martedì 27 ottobre 2020

Il METODO CHAMPENOISE


Il bisnonno del Marchese Melchior de Polignac era un tipo scaltro; quando si accorse che troppe teste stavano cadendo nella cesta del boia pensò bene di mettersi una coccarda tricolore sul cappello e aderire alle idee rivoluzionarie asserendo che le lepri della sua proprietà non erano più esclusiva preda dell’assonnata nobiltà venatoria francese bensì dono di Dio per il popolo sovrano. E il nipote, anche lui con l’occhio lungo seppure in tempi di Belle époque e Ville lumiere, metterà a disposizione una discreta somma di franchi per il giocattolo ricreativo dei suoi dipendenti. 
 
Circa quarant’anni dopo quel passatempo denominato Stade de Reims, diventerà la squadra del figlio talentuoso di un minatore polacco e di un genio visionario della Marna che vedeva il calcio come un inno alla gioia: Raymond Kopa e Albert Batteux. 
 
Ah, certo, l’Abbazia. L’abbinamento calcio champagne è ovviamente roba di queste parti, merito di Pierre Pérignon, monaco per vocazione ed enologo per passione. Secondo il racconto tradizionale lo champagne non sarebbe stato frutto di un esperimento voluto, ma semplicemente il risultato di un errore. Il benedettino avrebbe scoperto la cosiddetta “presa di spuma” accorgendosi che alcune bottiglie di vino, lasciate in cantina ad affinare, erano scoppiate. Pérignon infatti ebbe l’intuizione di far colare della cera d’api all’interno del collo delle bottiglie per assicurare una chiusura ermetica senonché qualche settimana più tardi, a causa dell’eccessiva pressione, le bottiglie scoppiarono, offrendogli però lo spunto per creare il cosiddetto “methode champenoise”.
 
Insomma lo Stade de Reims, tunica rossa recante maniche bianche a seguito di piccole fusioni locali, si è giocato un paio di finali della Coppa dei Campioni battagliando contro il Real Madrid grazie a Monsieur Albert Batteux, un tecnico che schierava cinque attaccanti di ruolo predicando un gioco offensivo fatto di passaggi corti, triangolazioni, possesso e moto continuo delle sue pedine. 
 
Il 13 giugno del 1956 a Stoccarda il Real Madrid si trovò sotto di due reti contro i veementi Rouges et Blanc, il cui calcio armonico, a detta della loro stella più fulgida, Raymond Kopa, “combinava intelligenza e spettacolarità”. Il maggior tasso tecnico delle Merengues non sembrava sufficiente di fronte al collettivo francese, che a mezz’ora dal termine si trovava in vantaggio per 3-2. 
 
Poi ecco l’episodio non inserito nelle coordinate Cartesiane e che s’insinuò dentro gli assi decidendo storia antica e moderna: un palo colpito da Jean Templin. Avrebbe potuto essere il crollo definitivo degli spagnoli, ne diventerà invece punto di rinascita e trampolino della saga; segneranno Di Stefano e Gento, e l’edizione inaugurale della Coppa finirà a Chamartin. 
 
Poche settimane dopo ci finirà lo stesso Kopa o Kopazewski, il centravanti brevilineo dal dribbling letale. 
 
Le “Napoleon du Football”, il primo giocatore francese a vincere il Pallone d’Oro, il miglior giovane al Mondiale svizzero del 1954 e il miglior giocatore in assoluto a quello in Svezia quattro anni dopo, restando il più celebre calciatore del pentagono transalpino, almeno fino all’avvento di Michel Platini. Kopa era figlio di polacchi emigrati negli anni Venti nel villaggio battuto dal vento di Nouex-les Mines, nel settentrione del paese, per lavorare in infide miniere di carbone.
 
Fortuna volle che Raymond Kopa fu baciato in fronte da Eupalla e Albert Batteux, nel 1951, convinse il presidente dello Stade Reims, Henri Germain, a sborsare 1.8 milioni di franchi per assicurarselo dall’Angers. Batteux dal canto suo era stato promosso allenatore all’età di 29 anni fra la perplessità di molti dirigenti, eppure a smentire ogni residuo di incertezza nel 1953 arriverà il titolo nazionale sulla sinfonia del quintetto d’attacco Appel-Glovacki-Kopa-Sinibaldi-Méano. Nel 1955 entrerà in bacheca un' altro campionato e Batteux non si dimostrò solo maestro di tattica ma allenatore completo introducendo durante la preparazione estiva i “seminaires”, una sorta di stage nel quale i giocatori venivano sottoposti a una dura trafila che combinava preparazione fisica, tecnica e psicologica.
 
Persa la Coppa dei Campioni e Kopa, a Reims continueranno a mettere su il vinile di Edith Piaf "la vie en rose" perchè Batteux ripartìrà prelevando dal Nizza Just Fontaine, affiancandolo a Roger Piantoni a Jean Vincent e all’attaccante Renè Bliard. Arriveranno altri titoli e il club potè vantarsi di fornire alla nazionale ben otto elementi (inclusi Robert Jonquet e Armand Penverne), oltre allo stesso Batteux in panchina, che si arrenderà solo in semifinale al cospetto del grande Brasile. Lo Stade de Reims, trascinato dalle reti del “pied noir” Fontaine, (così chiamavano i francesi nati in Africa e rimpatriati) raggiunse di nuovo la finale della Coppa Campioni, trovandosi sempre di fronte il Real Madrid, ma lo champagne dei francesi evaporerà prestissimo e l’incontro si chiuderà con una sconfitta per 2-0 stavolta priva di rimpianti.
 
Gli anni Sessanta portarono il declino; rientrò Kopa ma in parabola discendente; Fontaine lascierà il calcio a causa di un brutto infortunio e nel 1963 dalle parti di Chaussée Bocquainenon, non rinnovarono il contratto a Batteux. 
 
Si concluse lì l’epoca d’oro dello Stade de Reims, iconico tabernacolo del calcio europeo, condannato negli anni seguenti a barcollanti stagioni in paludose serie inferiori disperse nelle campagne francesi. Un paio d'anni fa, i Rouges et Blanc sono tornati nel massimo campionato sotto lo guida di David Guion stravincendo la cadetteria con qualche settimana d’anticipo. 
 
Eh, pensare che una volta i bravi cadetti si recavano a Parigi per diventare moschettieri.
 
“Bonne Chance” vecchio Stade.

 

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