Si sale verso Gubbio con l’animo
del pellegrino, fra l’argento degli ulivi, quello profondo dei lecci e il verde
opaco dei cipressi. E’ possibile cogliere l’Umbria spirituale e silenziosa
nelle sue abbazie e nei conventi, nel Cantico delle Creature di San Francesco
come nelle Laudi di Jacopone da Todi, accanto a quella gioiosa, vitale e
concreta che si avverte nei vicoli, nelle botteghe, nelle feste. Qui la
teologia ha trovato radici, come se la ragione fosse impotente di fronte al
mistero. Non fu un caso che nel 1910 a promuovere il calcio da queste parti
toccò a Don Bosone Rossi, sacerdote eugubino molto attivo tra i giovani, che al
suo ritorno da Roma aveva portato con se un pallone facendo scoccare il fatale
incontro tra il gioco ed i Ceri. Al San Biagio nel 1987 la “Domenica Italiana”
di Toto Cutugno esondava dagli altoparlanti nel piccolo catino dedicato al
calcio, un sorta di covo rupestre intraversato da tribunette all’inglese, di
quelle con il bordo del tettuccio griffato dalle solite ragguardevoli ditte
locali, molto spesso grondanti pioggia puntellate con i pali di sostegno, pessimi per la
visibilità. Ma in fondo, cosa vuoi, ci si accontentava, anzi a dirla tutta erano tempi buoni, di governi boccaceschi dove non si sa come in Italia l’economia girava perché ancora c'erano i mestieri e gli apprendisti, e d'estate ti potevi permettere un automobile, diciamo un utilitarie e una vacanza
al mare, evitando di ricorrere agli odierni leasing o prestiti da usura. All’epoca l’Interregionale
era un campionato ibrido di vecchi marpioni scesi a prendere gli ultimi spiccioli di
carriera, uniti a giovani esuberanti con qualche ambizione di salire in serie più
importanti oltre a cariatidi di categoria che ormai si erano praticamente affezionate
a quel calcio di provincia tutto polmoni, fango e ogni tanto magicamente qualche
tocco di classe che il pubblico si godeva alla svelta tipo fenomeno da
baraccone alla pari di quei circhi che ogni tanto passavano dai paesi e tutti
la sera a vedere i leoni e il mangiafuoco finto arabo. Calciatori part time, impiegati, addirittura operai, forse un po' matti sul campo, senza nemmeno aver fatto i tre giri di rito
intorno alla fontana di Largo del Bargello. E allora se dalle radioline
arrivano le reti di Platini e di Maradona e dalle finestre delle case profumo
di Strangozzi e Friccò, allo stadio ci si animava per quella bella maglia
rossoblù a strisce verticali con sul cuore i cinque colli simbolo della città,
il pallone in cuoio a bande, e la stellina d'argento al merito sportivo conferita alla
società. Una divisa indossata in quella storica stagione da Candido De Felice,
Sabatino Cipolletti, Moreno Morbiducci, Lamberto Magrini e il portiere ex Samp
e Lazio, Massimo Cacciatori, oltre naturalmente a tutta una serie di altri nomi
da contorno. Il ds Mancini e il presidente Vispi, costruirono una squadra per
tentare di conquistare per la prima volta la serie C facendo accomodare in
panchina Giampaolo Landi, un romagnolo tutto d’un pezzo, educato, professore di
matematica, di quelli che ti davano una pacca una spalla se avevi fatto la cosa
giusta aggiungendoci: “Bravo burdél”. La classifica del girone F disse
all’ultima giornata: Gubbio 46, Poggibonsi 46. Occorreva uno spareggio, la
federazione decise per il Renato Curi di Perugia e vennero staccati oltre 23000
biglietti, una roba da far invidia a tornei più patinati. Fu una giornata
fosca, umida, i tempi regolamentari si chiusero sullo 0-0, Massimo Cacciatori
chiuse ogni varco con esperienza, soprattutto al novantesimo, quando l’attaccante
Andrea Pistella del Poggibonsi sembrò avere la palla giusta per i toscani. Là
davanti i rossoblù risultarono troppo sterili, finché, al 113º minuto
dell’aggiuntivo, entrò Rosario Zoppis che con un guizzo su assist di
"Bobo" Camborata, sotto la curva nord assiepata di tifosi eugubini,
segnerà la rete decisiva che porterà il Gubbio finalmente in serie C.
venerdì 10 marzo 2023
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