Super
Basket alla mia edicola di riferimento usciva il martedì insieme al
Guerino. Si trattava di una doppia cattura, la risultante profana di uno
spazio sacro in divenire dove si celebrava ritualmente il divino, cioè
la lettura dell’intangibile, ciò che (per dirla con Carmelo Bene) ci
manca; dove tutto è possibile e nello stesso tempo impossibile, in
quanto nulla è vero se non la finzione stessa. Al campionato di basket
ellenico davo un occhiata attenta, appuntandomi ogni articolo su Galis e
compagnia cantante. Nel 1991 il suo straordinario Aris era a caccia del
decimo titolo e man mano che il tabellone dei play off si ridusse a due
contendenti restai entusiasta dal fatto che le ateniesi avevano
sbandato nettamente e Salonicco era diventata di fatto la capitale
momentanea della Grecia dei canestri, un pò come la nostra Bologna. Aris
contro Paok all' Alexandreio Melathron, il palasport oracolare,
incurvato, infossato fra due ali di folla accalcata e sudata, a torso
nudo, o in magliette da mercatino; un pubblico gesticolante, sporto fin
quasi a toccare le tavole scure del parquet. Salonicco, o Thessaloniki,
dove il Dorico e il Corinzio si alternano a seconda del termometro
ambientale, una città esposta verso i confini macedoni, carica di un
fragoroso bisticcio etnico incensato da comunità ebraiche e cristiane,
profumata di bougatsa e gyros, attraversata, lungo il porto, da quel
vento che mosse bandiere bizantine e ottomane, che invitò monaci
ortodossi a salire le cime del monte Athos per rifugiarsi nel silenzio
dell’iconostasi, nell’arroccarsi mistico dei monasteri. Aris-Paok si
gioca ogni giorno, quartiere per quartiere, strada per strada. L’Aris
nacque nel 1914 da una costola dell’Iraklis (società in declino) e
scelsero a proprio simbolo Ares, il Dio della guerra, vestendosi di
giallo-oro listato di nero, i colori della perduta Bisanzio. Il Paok,
invece, prenderà forma nel 1926, quando in molti fuggirono da Istanbul
durante il conflitto Greco-Turco e reca il nero della tristezza ma anche
il bianco della rinascita, legatissimi pure loro alla vecchia Bisanzio
tramite l’Aquila imperiale bicefala. E poi quei tipici ferri dei
canestri greci: rigidi, duri, pronti a risputare ogni pallone impreciso e
rifiniti da retine smilze, corte, simili a quelle dei pescatori locali,
cerchi di un ordalia che ha davvero pochi eguali. Nel 1991 Nikos Galis e
Bane Prelevic, erano i due semidei le cui maglie oggi sono appese in
tributo nei rispettivi soffitti, dei rispettivi templi. La finale del
’91 fu giocata al meglio delle cinque partite, tutte disputate al
Melathron con il fattore campo pressoché inesistente perché i circa 8000
presenti (di più era francamente impossibile) vennero disposti
equamente sui lati opposti della struttura, stando attenti ad invertire
la massa a ridosso delle panchine a seconda di chi deteneva
nell'occasione il fattore campo, virtù che la classifica decretò a
favore dell’Aris in caso di spareggio. I pullman che portavano le
squadre ci misero circa un’oretta ciascuno a percorrere pochi chilometri
dopo l’uscita dai ritiri: i cordoni della forza pubblica non riuscirono
a frenare l’entusiasmo e i giocatori vennero rovistati, gettati in
aria, raccolti e rilanciati. Gli americani delle due formazioni non si
raccapezzarono ma accettarono il clima da Termopili con cipiglio e
determinazione. L’Aris scappò via subito nella serie con un secco 2-0
che lo avvicinava alla stella, tuttavia il Paok mai mollò un centimetro e
disperatamente riagguantò la parità nei due successivi incontri
agganciando i rivali cittadini sul 2-2. Prima del match decisivo la TV
greca mandò uno speciale (recuperabile a spezzoni su Youtube) non-stop
durato, bontà loro, 5 ore e mezza, e c’è chi giura di aver visto Galis,
astemio, provatissimo all’uscita dello studio fermarsi in un bar a bere
il primo bicchiere di whisky della sua vita. Nick Galis è il ritratto
dell’ America delle valige di cartone, quella che poggiava le basi della
propria evoluzione contando le navi attraccate sul molo di Long Island e
in cui, molti, nel dopolavoro, cercavano all’ombra delle ossature di
grattacielo e in ammuffite cantine adibite a palestra uno spiraglio di
vita differente praticando il pugilato perché il codice non scritto di
un paio di pugni in faccia rendeva uguali anche i connotati dei ricchi e
se eri bravo arrivavano soldi e fama. C’è una coppia di sposini,
Geórgios e Stella Georgalis, partiti dall’isola di Rodi e finiti a New
York ad inseguire il futuro. Ad Union City, sul lato indigente
dell’Hudson, nel 1957 mettono al mondo Nikos e non appena il fisico
supporta il ragazzo il padre, da grande appassionato di boxe, lo farà
salire sul ring contro i coetanei del quartiere. Ma la madre Stella,
apprensiva, e soprattutto snervata di disinfettare e incerottare il
volto pieno di lividi del figlio, una sera a cena schiude la rabbia fin
troppo soppressa e scoppia in un furioso litigio con il marito. Vola
qualche piatto e la donna la spunta: Nikos cestinò i guantoni
cominciando a frequentare i campi di pallacanestro. Da Seton Hall in poi
diventerà il più grande cestista greco di sempre, ma ora dobbiamo
rimettere la testina del giradischi al punto giusto del vinile. Dicevano
1991, maggio. Se l’Aris allenato da Michalis Kyritsis poteva contare su
Galis, il resto del quintetto si presentava decisamente bellicoso
illuminato su tutti da Panagiotis Giannakis, moro, nato nel giorno di
Capodanno del 1959 a Nikaia, pochi chilometri dal Pireo, area suburbana
di Atene, proveniente da una famiglia molto povera, il più piccolo di
cinque fratelli, bravo a venirne fuori sfruttando il suo talento per
costruirsi una grande carriera nel basket, tanto da ricevere il
soprannome di "Drago" e diventare un simbolo della Grecia sportiva,
animato da uno spirito vincente e da un amore per il gioco che lo
porterà ad affermarsi pure come allenatore. Lui è la vera simbologia di
Ares-Marte, il dio della contesa, Galis è un fenomeno ma rimane
Ermes-Mercurio, il messaggero. Con loro Slobodan Subotic detto "Piksi",
Goran Sobin, e l’americano di colore Brad Sellers. E’ il Paok? Altro
emblema sportivo a 360 gradi, che pulsa anch’egli in quello strettissimo
budello di cemento dove finisce il mare e inizia la città, fra macchine
tamarre e chi siede interminabili ore a fumarsi mille sigarette
osservando la Torre Bianca, e allora ci si rende conto di essere ancora
nei Balcani, sia detto accarezzando il confine della sfera di influenza
puramente ellenica, imbastardita da accenti slavi e giacche in pelle di
camionisti bulgari. Il Paok avvolto, confortato, nelle ali della sua
aquila a due teste, pendeva dalla lavagnetta tattica del belgradese
Dragon Sakota, già alzato sugli scudi per aver portato la Coppa delle
Coppe battendo il Saragozza 76 a 72 nella finale di Ginevra. In squadra
ha Branislav Prevelic detto Bane, anche lui serbo di una delle ultime
buone covate jugoslave, poi fatto greco e diventato Re a Salonicco,
furbo come solo i serbi sanno essere nel gioco, ottimo nel rubare
palloni e nell’elargirli ai più poveri. Con "Bane", John Korfas da
Akron, Ohio, soprannominato "Tintin", autentico idolo dei tifosi del
Paok, uno che tirava i liberi con una tecnica del tutto particolare e in
genere non sbagliava. E quel capellone falsomagro da mettere sotto
canestro, all’anagrafe Panagiotis Fasoulas, con la canotta numero 13,
assistito sotto le plance dall’ex Tracer Milano Ken Barlow, ottimo
rimbalzista, esuberante, dagli occhi starlunati. A chiudere i cinque
“Dikefalos tou vorra”, c’era Nikos Boudouris, guardia di Volos, la
mitica terra dei centauri. Gara 5 (riguardatela) è una bolgia. Chi non
trovò il biglietto per la partita si chiuse in casa, le strade deserte,
il silenzio rotto dall’urlo per ogni canestro. Sul legno del Alexandreio
Melathron, il Paok tentò di sfruttare la serata storta di Galis per
portarsi avanti nonostante lo stesso Prelevic non fosse al meglio. Le
seconde scelte avranno un ruolo fondamentale, Stavropoulos e Papachronis
per il Paok, e il talento di Angelidis per l’Aris. Quando l’Aris sembrò
mollare gli ormeggi nel secondo tempo ci penserà il solito Giannikis a
centrare dannatamente la retina per i suoi, e a una manciata di secondi
dal termine, indovinerà un assist, quasi cieco, per l'accorrente Brad
Sellers che realizzerà il pari più fallo, e dalla linea della carità
mandò l’Aris sopra di uno: 81-80. Il Paok non ebbe il tempo necessario
per reagire, quel pizzico di fortuna, la nemesi tanto attesa. Vincerà
l’Aris, si cucirà la stella, mentre alla sirena si scatenerà una rissa
epica, tenuta in bilico dalla polizia, un pandemonio condito dal suono
stridulo delle ambulanze in arrivo e da bandiere in festa ed altre
ammutolite.
mercoledì 11 maggio 2022
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