In questo pezzo del quadrilatero
che profuma di vino del Monferrato e bagna cauda, ci sono maglie bianche maglie
grigie e maglie nere. Casale appare luogo decadente, ideale per addii strazianti alla
David Lean o amene passeggiate sotto i portici, rilassante dentro il calore dei
suoi caffè magari assaggiando i celebri “krumiri” inventati da Domenico Rossi, una
specialità cittadina dal 1886. Centotrentasei anni di frollini curvi e rigati,
pare per ricordare i baffi di Vittorio Emanuele II e un antico liquore locale.
Qui è nato l’Eternit, con tutte le sue conseguenze, e sul piatto mettiamoci anche due vincitori
di "Lascia o Raddoppia?" il maestro Merlini preparatissimo sulla
"Divina Commedia" e la bella Maria Luisa Garoppo, eletta a simbolo delle
tabaccaie d' Italia, rispondendo, poco più che ventenne, alle domande di Mike Bongiorno sul teatro
greco. Ma il simbolo, abilità personali a parte, resta quello scudetto vinto nel 1914.
Il caffè Rossignoli, un tempo era il covo dei tifosi nerostellati: qui
arrivò il telegramma: "abbiamo vinto". Lo stadio è dedicato a un
aviatore (oh, attenzione, come quello di Vercelli), Natale Palli, che col suo Sva rivaleggiava
coi temibili Fokker austriaci e accompagnò Gabriele D' Annunzio sul cielo fosco di Vienna. Nel
1919 una bufera lo costringerà a planare sul ghiacciaio del Mont Pourri nelle
alpi francesi dove morirà assiderato. Di fianco allo stadio corre il canale
Lanza. Il canale è la liquida e antica forca caudina per quelli degli altri
campanili. Ma la faccenda che mi interessa per la sua unicità è la storia della
maglia nera con la stella. Occorre credere alla versione classica. Siamo nel
1909 e un professore ebreo dell’istituto tecnico Leardi, Raffaele Jaffe (morirà
ad Auschwitz) arringava la scolaresca:
"Nel 1215 i vercellesi rasero al
suolo Casale, ma i casalesi nel 1403 si ripresero le prede di guerra. Adesso i
vercellesi dopo aver vinto un campionato di calcio sono sulla strada per
vincerne un altro. Non si possiamo andare avanti così, bisogna fare qualcosa".
Opporsi, dunque, in tutto e per tutto. Immaginate la scena:
"Di che colore
è la maglia dei vercellesi?", Tuona secco Jaffe. "Bianca, professore".
"E noi l’avremo nera".
Fu Luigi Cavasonza, uno dei futuri migliori
giocatori della squadra, a proporre la stella bianca, ricavata da un foglio di
quaderno e fissata con uno spillo sul petto. Che una squadra fondata nell'
ottobre 1909 vinca lo scudetto cinque anni dopo è gesto esemplare del
pionierismo. La guerra tuttavia interromperà i festeggiamenti. Per dare un’idea
della rivalità, basti pensare che i capitani di Pro Vercelli e Casale, Milano e
Barbesino, erano sotto le armi nello stesso reparto e non si rivolsero mai la
parola. Alto e magro, una specie di Socrates senza barba, Luigi Barbesino sarà
centromediano e allenatore dei nerostellati, corredandoil tutto con cinque
partite in nazionale, segnate dalla presenza con la maglia numero 10 alla prima
vittoria in trasferta (1-0 alla Svezia sul campo Rasunda di Stoccolma il 1
luglio 1912). La formazione-scudetto: Gallina I, Maggiani, Scrivano, Rosa,
Barbesino, Parodi, Caire, Mattea, Ravetti, Varese, Bertinotti. In finale con la
Lazio, 7-1 a Casale, 2-0 a Roma. Dopo estenuanti 15 ore di viaggio in seconda
classe, solo Barbesino e Ravetti avvertirono il fascino dei monumenti romani,
gli altri preferirono restarsene chiusi in albergo a dormire. Un altro mondo.
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