"Oggi andiamo alla partita". Sguardi tesi, peccati originali nelle
lentiggini delicate, verifiche teoriche dell’impatto del battipanni sui sederi
salmonati. Ma il ragazzino occhialuto dai capelli ramati arringa il gruppetto come gli
ammutinati del Bounty. “Cagasotto,
torneremo in tempo, ho calcolato tutto.” Reginald Kenneth Dwight e tre amici, cartella sulle spalle, si muovono a passi svelti su per i vialetti del distretto
collinare di Watford, laccio emostatico che soffoca squarci di Londra,
esorcismo contro il maleficio del patinato, una zona rurale fatta di casette
incolonnate dagli infissi bianchi ingentilite da siepi di pitosforo. La storia
d’amore di Reginald Kenneth Dwight, in arte Elton John, con la sua squadra di
club, comincia quel giorno marinando la scuola. Bucano Pinner (dove Reginald
era nato e viveva a casa dei nonni insieme con i genitori) e seguono la folla. Reginald aveva sei o sette
anni, sarà stato il 1953 o il 1954, poco importa, agli
amichetti parlava seccato di come suo padre trombettista lo
costringesse a interminabili lezioni di pianoforte e visto dalla prospettiva della "trottola" di Minerva tutto ciò doveva ovviamente appariva come una bislacca battuta di spirito. Poi appare Vicarage Road, allucinazione affabulatrice
di tribune distorte, contrappunto eccelso di muri scurissimi su un terreno di
gioco sputato da un frullatore di erba, terra e acqua piovana. C'è un problema.
A tasche di fuori i tre non riescono a mettere assieme i pound necessari nemmeno
per un solo biglietto e se anche un tornello si fosse caritatevolmente aperto mica si poteva giocarsi ai dadi l'ingresso. Allora decidono di accontentarsi, di sbirciare attraverso la
prospettiva semicelata da un pilone dei riflettori che lasciava intravedere la porzione di
una delle due aree di rigore. Qualcuno disse che quello là in maglia gialla era
Maurice Cook il miglior centravanti di sempre mai visto sotto quel cielo velato
e capriccioso. Restò l’emozione, il rumore composto, il brivido della folla.
Reginald decise di tifare per quella squadra, il club del suo sobborgo, conservando in una
nicchia del cuore quel pomeriggio di settembre in cui il Watford sconfisse 3-0 il Reading.
Nel 1974 Reginald è già Elton John, eccentrico e imbellettato astro nascente
del pop britannico che stava modellando uno stile spolverando riferimenti culturali
americani uniti alla vorticosa spinta creativa del dopo Beatles. Il 5 maggio
organizzerà un concerto proprio a Vicarage Road, radunando altri colleghi e fra questi,
guarda caso, anche Rod Stewart, uno dei rocker calcistici più popolari. Costo del
biglietto, una sterlina. Pienone. Eppure nemmeno l’appena pubblicato “Captain
Fantastic”, dal suono inconfondibile, distoglierà Elton dalla passione per il
pallone. Il Watford annaspava nel quarto piano della piramide professionistica e
lui si presentò sul palco travestito da calabrone. Il percorso ben più concreto
di quello trasognato di “yellow brick road” che aveva lanciato la strepitosa
raccolta “rubata” al Mago di Oz, era ormai segnato. Elton John tre anni più tardi, nell'aprile del 1977, acquisterà la squadra, il sogno di ogni tifoso, rilevando la
quota di maggioranza appartenuta a Jim Bonser. Tanti cari
saluti e una discreta buonauscita a Mike Keen, e dopo un paio di telefonate arrivò a Vicarage
Road il manager trentaduenne Graham Taylor, a dire il vero già piuttosto appetibile e discusso
per il buon lavoro svolto a Lincoln. Non stringono patti tuttavia si comprenderanno
al volo in un esparanto di ambizione. Nel giro di cinque stagioni i gialloneri listati di conturbanti marchette
rosse sono ai nastri di partenza della Prima Divisone e solo il Liverpool di Greame Souness
e Ian Rush riuscirà a tenere a bada la scatenata banda di Taylor. Un risultato spaventoso,
frutto di un calcio semplice e al tempo stesso colto. Qualche interprete
eccellente come John “Hot Cross” Barnes di appena 18 anni, e altri giocatori controversi
tipo il centravanti Luther Blissett che segnerà 27 reti in quella stagione da
urlo dentro un Vicarage Road gremito e contornato sul perimetro del campo da un
inconsueto muretto bianco a sostenere la cartellonistica pubblicitaria dell’Iveco
che aveva versato in cassa 400000 sterline. Poi l’estro di Nigel Callaghan, la
corpulenta spalla di Blissett, Ross Jenkins, e il capitano Les Taylor. Ci sono
uomini d’esperiemza che non si vergogneranno a portare il secchio, l’ex Arsenal Pat
Rice (ad Highbury, tripletta di Barnes, il Watford sorprenderà i gunners
vincendo 4-2), e Gerry Armstrong,
uome d’ordine e di rissa a seconda del pub in questione. Ironia della sorte, fra
le poche sconfitte che comprometteranno il cammino degli Hornets, fu a Maine
Road contro il Manchester City dove il difensore Bobby McDonald giocò 85 minuti
in porta dopo che Joe Corrigan si era lussato una spalla, e un'altra, di fronte
al Forest di Clough sbagliando un rigore sullo 0-0. La battaglia con il
Liverpool restò impari; nel tempio di Anfield in dicembre il Watford cederà 3-1,
mentre al ritorno in una situazione di classifica assolutamente gestibile per i
reds di Bob Paisley, gli Hornets si prenderanno una piccola rivincita battendo
la corazzata della Mersey 2-1 grazie ai centri di Martin Patching e Luther
Blissett. L’anno seguente, senza Blissett ceduto con esiti circensi al Milan,
il Watford getterà corpo e anima nella FA Cup. In quel 1984 per acquistare il
singolo degli Human League fuori dal Virgin Megastore di Oxfor Street, c’era una fila chilometrica composta anche da gente che non distingueva il rock dal pop e non
sapeva niente di Clash, Style Council, Heaven 17, Everything but the girl o David
Bowie. Tutto questo perchè dopo una semifinale da palpito con il sorprendente Plymouth,
risolta da una rete del biondo George Reilly, Elton John, nel pieno di una sua
tournée in Germania, sarà piacevolmente costretto a prendere un aereo per tornare
a Londra. Il Watford è sotto le torri di Wembley a giocarsi la coppa davanti a 90000
spettatori contro il gagliardo Everton di Howard Kendall. Non andò bene, ma quella
scalata, quei risultati, resteranno una delle pagine più struggenti nella storia salvifica
del calcio inglese.
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