giovedì 1 ottobre 2020

HOOPS



 

"Nae fuckin’ way. We dinnae break th’ hoops!". Oh, vediamo di capirsi. Esistono maglie impregnate da un sapore differente, non me ne vogliate, occorre distinguere vissuto e dedica, la differenza è sostanziale. Il vissuto in questo caso è un rincorrersi carnale, sanguigno, inanellato da un disagio figlio di un destino disgraziato e da una sorta di malessere perenne che scuote l’orgoglio ferito ambendo alla rivalsa. Mi ero dimenticato (mea culpa) che in questa stagione funesta le Hoops di Parkhead compiono 117 anni. Ma rimettiamo la puntina dall’inizio. Nel 1939 la F.A. regolamentò l’introduzione dei numeri di maglia in Inghilterra. In Scozia si iniziò ad aderire a questa pratica solo dal dopoguerra finché nel 1960 divenne obbligatoria. Però una squadra si rifiutò di seguire il precetto: il Celtic. Al presidente dell’epoca, Robert Kelly, non passò neanche per l’anticamera del cervello di sfregiare le iconiche strisce orizzontali bianco-verdi. Il Celtic che ho più amato era splendido nella divisa dei primi anni ’80, quando a guidarlo sul campo c’era la barba da bucaniere di capitan McGrain e la squadra, almeno in campionato, giocava ancora senza il numero sulla schiena ma solo sul pantaloncino, uno sulla chiappa destra, uno sulla coscia sinistra per aggirare il regolamento. Una raffinatezza indicibile, una barricata da idealisti, smontata a fatica dapprima nel 1975 a livello europeo e definitivamente nel 1994 in ambito domestico. La causa va addebitata alle cosiddette “esigenze”, ignorando che l’unica vera esigenza da avere nella vita sarebbe almeno quella di godere della bellezza ma figuriamoci se il mondo ci permette licenze poetiche. Fratello Walfrid converrebbe, lui che ebbe l’intuizione di gettare un pallone su un terreno acquistato accanto alle lapidi di un camposanto contribuendo con i ricavati delle partite a finanziare la “the poor children’s dinner table” un’associazione benefica al fianco dei bambini e dei ceti più deboli. A sbirciare il canone degli elemosinieri si legge che fu compito fissato nel corso del duecento dalle bolle di Innocenzo III e Gregorio X, e così l’elemosina ha viaggiato nel tempo spesso confondendosi con la ragion di Stato, con questioni di rappresaglia e di prigionia, e con accordi di un venerdì definito Santo. In origine c’erano camicioni bianchi adornati da una celtica che spruzzava Irlanda da ogni cucitura e se vogliamo anche un po’ di quella cultura giacobita che l’artiglio inglese aveva tentato di sopprimere con forza, dopodiché a voi le teorie. C’è chi è più propenso a credere ad una mutualità empatica con lo scomparso Belfast Celtic, chi al fascino di una vecchia maglia dei cugini di Edimburgo usata durante una finale di Coppa, oppure chi crede alle formichine. Si le formichine. A Cardonald nell’ovest di Glasgow, in un modesto impianto chiamato “The Ants” (le formiche appunto) giocava il club del St. Anthony che pare avesse una maglia a cerchi e qualcuno del Celtic se ne invaghì. A dirla tutta in quest’ultimo caso si nota una piccola incongruenza di date ma comunque sia andata è stato un successo e guai a non credere nelle favole. Hail, Hail.

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