venerdì 21 gennaio 2022

IL PANA DEI COLONNELLI


Estasi bellica. L'attesa per cosa sarebbe potuto accadere nel ritorno della semifinale fu ostinatamente grave e con quel filo di epica moderna smarginata nel deteriore tutto post ellenico. L’Apostolos Nikolaidis, oggi come allora, era un terreno di gioco a portata di lancio, di sputo e di offesa. Dove le bibite venivano vendute dentro sfere di plastica che ne facevano piccole bombe. D’altra parte un po’ di rovinologia applicata al calcio è doverosa, quasi obbligatoria. Il senso di officiare tutta una lunga depravazione di tifo, di passione, che cerca dei punti fermi, delle pietre miliari. Ma pure la speranza che comunque tutto possa andare bene, così che in futuro si possa continuare a dire che qualcosa può andar male, il che è facile da scrivere e forse anche da leggere. Panathinaikos contro Stella Rossa dopo il 4-1 per gli slavi all’andata a Belgrado sembrava un barattolo di “moussaka”, (yogurt con miele e dolci di vaniglia) scaduto, indigeribile, o al limite dal tappo ossidato, ostinato. I posti in curva, posti? loculi schiacciati, sardineschi, da "Deo concedente" perché infondo il tifo deriva nell'etimo da “abbonato“ ossia persona un po’ "tocca", "rimbabita", insomma gente da istituto psichiatrico ma anche impregnata da quel cristianesimo da martirio dei primi secoli. Lo stadio, adagiato sulla via Alexandras, la lunga arteria che si imbocca per dirigersi verso la gloria di Maratona, appariva ignobilmente angusto, minuscolo, senza che mai il sinonimo di "lillipuziano" significhi anche civettuolo, e venne riempito da volgare pubblicità europea con caratteri ovviamente latini, per beccarsi due soldi dall'Eurovisione. Intorno case antiche, cariate, o nuovissime, qualcuna ancora da chiudere con i vetri, gli ultimi piani destinati a trasformarsi in attici strapagati. In lontananza, una collina spelata, dove qualcuno si sedette sicuramente con un binocolo. Insomma uno dei più goffi posti mai dedicati al calcio, eppure fu proprio il brutto, in senso assoluto, e non relativo, dell’impianto a presentarsi talmente sinistro per quelli della Stella Rossa al punto da farla cedere di schianto lasciando la folla in estasi; i verdi vinceranno 3-0 e andranno in finale della Coppa dei Campioni in una sorta di beatitudine tifoidea dei trentamila ammassati e felici. Tra la folla anche l'attrice Zeta Apostolou una bella bionda patinata e platinata che, seguendo l'esempio di una ballerina turca, aveva offerto la sua compagnia, per un'intera settimana su una spiaggia hippie di Creta al portiere greco, se questi non avesse incassato nemmeno un goal. Oh beato lui, ci troneremo a breve. In ogni caso, doppietta di Antonis Antoniadis e suggello di Aristidis Kamaras. Il Pana? a Atene significa essere di estrazione borghese, l'Atene di ideali conservatrici, l'Atene con un respiro curioso da ventaccio di scogliera britannica. Colpa di un podista. La storia è questa: Il 18 aprile del 1906 tale Billy Sherring, baffuto atleta canadese di origini irlandesi, vincerà la sfacchinata degli “Intercalated Games”. Sugli spalti c'era Georgios Kalafatis, un atleta greco, colpito dal grande trifoglio cucito sulla maglia di Sherring (era l'emblema del club di Sherring, il St. Patrick Athletic Club). Due anni dopo, il 3 febbraio 1908, Kalafatis fonderà il Panathinaikos. E volle il trifoglio (in greco "τριφύλλι") pronunciato "trifylli" sulle maglie, scelto come simbolo di unità, equilibrio e buona fortuna. Nel 1971 sulla panchina del Panathinaikos si era seduto  l’ungherese Ferenc Puskas, ex campione, gran condottiero mercenario, e gran bevitore, che nel calcio stava vivendo una sua seconda giovinezza. Alla vigilia della finale continuava a essere stupito, non sapeva spiegarsi in quale modo la sua squadra fosse giunta a tanto: “E' un miracolo essere giunti fin qui”. Puskas sapeva molto bene di essere alla guida d'una squadra formata da giocatori mediocri, una banda di onesti mestieranti tutti semiprofessionisti che al calcio agonistico abbinavano il mestiere del medico, dell'avvocato, del macellaio o dello studente, e per i quali la Coppa stessa aveva veramente il sapore di una favola. D'altra parte non poteva neppure sottrarsi alle regole del gioco. La Grecia in quel momento è conosciuta all’estero più per i suoi colonelli, e quindi il Panathinaikos avrà la bella occasione di portare al di fuori dei confini un successo sportivo che la Grecia della politica proprio non riesce ad ottenere. I giornali inglesi definirono la brama di vittoria di quel Pana “il ruggito del topo” mutuando un vecchio film di chiarissimo humour albionico, dimostrando che ancora non avevano affatto abdicato alla precipua concezione dell’unico Dio Football “Made in England” guardando con snobistico distacco alla finale di Coppa Campioni nel loro Wembley nonostante arrivi oltre ai greci quell’Ajax, uscito dal sottobosco della pedata negli ultimi tre anni. Nella variopinta Londra, in grado di recepire e annullare ogni bizzarria, le alte tube bianche e rosse dei tifosi olandesi non sembrano neppure simboli calcistici, ma solo un'ennesima trovata di hippies in declino. Facevano sicuramente più effetto i gruppi di piccoli greci, baristi, camerieri, operai, manovali radunatisi per la festa, ora preoccupati, ora allegrissimi e brindanti in vista di un traguardo mai osato neppur nei sogni. Il verdissimo velluto di Wembley era pronto, già Wembley, quello vero, dove il peso di un filo d'erba sulla traiettoria d'un pallone era sempre più alto. Il 2 giugno 1971 il Panathinaikos esce dal tunnel con un completo verde e il trifoglio sul petto. Eppure uno di loro non era né in verde né aveva un trifoglio. Rieccolo. Si tratta di Takis Ikonomopoulos, il portiere. Con il suo fisico imponente, la sua perfetta pettinatura e il viso volitivo e armonico sembrava estratto direttamente da una pagina di Anassimadro o Pitagora. Ikonomopoulos, con la sua perenne espressione seria, si mostrò vestito completamente di nero, un'ombra lunga pronta a librarsi sopra qualsiasi pallone che si trovasse intorno alla sua porta. Ma il trifoglio non apparve sul suo petto. Pochi si accorsero che al suo posto c'era uno strano scudo ovale da cui emergeva un'aquila dalle ali strette come fosse sull’attenti. Ikonomopoulos aveva due passioni: i pop corn e il suo collega basco José Ángel Iribar. E per via di questa seconda faccenda volle rendere omaggio al portiere che ammirava e con il quale, volle il destino o gli dei dell’Olimpo, aveva avuto modo di scambiare in precedenza la maglia. Accadde in un'amichevole sghangherata da un insolito freddo e giocata a Saragozza il 28 ottobre 1970. La Spagna vinse 2-1 con le reti di Aragonés e Quini. Al fischio finale, Takis e “Txopo” si sono scambiarono le rispettive divise, un usanza non ancora troppo comune. Il Panathinakos a Wembley è guidato dal capitano Dimitris “Mimis” Domazos, i difensori Aristidis Kamaras Anthimos Kapsis e Frangiskos Sourpis, a centrocampo Yannis Tomaras, e Kostas Eleftherakis, per poi giungere alla coppia d’attacco formata, dal bomber Antonis Antoniadis e dal citato leader indiscusso Domazos, crudeli interpreti del contropiede e privi della minima ombra di paura. Ad Atene ogni tv è coperta da una bandiera verde, in zona centralissima, precisamente a Monastiraki, al mercato delle pulci, forse il miglior mercato della città, ogni banco ha una radio accesa, in una cacofonia di voci, volume, e frequenze discrepanti e distorte. Gli inglesi alla fine tiferanno Panathinaikos un pò per rendere la cortesia usata dagli ateniesi al Chelsea nella recente finale della Coppa delle Coppe e facendo finta di ignorare che il Panathinaikos aveva eliminato dal torneo l'Everton, ma purtroppo il loro supporto non fu determinante così, come non lo sarà, va detto, lo stimolo dei premi giganteschi corroborati da dracme e dollari privati (cioè di Onassis, il nuovissimo Ali Babà del calcio greco) circa 300 milioni da spartire per il “reggimento Puskas”. Non una lotteria, una battaglia per il benessere perpetuo che però il Panathinaikos non incassò colpito e affondato nell’alfa e omega dell’incontro da Dick Van Dijck, (gran diagonale di testa su cross di Cruyff) e da una maldestra autorete di Giorgios Vlachos goffamente piegatosi a respingere di testa un pallone crossato da Arie Haan. Nel complesso gioco melenso ma volonteroso dei greci, che non segnarono solo perché stranamente parvero ignorare Euclide e un volume geometrico detto sfera. La partita si trascinerà via come una cattiva commedia caduta nelle mani di un regista delirante attorniato da attori sfiatati. L’Ajax si accontenterà di amministrare senza affanno. Ad Atene spensero tutto, restarono le bandiere verdi, il trifoglio e quella maglia nera regalata da Iribar a Ikonomopoulos, ma certe occasioni non torneranno.

 

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