"Nae
fuckin’ way. We dinnae break th’ hoops!". Oh, vediamo di capirsi.
Esistono maglie impregnate da un sapore differente, non me ne vogliate,
occorre distinguere vissuto e dedica, la differenza è sostanziale. Il
vissuto in questo caso è un rincorrersi carnale, sanguigno, inanellato
da un disagio figlio di un destino disgraziato e da una sorta di
malessere perenne che scuote l’orgoglio ferito ambendo alla rivalsa. Mi
ero dimenticato (mea culpa) che in questa stagione funesta le Hoops di
Parkhead compiono 117 anni. Ma rimettiamo la puntina dall’inizio. Nel
1939 la F.A. regolamentò l’introduzione dei numeri di maglia in
Inghilterra. In Scozia si iniziò ad aderire a questa pratica solo dal
dopoguerra finché nel 1960 divenne obbligatoria. Però una squadra si
rifiutò di seguire il precetto: il Celtic. Al presidente dell’epoca,
Robert Kelly, non passò neanche per l’anticamera del cervello di
sfregiare le iconiche strisce orizzontali bianco-verdi. Il Celtic che ho
più amato era splendido nella divisa dei primi anni ’80, quando a
guidarlo sul campo c’era la barba da bucaniere di capitan McGrain e la
squadra, almeno in campionato, giocava ancora senza il numero sulla
schiena ma solo sul pantaloncino, uno sulla chiappa destra, uno sulla
coscia sinistra per aggirare il regolamento. Una raffinatezza
indicibile, una barricata da idealisti, smontata a fatica dapprima nel
1975 a livello europeo e definitivamente nel 1994 in ambito domestico.
La causa va addebitata alle cosiddette “esigenze”, ignorando che l’unica
vera esigenza da avere nella vita sarebbe almeno quella di godere della
bellezza ma figuriamoci se il mondo ci permette licenze poetiche.
Fratello Walfrid converrebbe, lui che ebbe l’intuizione di gettare un
pallone su un terreno acquistato accanto alle lapidi di un camposanto
contribuendo con i ricavati delle partite a finanziare la “the poor
children’s dinner table” un’associazione benefica al fianco dei bambini e
dei ceti più deboli. A sbirciare il canone degli elemosinieri si legge
che fu compito fissato nel corso del duecento dalle bolle di Innocenzo
III e Gregorio X, e così l’elemosina ha viaggiato nel tempo spesso
confondendosi con la ragion di Stato, con questioni di rappresaglia e di
prigionia, e con accordi di un venerdì definito Santo. In origine
c’erano camicioni bianchi adornati da una celtica che spruzzava Irlanda
da ogni cucitura e se vogliamo anche un po’ di quella cultura giacobita
che l’artiglio inglese aveva tentato di sopprimere con forza, dopodiché a
voi le teorie. C’è chi è più propenso a credere ad una mutualità
empatica con lo scomparso Belfast Celtic, chi al fascino di una vecchia
maglia dei cugini di Edimburgo usata durante una finale di Coppa, oppure
chi crede alle formichine. Si le formichine. A Cardonald nell’ovest di
Glasgow, in un modesto impianto chiamato “The Ants” (le formiche
appunto) giocava il club del St. Anthony che pare avesse una maglia a
cerchi e qualcuno del Celtic se ne invaghì. A dirla tutta in
quest’ultimo caso si nota una piccola incongruenza di date ma comunque
sia andata è stato un successo e guai a non credere nelle favole. Hail,
Hail.
giovedì 1 ottobre 2020
HOOPS
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