sabato 15 gennaio 2022

BLUE MOON


Il 28 aprile del 1996 i fratelli Gallacher aprirono il primo concerto degli Oasis nel vecchio Maine Road con un lisergico riff di The Shamble Swamp, e pazienza se il Manchester City fosse retrocesso il giorno precedente, bastò una felpa blu griffata Umbro, indossata da Noel, con il veliero che attraversa lo Ship Canal, per far esplodere i 40000 presenti. Ecco, in questi giorni di scempi, non parlate del Manchester City se non avete conosciuto il vero Manchester City.

Quello del Moss Side, quartiere operaio, etnicamente variegato, raggrumato in un dedalo di palazzine fatiscenti. Qui sorgeva Maine Road. Chiedetelo a quelli del Kippax, il pub che prendeva il nome dalla screziata tribuna dello stadio. Perché esiste differenza fra fascino e seduzione. Il fascino è una forza attrattiva, che promana qualcosa o qualcuno, la rivelazione dell’unicità. La seduzione invece è un’attività intenzionale che consiste nel rendersi attraenti, desiderabili. Un trucco insomma, come quello dell’Etihad Stadium, l’impianto che ha raccolto l’eredità del suo predecessore. Maine Road fu costruito nel 1923. Ottanta anni e 1753 partite. L’altra metà del cielo plumbeo di Manchester. Ancora più grigio fra Hulme e il Moss Side dove almeno la droga e il degrado hanno vinto di più del Manchester United. Sembrava un copione di un film senza lieto fine. Un film dove i cugini con la maglia rossa erano la squadra bella, pulita e vincente e il Manchester City quella povera e sfigata. Quella supportata per congenita vocazione al martirio. Non è stato sempre così, ci furono giorni che i piani inclinati si ribaltarono. Il 27 aprile 1974 all’Old Trafford andò in scena il derby più iconico della storia della stracittadina mancuniana. Uno scontro decisivo per i red devils che a soli sei anni dal successo in Coppa dei Campioni stavano lottando per evitare la retrocessione e dovevano sperare in un risultato positivo oltre a una sconfitta del Birmingham. Al minuto 81 dopo una litania di giocate infruttuose da parte di entrambe le squadre, Mike Doyle, difensore centrale del City, rubò un pallone a Willie Morgan. Il passaggio di Doyle giunse a Mike Summerbee, che smistò verso Colin Bell a centrocampo. Bell rasentando il limite dell’area, con un leggero tocco, mosse la palla verso Francis Lee che tagliò a destra attirando su di sé le attenzioni della difesa. Poi farà partire un cross, rasoterra. Ad attendere il passaggio Denis Law, un ex di lusso: undici anni in quello stadio, 309 presenze, 171 gol. Undici anni durante i quali era stato addirittura incoronato dai tifosi come The King of Old Trafford. Law accoglierà la palla, lasciandosela passare tra le gambe, infine si sviterà come un tappo di sughero e con il tacco destro infilerà la sfera alle spalle di Stepney. Una beffa. Impazziti dalla gioia, i tifosi dei citizens invasero il terreno di gioco costringendo l’arbitro a decretare la fine dell’incontro con alcuni istanti di anticipo. A questo punto la contemporanea vittoria del Birmingham City è un dettaglio, il Manchester United è retrocesso in seconda divisione. Meglio che far l’amore con Susan Scott. Eppure sarà il canto del cigno di un’era fruttuosa iniziata nel 1968 con la conquista del secondo titolo dopo quello conseguito nel 1937. Un attimo e ci arriviamo. All’inizio era il West Gorton St. Marks, con una donna nel destino. Anne Connell, la moglie del rettore della chiesa di St.Mark, Arthur Connell. Come molte altre aree in rapida crescita industriale del nord, West Gorton non aveva strutture sociali di svago e la donna cercò di evitare che i salari degli uomini finissero in pinte di birra e corse dei cani con annesse risse a corpo libero. Nonostante una malcelata ironia iniziale, Anne si sforzò di creare un attività sportiva o quantomeno ricreativa. Con l'aiuto di William Beastow e Thomas Goodbehere, fondò un club di calcio parrocchiale, il "St Mark's West Gorton" che tirerà i primi calci sui campi di Clowes Street, per poi fondersi, nel 1884, con il West Gorton Athletic, diventando più semplicemente il "Gorton", con nuovo palcoscenico a Pink Bank Lane. Nel 1887 la società prenderà in affitto un terreno nei pressi della ferrovia. Normali travagli del parto. Ma il Manchester City (e non poteva essere altrimenti..) nascerà da un aborto. Accadde quando il padrone di casa tentò di alzare l'affitto, nel 1887, e il capitano della squadra Peter McKenzie suggerì che il club si stabilisse in Hyde Road. Lo spostamento portò al cambio di nome in Ardwick FC. Nel 1892 l'Ardwick divenne uno dei fondatori della Second Division, anche se i rivali del Newton Heath (gli antenati del Manchester United) furono ammessi direttamente alla First Division. E qui ce ne sarebbero già troppe per identificare l’embrione di una vita disagiata. Solo due anni dopo l'Ardwick fu costretto alla bancarotta. I successori, battezzati Manchester City dal manager Josh Parlby, continuarono a giocare ad Hyde Road fino a che nel 1920 l’impianto fu colpito da un incendio e il City, sfacciatamente, costruì Maine Road ad appena tre miglia dall'Old Trafford, come fosse uno sberleffo alla panoramica del destino, la culla del Dio minore accanto al letto del Demiurgo, galleggiando tra le prime due divisioni e vincendo la FA Cup nel 1934 guidati da Billy Meredith, uno nato nel 1874 a Black Park Chirk, una piccola città mineraria nel nord del Galles, a sud di Wrexham che iniziò a lavorare come conduttore di pony da miniera. Meredith non aveva la minima intenzione di abbandonare la vita di Chirk e sua madre era particolarmente contraria all'idea: "È facile per voi, signori, lasciare le vostre grandi città e venire nei nostri villaggi a rubare i nostri ragazzi ... I nostri ragazzi sono felici e sani, soddisfatti del loro lavoro e dei loro divertimenti innocenti... se Billy accetta il mio consiglio si dedicherà al suo mestiere e giocherà a calcio per divertirsi una volta finito il lavoro". Meredith, dal faccione volitivo e spigoloso, ha quindi firmato per il Manchester City, ma come dilettante continuando a lavorare alla miniera per un anno, andando avanti e indietro per le partite. Per il trionfo in campionato il City dovrà invece attendere il 1937 con in panchina tale Wilf Wild e in campo un certo Matt Busby... Salto temporale. Joe Mercer non era uno qualunque. Arrivò al City nel 1965, dopo una luminosa carriera con Everton e Arsenal e buone annate da manager con Sheffield United e Aston Villa, ma accompagnato dalle remore del medico che gli sconsigliava di accettare l’incarico per problemi di salute. Ma, come spiegò benissimo sua moglie Norah…” voglio che faccia il lavoro che ama piuttosto di vederlo seduto a casa e morire di crepacuore su una poltrona”. Non gli fu concesso di allenarsi con i giocatori durante la settimana e così decise di avvalersi dell’aiuto di un giovane coach, Malcolm Allison, grande ex del West Ham. Cominciò la partnership più importante della storia del Manchester City. “Avevo problemi di salute- disse Mercer- ma avevo grande fiducia nelle mie capacità”. Nel 1957 "Big Mal" dovette abbandonare i campi di gioco per una tubercolosi fulminante. Guarì, certo, ma il prezzo fu altissimo. Un delicato intervento gli asportò un polmone. Aveva appena trent’anni. All’inizio Allison, visibilmente scosso pensò fosse meglio restare alla larga dedicandosi ad altre attività. Tuttavia nemmeno lui resisterà al canto della sirena del football accettando l’incarico di manager al Bath City e al Plymouth Argyle. Aria da Dandy, immancabile sigaro, cappotto scamosciato e cappello da cow boy, si rivelò ottimo motivatore, e, nel 1965 approderà nella squadra del suo cuore, come detto, nel ruolo particolare di assistente. Allison porterà con sé Tony Book valorizzando talenti del calibro di Colin Bell, Mike Summerbee, Francis Lee, Tommy Booth e un giovane irrequieto chiamato Stan Bowles. La squadra diverte e convincendo anche la spocchiosa stampa inglese. Il Man City vincerà il campionato del 67/68, la FA Cup del 1969, la Coppa delle Coppe del 1970 e una Coppa di Lega. L’ idillio si ruppe dopo il cambio di proprietà nel 1971. Mercer se ne andrà mentre “Big Mal” terminò il suo rapporto con i citizens due stagioni dopo. E Bell? no dico Colin Bell? Centrocampista duro eppure geniale ed elegante, era arrivato al City nel 1966, per 45 mila sterline. 492 presenze e 152 gol con i Citizens. Un gentiluomo capace di ipnotizzare il pubblico del Maine Road. Lui veniva da  Blackhall Rocks un posticino da pirati all'estremità settentrionale di Hartlepool, sulla costa nord-orientale dell'Inghilterra, cielo basso e gabbiani rauchi, sguardi torvi. Bell e la sua parrucca di capelli biondicci buona per il teatro elisabettiano d'avanguardia, aveva un idolo nella vita: Charlie Hurley. Hurley sarebbe diventato il re a Roker Park di Sunderland ma Bell sarebbe diventato il re al Manchester City. Nel trentennio seguente, se togliamo un paio giorni a Wembley, i baffi di Paul Power, un goal da spellarsi le mani di Paul Dickov, i sabato pomeriggio a Maine Road saranno roba per masochisti e l’unica soddisfazione sarà fare qualche coretto per il belloccio David White, per il peperino Andy May, e cantare causticamente “Uwe's granddad bombed Old Trafford” (“il nonno di Uwe Rösler, -il loro attaccante tedesco-, vi ha bombardato lo stadio”), e cosa vuoi, in fondo lo sceicco poteva pure aspettare, perchè le ragioni del buon Jimmy Grimble, restavano valide: “Cosa c’è di meglio del Manchester United? Il Manchester City!”.

Blue Moon, you saw me standing alone
Without a dream in my heart
Without a love of my own..

Nessun commento:

Posta un commento

LA VIOLA D'INVERNO

  I ricordi non fanno rumore. Dipende. Lo stadio con il suo brillare di viola pareva rassicurarci dal timore nascosto dietro alle spalle, l’...