Chissà perché, quando scriviamo
la parola estate abbiamo sempre la tentazione di associarla all’aggettivo “torrida”,
forse pensiamo di agghindarla, di dargli un maggiore senso di compiutezza lessicale, oppure lo facciamo solamente per un tocco di enfasi da modesti scribacchini della domenica, e poi, in fondo, chi
se lo ricorda se in quel 1983 ci fu davvero un’estate calda. Certamente
giornali, radio e televisione ebbero le loro linee di febbre costipati dal “caso
Tortora” e dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, dopodiché un giorno, in Piazza
XX Settembre a Udine, qualcuno dei presenti all’intemerata del presidente bianconero
Lamberto Mazza, alzò in aria un cartello fra il goliardico e il minaccioso: “O
Zico o Austria”. Insomma, il meraviglioso campione brasiliano,
clamorosamente, stava per materializzarsi lassù, in quel puntino di frico e
resina compreso fra Venezia e la Jugoslavia, fatto sobbalzare da un violento terremoto ma
che adesso aveva una voglia matta di scuotersi con la samba. Dalla spiaggia di Copacabana
agli argini pietrosi del Tagliamento, dai centomila invasati del Maracanã alle
tribune mitteleuropee del Friuli, appare rovescio di francobollo, vorticoso ascensore
di stile e stelle e invece, vivaddio, le campane della bellezza possono suonare
in ogni angolo di mondo, dondolando l’incantesimo ruffiano di una palla che girava
in avanti e scendeva a una velocità incredibile. Quando Zico, con la sua folta chioma castana arrivò a Udine, gli fece posto il fantasioso Ivica Suriak che si portava dietro la leggenda delle punizioni calciate durante un allenamento con la barriera mobile, colpendo per cinque volte consecutive la traversa,
e alla fine dovette intervenire il magazzinere per la caparbia ostinazione dello spalatino sul fatto di tirare verso una porta leggermente non regolamentare e naturalmente dimostrò di avere ragione, costringendo lo staff dell'Udinese a risistemare i centimetri in difetto. Zico ad ogni modo non ebbe problemi a migliorare i colpi del suo predecessore. Arthur Antunes
Coimbra detto “Zico” o anche “Galinho” in quanto l’ultimo aggregato di 5
fratelli dove lui era il più giovane e il più gracile di tutti ma, corpo di mille balene, mutuando romanzi di bucanieri nella tempesta, questo ragazzino con il pallone fra i piedi mostrava un talento cristallino che brillava nelle strade polverose e complicate del
quartiere di Quintino, suburbio di empiriche casupole in qualche maniera fagocitate
da mamma Rio de Janeiro. “Udinese? Udinese. Di dove? di Udine”. Calma ci arriviamo.
Se fosse un film l’arrivo in Italia di Zico sarebbe sicuramente un film di controspionaggio
dove dietro la macchina da presa, avremo potuto trovare registi tipo Sergio
Sollima, Alberto De Martino, Umberto Lenzi, o Sergio Greco che dettero vita a
una sfilza infinita di “prefissi”: spie e affaristi per tutti i gusti e tutte
le missioni, dentro un fantastico immaginario pop, costruito in pochi mesi,
scritto in poche settimane, eppure folle, creativo e ricco di idee originali. Nella scena d'apertura di Zico ci sarebbero senz’altro in primo piano, con un sottofondo di musica
popolare brasiliana, percussioni e ukulele, anzi facciamo "acquarello" di Toqhino uscita giusto quell'anno, due valigie di
cuoio marrone piazzate sopra il tavolo del presidente del Flamengo Antônio
Augusto Dunshee de Abranches. Al loro interno contengono 2.1 miliardi di
cruzeiros, che serviranno per pagare il club carioca e portare Zico all’Udinese. Le ha portate Franco dal Cin, il direttore Generale dell’Udinese. E qui si torna
a capo quando Dal Cin, quarantenne lungo e scaltro risponderà serafico alla
curiosità icastica del suo interlocutore brasiliano: “Udinese? Udinese. Di
dove? di Udine”. Oh, non ci scordiamo di una cosa appena menzionata in incipit:
nel
1976 il Friuli gridò la sua rabbia per un sisma devastante, ma senza sprecare
un secondo più del necessario per le lacrime, si armava di silenzioso eroismo.
C’era ancora molto da ricostruire, talvolta persino a mani nude, quella sorta
di paradiso perduto, tuttavia sette anni dopo l’apertura della voragine, con una manovra al limite della legalità e con la consueta grazia elargita
dal convoglio corpulento e generoso della Prima Repubblica a Udine arrivava veramente Zico. Sia chiaro, nessun mago Silvan, il trucchetto finanziario ed economico funzionò.
La storia cominciò due anni prima. Nel 1981 Zico venne a Udine per una gara
amichevole il cui incasso andò alle famiglie senzatetto. Capitò in una giornata
fredda e uggiosa che purtroppo aveva richiamato poca gente ma sarà in quella serata che il presidente Lamberto Mazza, tenutario della ditta Zanussi e l’amico
Giulio Gori, si lasciarono andare al pensiero stupendo che siccome nasce un poco
strisciante s’insinuerà nelle pieghe del contratto in scadenza di Zico. Dagli
uffici del Maracanã mica riattaccano la cornetta, lo scherzo, se di scherzo si
trattasse, appariva più serio del previsto e presentano il conto. Quattro milioni
di dollari. I lumini in suffragio a Ermacora e Fortunato, patroni di Udine,
avvampano nel biascicare di preghiere laiche. Esisteva un problema. Nonostante
la disponibilità donata dalla vendita di elettrodomestici Zanussi, la spesa effigiava un numero di zeri imprensentabili nel bilancio da rendere alla federazione gestita nell'occasione dal signor Sordillo, e allora occorse
dividere Zico in due pezzi. No, no, nemmeno in questo caso alcun “sim sala
bin”, figurarsi, i friuliani sono gente intelligente, operosa, e soprattutto pragmatica.
Una parte del calciatore venne fatta acquistare da una società che gli avrebbe
curato i diritti d’immagine chiamata “Groupings” (rimborsata successivamente) mentre
l’Udinese in pratica comprerà la prestazione del giocatore, l’ingaggio da un miliardo
giunse dai 300 milioni dalla Agfa Color, 200 da sponsor vari e 500 da
esclusive che Dal Cin vendette alle rampanti reti di Berlusconi. Il CONI
autorizzerà il trasferimento, ed eccolo Zico, testa strepitosa abile a leggere l’attimo
che gli altri vedevano con ritardo imperdonabile. Zico la fidanzata settembrina novella, condannata alla
solitudine della prima della classe, sotto l’acqua a scrosci del nord est, in mezzo a schiene, stinchi
e gomiti di difensori ottusi. A guidare quell’Udinese in panchina c'è il corpulento Enzo
Ferrari, uno che una volta con la maglia del Palermo segnò una rete all’Olimpico da
centrocampo aiutato dal vento di tramontana. E gli addetti ai lavori, seppure
con le dovute cautele, non negarono qualcosa di più della salvezza al gruppo bianconero vestito con una maglia inconfondibile a merlo guelfo palindromo.
Arrivarono sesti. D’altra parte, la squadra appariva abbastanza completa, insieme
a Zico, giocava il suo ferreo compagno di nazionale Edinho, l’ancora spinoso barone
Franco Causio e il tamburino sardo Pietro Paolo Virdis. Alla prima giornata in
trasferta a Marassi contro il Genoa la realtà parve dar ragione ai sogni. Zico
ha già segnato il suo primo goal, quello del due a zero, dopo aver mandato
"a spasso" con una finta assassina il suo marcatore, poi una
doppietta di Virdis aveva tolto ogni fiducia ai grifoni. Mel finale la partita stava assumendo i ritmi di un allenamento e in campo non si aspetta
altro che il triplice fischio, si vivacchia in una specie di "garbage
time" tutto cestistico. L'arbitro fischierà invece una punizione dal limite
a favore dell'Udinese e in quel momento tutto lo stadio incredibilmente inizierà ad invocare a gran voce: "Zico, Zico"; il brasiliano raccolse l'invito calciando con il consueto garbo la palla sopra la barriera rossoblù, direttamente nel
sette della porta di un immobile Martina, fissando il definitivo 0-5 e
inaugurando un rituale che si sarebbe ripetuto più volte nell'arco di quella
stagione, con i telecronisti che interrompevano i colleghi e s'inserivano in
diretta ogni volta che Zico stava per calciare una punizione dal limite, come
fosse un calcio di rigore. Ah, la gradinata Nord salutò con un boato di goduria la
marcatura. Zico ha attraversato il calcio italiano come una sorta di oggetto affascinante
quanto inafferrabile, 19 reti in 24 presenze nella stagione del debutto. Poi arrivarono
complicazioni, un brutto stiramento, un’accusa di frode di valuta, in seguito dichiarata
infondata, e lentamente Zico se ne andò, sfiorendo grigio, come l’odore di cane
randagio, nel baluginio di un istante, quasi d’un lume da Luna Park che si spenga fra una garza di nebbia
friulana.
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