giovedì 1 ottobre 2020

JE NE REGRETTE RIEN

 

 
Come dimenticare la parte più intima del film “Il tempo delle mele”, quella in cui Vic (l'incantevole Sophie Marceau) nel bel mezzo di una festa, girata di spalle, non si aspetta l’arrivo delicato di Mathieu a metterle le cuffie che trasmettono la canzone Reality di Richard Sanderson? È la scena cult, perché se ricordate è proprio così che i due ragazzi si conoscono, ballando una musica che solo loro possono ascoltare, separati dal gruppo, seguendo un’altro ritmo. Quel film ci ha consentito di spaziare una Parigi disincantata, popolare, serena e godereccia, nell’atmosfera chiassosa e rassicurante delle brasserie mentre sulle strade correvano bianchissime Citroen e variopinte utilitarie marcate Peugeot. Anni di libertà, morale, artistica. Il calcio francese assorbe quel momento nella maniera migliore dopo aver attraversato stagioni complicate. Si percepiva che il Mundial spagnolo poteva rappresentare una ventata avanguardistica, eccentrica, da bollicine. I giornali francesi, “Equipe” in testa, incominciarono a parlare di calcio “champagne”. La nazionale marciava verso la sua nuova Bastiglia dietro quella maglia blu fuori dai pantaloncini di Michel Platini, il 10, le Roi, il genio, l'illuminista. 
 
Il tecnico, Michel Hidalgo, lasciò poco spazio alle tattiche:
 
“Divertitevi”.
 
Le carrè magique” di Platini, Genghini, Giresse, Tigana, Tresor, e giù in attacco un giocatore di estremo talento, sebbene avesse raggiunto il picco della sua carriera: Dominique Rocheteau, ala destra del grande Saint-Etienne che anche come centravanti restava un iradiddio. Lui, Rocheteau, resta personaggio emblematico: capellone in odore di anarchia, antidivo, controcorrente, intellettuale, amante della musica e lettore accanito. Ah, dietro con Patrick Battiston, Manuel Amoros e Maxime Bossis, la Maginot transalpina appariva solidissima. Quella Coppa del Mondo non era affatto un sogno di mezza estate, era qualcosa di più di un semplice tratto da romanzo, era un opera di Molière, una ricerca della vittoria attraverso uno stile slegato dalle convenzioni e proteso verso una naturalezza che descrivesse al meglio situazioni e psicologia dei giocatori. 
 
Fra una baguette sottobraccio e le Figarò nel cestino della bicicletta, l’8 luglio del 1982 nelle case francesi si aspettava con epica da Tour la semifinale contro la Germania Ovest. Restava ancora la Francia dei figli di Edith Piaf, la piccola magra dagli occhi sognanti e le sopracciglie fin troppo disegnate come andavano di moda negli anni trenta, nata poverissima, da una famiglia di artisti di strada. Il padre faceva il contorsionista e spesso lei, fin da quando aveva otto anni cantava nelle piazze mentre lui si esibiva nei suoi numeri. Anche la madre era un’artista, una cantante. Un’infanzia disastrata tra nonne sui generis – una un po’ fuori di testa, l’altra, tenutaria di un bordello -. Poi l’incontro con un impresario, Louis Leplé, che si accorse subito di quella voce potente e comunque flessibile come il corpo esile della ragazza. E allora cominciò a girare Non, je ne regrette rien, "no non rimpiango niente", perchè i francesi le rivoluzioni le fanno sul serio comunque vada a finire. Si giocò a Siviglia, davanti a 70.000 spettatori, alle nove di sera di una bollente estate andalusa. Le due squadre risultavano agli antipodi per storia e maniera di intendere il gioco. Hidalgo, visibilmente emozionato, decide a sorpresa di schierare Didier Six anziché Gerard Soler poichè il ragazzo militava in "Bundes" e in tempi di magra da pay tv conosceva i suoi avversari. Si racconta che Kaltz, Briegel e Fischer siano stati colpiti da dissenteria ma da indomiti tedeschi da cartolina stringeranno le natiche e ci saranno. Rumenigge invece non era al meglio. Al suo posto partì Felix Magath. L’allenatore Jupp Derwall aggiunse un uomo a centrocampo in una sorta di 5-4-1 con Littbarski a supporto dell’unica punta. 
 
Jean Cau su Paris Match si espresse così:
 
“Tutto è guerra. Nel 1914 e nel 1940. E nel 1982, per la terza volta in un secolo, la Francia incontra la Germania per una sfida dal sapore epico. Qualcuno dirà, guarda, si tratta solo di sport, ma volete mettere il fascino? Da una parte, la Germania con la sua proverbiale potenza, dall’altra la Francia e i suoi eroici cadetti di Guascogna”
 
Superflua la cronaca dettagliata, fu un alternarsi di emozioni e colpi proibiti (Battiston uscirà in barella in stato confusionale) ma quando la Francia dopo l’1-1 dei tempi regolamentari si troverà avanti 3-1 in apertura di supplementari grazie alle reti confezionate dall’abatino d’ebano Tresor e dal girondino Giresse, il tempo delle mele sembrava scoccato. Eppure la Germania non mollerà di un centimetro trovando un inaspettato paregigio con il neo entrato Kalle e il soldatino Fischer. 
 
E’ vero, ci sarebbero i rigori. La sorte concesse agli "enfants" un’ultima possibilità. Al terzo tiro dal dischetto il granitico Stielike fallì, consegnando una preziosa chance ma Six sprecherà, lasciandosi ipnotizzare da quel saltimbanco di Schumacher che non ebbe problemi a parare un tiraccio debole e poco angolato. Parità, passeggera, vacillante, che tenne fino al quinto rigore. Al sesto tentativo, la notte calò netta su Siviglia e sulla voglia di revanche francese. Maxime Bossis sbagliò e Hrubesch, manco a dirlo, farà centro. La Francia e il suo capitano sfumano sullo sfondo, l’aspettativa cedette il passo alla malinconia: la chiamarono enfaticamente “la notte di Siviglia“. E al Pierrot portato in scena da Legrand scivolò giù un'altra lacrima, in fondo era innamorato di Colombina ma anche della luna.
 
 
 




 

Nessun commento:

Posta un commento

LA VIOLA D'INVERNO

  I ricordi non fanno rumore. Dipende. Lo stadio con il suo brillare di viola pareva rassicurarci dal timore nascosto dietro alle spalle, l’...