martedì 13 settembre 2022

STELLE DI CARTA


In questo pezzo del quadrilatero che profuma di vino del Monferrato e bagna cauda, ci sono maglie bianche maglie grigie e maglie nere. Casale appare luogo decadente, ideale per addii strazianti alla David Lean o amene passeggiate sotto i portici, rilassante dentro il calore dei suoi caffè magari assaggiando i celebri “krumiri” inventati da Domenico Rossi, una specialità cittadina dal 1886. Centotrentasei anni di frollini curvi e rigati, pare per ricordare i baffi di Vittorio Emanuele II e un antico liquore locale. Qui è nato l’Eternit, con tutte le sue conseguenze, e sul piatto mettiamoci anche due vincitori di "Lascia o Raddoppia?" il maestro Merlini preparatissimo sulla "Divina Commedia" e la bella Maria Luisa Garoppo, eletta a simbolo delle tabaccaie d' Italia, rispondendo, poco più che ventenne, alle domande di Mike Bongiorno sul teatro greco. Ma il simbolo, abilità personali a parte, resta quello scudetto vinto nel 1914. Il caffè Rossignoli, un tempo era il covo dei tifosi nerostellati: qui arrivò il telegramma: "abbiamo vinto". Lo stadio è dedicato a un aviatore (oh, attenzione, come quello di Vercelli), Natale Palli, che col suo Sva rivaleggiava coi temibili Fokker austriaci e accompagnò Gabriele D' Annunzio sul cielo fosco di Vienna. Nel 1919 una bufera lo costringerà a planare sul ghiacciaio del Mont Pourri nelle alpi francesi dove morirà assiderato. Di fianco allo stadio corre il canale Lanza. Il canale è la liquida e antica forca caudina per quelli degli altri campanili. Ma la faccenda che mi interessa per la sua unicità è la storia della maglia nera con la stella. Occorre credere alla versione classica. Siamo nel 1909 e un professore ebreo dell’istituto tecnico Leardi, Raffaele Jaffe (morirà ad Auschwitz) arringava la scolaresca: 
 
"Nel 1215 i vercellesi rasero al suolo Casale, ma i casalesi nel 1403 si ripresero le prede di guerra. Adesso i vercellesi dopo aver vinto un campionato di calcio sono sulla strada per vincerne un altro. Non si possiamo andare avanti così, bisogna fare qualcosa"
 
Opporsi, dunque, in tutto e per tutto. Immaginate la scena: 
 
"Di che colore è la maglia dei vercellesi?", Tuona secco Jaffe. "Bianca, professore". "E noi l’avremo nera". 
 
Fu Luigi Cavasonza, uno dei futuri migliori giocatori della squadra, a proporre la stella bianca, ricavata da un foglio di quaderno e fissata con uno spillo sul petto. Che una squadra fondata nell' ottobre 1909 vinca lo scudetto cinque anni dopo è gesto esemplare del pionierismo. La guerra tuttavia interromperà i festeggiamenti. Per dare un’idea della rivalità, basti pensare che i capitani di Pro Vercelli e Casale, Milano e Barbesino, erano sotto le armi nello stesso reparto e non si rivolsero mai la parola. Alto e magro, una specie di Socrates senza barba, Luigi Barbesino sarà centromediano e allenatore dei nerostellati, corredandoil tutto con cinque partite in nazionale, segnate dalla presenza con la maglia numero 10 alla prima vittoria in trasferta (1-0 alla Svezia sul campo Rasunda di Stoccolma il 1 luglio 1912). La formazione-scudetto: Gallina I, Maggiani, Scrivano, Rosa, Barbesino, Parodi, Caire, Mattea, Ravetti, Varese, Bertinotti. In finale con la Lazio, 7-1 a Casale, 2-0 a Roma. Dopo estenuanti 15 ore di viaggio in seconda classe, solo Barbesino e Ravetti avvertirono il fascino dei monumenti romani, gli altri preferirono restarsene chiusi in albergo a dormire. Un altro mondo.

 

 

lunedì 5 settembre 2022

WORKING CLASS HERO


Quando la siderurgia inglese restò paralizzata, e scioperi e agitazioni si allargarono a macchia d'olio, i negoziati fra le Unions e la British Steel Corporation assunsero toni scoraggianti lasciando troppo ampio il divario fra offerte e rivendicazioni. Il governo non intese intervenire nella disputa. A indebolire la posizione della British Steel Corporation contribuì una decisione del supremo tribunale di appello, quello dei Law Lords, costituito dai nove giudici che siedono alla camera dei Pari. Fu una vicenda complessa. La British Steel Corporation produceva due terzi dell'acciaio inglese: i sindacati concordavano di coinvolgere nella battaglia anche le aziende siderurgiche private, quelle della Independent Steel Producers Association. Robusti picchetti assediavano gli stabilimenti e gli operai venivano convinti ad astenersi dal lavoro. Subito le Unions contrattaccavano: si rivolgevano ai tribunali dichiarando illegittima la strategia della Iron and Steel Trades Coniederation, l'organo che raggruppava i vari sindacati. Le Unions sapevano che la Corporation era in bancarotta, e che avrebbe dovuto chiudere numerosi stabilimenti licenziando migliaia di operai. Solo allora il governo Thatcher varò un disegno di legge per portare un po' di disciplina in materia di scioperi dopo le disastrose esperienze degli anni settanta. Frattanto, una azienda siderurgica privata, l’antica Heidfeld, di Sheffield, perse la pazienza con la signora inseditasi al numero 5 di Downing Street. Il consiglio di amministrazione condannò la troppa inerzia del governo dichiarando: “Anche noi organizzeremo picchetti, ma attorno agli uffici di contabilità, non pagheremo allo Stato né tasse né Iva, né contributi sociali.”

"The Full Monty" è stata una fotografia esatta dello stato delle cose. Solo una piccola parte di operai solo ritrovò un altro impiego. Il resto viveva di sussidio e di lavori improvvisati, più o meno strampalati, proprio come quello dello “striptease” ideato dal suddetto film. Gaz, uno dei protagonisti, se ne andava in giro con la maglia dello Sheffield United. Una scelta non casuale. Il vero disoccupato di Sheffield tifa per le Blades. Perché bisogna essere sfortunati nella sfortuna. Lo United, fondato nel 1889, ha una sala dei trofei piuttosto datata. Certo, dalle parti di Bramall Lane possono vantarsi di essere stati i primi nel mondo ad aver coniugato il suffisso “United” con il nome della città e di giocare dentro l’impianto più antico ancora in uso nel calcio. Fino a poco tempo fa il sillogismo sulle blades (ndr: le due sciabole incrociate sul logo vennero introdotte nel 1977 dal manager Jimmy Sirrel e disegnate dall’ex giocatore Jimmy Hagan) si riduceva a queste considerazioni piombando poi nel romanticismo più stretto facendo riferimento al fatto che forse non esiste niente di più affascinante dell’essere incompiuti, del perdere sempre e del non arrivare mai smarrendosi in sogni impossibili. Insomma in teoria, in mera teoria, appare un sentimento puro, onesto. Per la colonna sonora andrà sempre benissimo quella di Joe Cocker: You Can Leave Your Hat On. E allora dai Gaz, convinci pel di carota Lomper ad aspettare un po’ prima di suicidarsi sulla collina di Bardwell Road.

Ah, lo Shiregreen esiste veramente, il grande pub del famoso spogliarello cinematografico, è il sipario è ancora lo stesso. Le donne ci sono, pronte a infiammarsi, urlare e applaudire. In realtà il locale sarebbe un “Working men club”, un dopolavoro per chi il lavoro ce l’ha. Ma già di prima mattina si riempie di disoccupati o sfaccendati. Nella sala biliardi, covo di personaggi usciti dall'iconografia dell'ufficio di collocamento, si gioca a "snooker", o in alternativa, a freccette. Ma la sera lo Shiregreen vive di spogliarello. Terry Green, 55 anni, è stato per un decennio il segretario del club, e in una vecchia intervista al "Guardian" spiegava così la filosofia:

"Quando lo strip è femminile, in scena c’è una donna, sola. Quando è maschile gli “stripper” si presentano in gruppo: una sera c'era tanta frenesia che, prima del numero, una spettatrice è salita sul palco e, invasata dalla musica, ha fatto la luna".

 “...Cioe'?”

"Si è calata le mutande e ha mostrato il sedere. Abbiamo dovuto cacciarla di forza. Insomma abbiamo capito che le donne si divertono. E vengono allo Shiregreen".

Parliamo d'altro. Si lo so "Working Class Hero" la canta John Lennon e l'hanno pure rifatta i Green Day leggermente più lisergica ma nemmeno troppo. Tuttavia a Sheffield cantano volentieri anche “London burning they all shout/ But I wouldn’t even piss on it to put the fire out” (“'Londra brucia, gridano tutti/ Ma io non ci piscerei sopra neanche per spegnere l’incendio”) l’icastico anthem con cui la band di Sheffield dal nome bizzarro 2.3, sbeffeggiava i Clash in “(I Don’t Care About) London”.

E nel 1993 la Steel City visse la sua sublimazione proprio nella capitale, in palio c’era l’accesso alla finale di FA Cup, un trofeo mummificato nella vetrina del Lane dal 1925. Naturalmente fu un esodo: auto, bus, mezzi di fortuna.

Alla fine i tornelli di Wembley dissero 75364.

Dave Bassett sulla panchina delle “lame” avrebbe dovuto essere colui che poteva riportare a qualche fasto lo Sheffield United ma (ovvio) non andò bene. Dopo un minuto una magistrale punizione da trenta metri di Chris Waddle si infilò alle spalle di Alan Kelly e per tutta la partita il nazionale inglese restò un’autentica spina nel fianco nella difesa avversaria: curvo. Franz Carr e Brian Deane, i due colored delle blades, tentarono di trovare spazi fra le maglie strette di Carlton Palmer e Viv Anderson. Quando Paul Warhurst centrò in pieno l’incrocio dei pali, lo United colse il pari. Franz Carr servì il centravanti Alan Cork che fu bravo a mettere in rete sull’uscita di Woods. Cork era un bel personaggio, se non avesse avuto la maglia biancorossa poteva tranquillamente essere scambiato per un iracondo profeta da antico testamento: calvo, barba grigiastra e occhi spiritati. Quando giocava nel Wimbledon, e la sua inclemente calvizie era ormai ben visibile, i tifosi gli dedicarono un coretto espressivo:

“Alan Cork, Alan Cork, he's got no hair but we don't care”.

Ai supplementari le ”owls” ebbero la meglio. John Harkes dalla lunetta del corner telecomandò un pallone sulla testa di Mark Bright che anticipò tutti spedendo in finale i suoi. 

Oh, è passata una vita eppure non sembrerebbe. Lo Sheffield United resta il solito club confuso fra antico e moderno, va evocato e lui si adatta al presente solo ti dice subito di non pretendere troppo, di accontentarti, mentre un vago sapore di anarchia ti riempie le narici, basta solo a constatare bene l'insieme di quei tre colori, che qualcuno dalle parti di Bramall Lane ritiene mutuati da William Godwin, politico e filosofo britannico, che, con le sue riflessioni sulla caduta della Rivoluzione francese nella dittatura giacobina, precorrerà e ispirerà proprio il pensiero anarchico dominante del XIX secolo.

 

LA VIOLA D'INVERNO

  I ricordi non fanno rumore. Dipende. Lo stadio con il suo brillare di viola pareva rassicurarci dal timore nascosto dietro alle spalle, l’...