rizlu Imaš”: “Non hai la carta d'identità, vuol dire che stasera farai un pisolino in caserma”. La commedia ha avuto un successo straordinario in Serbia, ma a noi serviva un aggancio utile perché a un certo punto, davanti a un bazar mordi e fuggi zeppo di cassette di frutta e sacchi di patate si ferma un eccentrica macchina con i fanaloni rotondi in pieno stile anni ’30 il cui guidatore, un tipo sulla cinquantina portati bene, si ferma, capisce di essere stato riconosciuto e fa l’occhiolino al gruppetto aspettando la commessa del negozio che stancamente gli porta una borsa della spesa. Il protagonista del cameo interpreta se stesso, è Dušan "Dule" Savić, il grande bomber della Stella di Rossa di Belgrado nel decennio ’73- ’83, che ipnotizza il gruppo, gli viene offerta una “pivo”, dopodiché se ne va in modo stravagante così come era arrivato. “Londra è in silenzio”, eccola la frase cult del film, perchè Savić fu l’uomo che silenziò Highbury. Correva la stagione 1978/79 e correvano forte anche dalle parti del Marakana, mentre Belgrado impazziva per Mate Parlov campione del mondo dei mediomassimi, e Stane Dolanc, segretario della Lega Comunista all’ombra di Tito, annunciava riforme. Lo stadio si ergeva come adesso, enorme e bistorto, nella zona di Autokomanda quartiere al confine dei comuni di Vozdovac, Savski e Vracar, zona di intrecci stradali e del destino, nel centro non troppo centro di Belgrado, dove spicca il monumento in bronzo al generale francese Louis Franchet d'Espèrey Louis Franchet d'Espèrey, che comandò le forze serbe sul fronte di Salonicco ottenendo la capitolazione dell'armata tedesco-bulgara. L’allenatore di quella squadra è Branislav “Branko” Stanković, detto Stane e detto anche “l’Ambasciatore” per il bell'aspetto, la postura eretta, e il portamento elegante da diplomatico, oltre ad essere inflessibile nelle questioni essenziali di spogliatoio. Fra il novembre e il dicembre del 1979 il sorteggio di Coppa UEFA sentenzia Stella Rossa- Arsenal (andata 23 novembre- ritorno 6 dicembre) sono gli ottavi di finale e gli jugoslavi ci arrivano dopo una pazzesca rimonta rifilata alla Dynamo Berlino e dopo aver fatto fuori gli spagnoli dello Sporting Gijon. Al Marakana che in una partita del 1975, prima di essere ridimensionato, ospitò oltre 110 mila spettatori, l’atmosfera è di quelle febbrili. L'azione della rete  del definitivo 1-0 partirà da Nedeljko Milosavljevic, che servirà il capitano Vladimir Petrovic il quale fu bravo a pescare sotto porta l’accorrente tocco vincente di Cvijetin Blagojevic. Poteva non bastare e ad Highbury due settimane dopo ci sono 52000 spettatori nel gelo di Islington. Branko Stanković manderà dentro: Stojanović, Jovanović, Krmpotić, Muslin, Keri, Jurišić, Petrović, Blagojević, Savić, Borovnica, e Milosavljević. La Stella Rossa giocò con una candida maglia bianca, undici piume nel vento del nord di Londra. I monelli di Belgrado, (la squadra dall’età media più giovane dell’intero torneo, s’avvitano sui duelli aerei, sbrogliano matasse di cotone dell'Hertfordshire, sdrammatizzano la profondità dei cori della North Bank. Stojanović tiene botta con estrema disinvoltura davanti alle quinte emendate dello stadio, poi però Alan Sunderland a venti dal termine si scuote il cespuglio di ricci e indovinerà il colpo di testa che parve dovesse far crollare le speranze della squadra di Stanković,. E invece, a due minuti dalla fine, in un Highbury imballato dalla paura, la Stella Rossa effettuerà 14 passaggi consecutivi senza che i londinesi riescano ad intercettare la sfera che alla fine arriva nel cuore dell’area di rigore blindata da Jennings, e qui Dušan Savić, l’uomo che camminava con la testa dove nessuno osava mettere piede, segnerà la rete del pareggio e della qualificazione, una rete che ancora oggi viene raccontata tra le persone che hanno nel cuore la società fondata da studenti dell'Università di Belgrado nel febbraio del 1945. Муње!

 

mercoledì 24 novembre 2021

IL SANKT DELLE GENTI


Vi diranno di non andarci, vi diranno che è una zona malfamata, di quelli da evitare, da stare attenti a ogni passo ma la tentazione sarà più forte dei buoni consigli da parrocchia perché Sankt Pauli è un libro riscritto. E’ aria umida di un porto tedesco, un quartiere strappato, sputato in faccia all’Amburgo borghese e bigotta, in cui il calcio trova spazio come portabandiera di lotta e impegno sociale. E poi, improvvisamente, parte Hells Bells degli AC/DC, il suo attacco inconfondibile, e sai che quello è il momento in cui al Millerntor, piccolo stadio vascello, sventolano le insegne dei pirati, fra fumo a buon prezzo e copiose pinte di birra, e ci si batte per una squadra strana al grido di “mai più guerre, mai più nazismi, ma più terza serie”. Sankt Pauli è tifoseria ribelle per antonomasia, anarchica, proletaria, radicale, squat, punk, e se non basta mettete ogni cosa a bagnomaria in rivoli antagonisti d’ogni sistema, smarcati, un equipaggio multicolore da esodo sociale, agghindati come tanti alberi di Natale privi di natività, dentro magliette stropicciate del comandante Guevara nella sua posa intramontabile, avvolti in anonime libagioni di felpe nere con il Jolly Roger sul petto, montati in stendini di giubbotti di jeans senza maniche tappezzati da orde di stemmi variopinti cuciti a casaccio a marcare nel gusto, e soprattutto nell’estetica, il loro modo di intendere il mondo, la vita, il fussball, e questo sanno benissimo gli undici uomini con l'insolita maglia marrone, spennellata col bianco del sole d’inverno e gallonata con l'emblema atavico del club in cui evidentemente il diavolo gioca a far l’amore intorno al campanile della chiesa dell'apostolo delle genti.  Sankt Pauli-Landungsbrücken, quindi, capirete, non è solamente deposito di container ma comunità sincera, senz’altro capace di esprimere passione popolare per il calcio attraverso un progetto di solidarietà e vicinanza, umorismo e caos, uno stile oggettivamente differente, una sorta di famiglia allargata fuori dall'ordinario, un pochino fuori di testa ma benedette le utopie di giovani e meno giovani, chic e casual, donne e uomini, che individualmente o in gruppo si riversano allo stadio liberato da ogni forma di discriminazione. Certo, a mal vedere, da lontano, il Sankt Pauli deve davvero sembrare una roba piuttosto figa a chiunque veda il calcio come qualcosa che oltrpassa il confine delle semplici pallonate, anche perché il club, gestito da azionariato popolare, ça va sans dire, dice le cose giuste, fa le cose giuste e indossa i vestiti giusti, antidoto particolarmente gradito per i tanti delusi dal vuoto di contenuti dello sport moderno; l'alternativa perfetta per ripudiare superleghe e tentativi di fuga nel capitale. Ci sono i rivali cittadini, vero, sconfitti fuori casa un'unica volta il 16 febbraio 2011 al Volksparkstadion grazie a un goal di Gerald Asamoah, ci sono i nemici ideologici dell’Hansa Rostock, ritrovati a denti stretti dopo il crollo del Muro. La svolta, per un club istituzionalizzato nel 1910 avvenne nella metà degli anni ottanta quando trasformò completamente la propria immagine, passando da modesta squadra di quartiere a fenomeno culturale. Fu ristrutturato il Millerntor-Stadion, nella zona vicino a Reeperbahn, il quartiere a luci rosse, nucleo reietto della vita notturna cittadina. Quindi poveri contro ricchi, disperazione contro comfort, tradizione borghese contro modello operaio, guardie contro ladri? Mah, discutiamone. In ogni caso l’evoluzione del modello Sankt Pauli si dovrà intrecciare per forza con le richieste serrate del marketing e del business della sports industry. Ci arriveremo. La storia pianterà le sue radici in Hafenstrasse, zona limitrofa al porto, lungo fiume, topografia fatta e finita nel cosiddetto piano regolatore Perlenkette, consistente nel riqualificare gli immobili del posto, o, in certi casi, demolirli. Il problema fu che negli edifici cominciarono a insediarsi abusivamente umanità varie,  operai, disoccupati con e senza sussidio, liberi pensatori, studenti, anarchici, immigrati, e in linea di massima famiglie che non potevano permettersi un affitto. Tutti insieme daranno vita a un progetto abitativo sostenibile, istituendo una mensa per i meno abbienti, promuovendo concerti di band "fedeli alla linea" per raggranellare qualche marco, e chiedendo indipendenza amministrativa. Operazione non è facile, dovranno combattere per anni contro le cariche serrate della polizia, contro pelatissimi gruppi di estrema destra, ma oh, poco da fare, il quartiere resisteva compatto, e di fronte a questo indomito spiegamento di volontà, tutti dovranno alzare le mani e arrendersi. Niente più sgomberi, era fatta. Ora, se la leggenda narra che il simbolo per eccellenza dei pirati di ogni tempo fu portato al Millerntor su banale iniziativa di un tifoso uscito di casa con sottobraccio la celeberrima bandiera dalle tibie incrociate, il processo di valorizzazione del messaggio solidale del club non ha potuto sganciarsi in maniera così estemporanea dalla logica del mercato. Alla fine, a costo di perdite oggettivamente pesanti sul fronte delle entrate, il Sankt Pauli dopo che nessun fornitore è riuscito a specchiarsi sui parametri e le richieste di sostenibilità dei tessuti, per bocca del suo presidente, Oke Goke Göttlich, ha declamato l’addio alle divise griffate indossando solo maglie autoprodotte, realizzate in poliestere riciclato al 100%. I tifosi hanno apprezzato e il primo giorno sono state preordinate più di 1000 maglie. Le maglie che furono di Franz Gerber, detto "Schlangen-Franz", miglior marcatore dalla fondazione della Bundesliga a oggi, e di André Golke, il capocannoniere di maggior virtù, ambedue lassù col cappellaccio, sbattuti da 10 nodi di vento, dritti sul ponte del galeone pirata colmo di questa ciurma sotto ogni cielo.


 

LA VIOLA D'INVERNO

  I ricordi non fanno rumore. Dipende. Lo stadio con il suo brillare di viola pareva rassicurarci dal timore nascosto dietro alle spalle, l’...