martedì 26 gennaio 2021
IL LISCIO EUROPEO
venerdì 22 gennaio 2021
IL CIELO E' BLU A GRÜNWALDER
In Germania la mie simpatie calcistiche vanno al Monaco 1860. E naturalmente sono cascato male, anzi malissimo. Ma d’altro canto Martin Heidegger, che con "l’essere" qualcosa ci azzeccava, ripeteva che noi non giungiamo mai a delle scelte, casomai sono loro che vengono da noi. Nel 2017 il club tecnicamente sarebbe retrocesso nella terza divisione tedesca ma oltre al danno è arrivata la beffa. Intanto il danno è stato doppio. La sconfitta contro il Regensburg avrebbe dovuto significare solo terza serie (dove “solo” è un avverbio improprio per esorcizzare l’evento avverso). Invece mancò l'iscrizione perché il suo azionista principale, lo sceicco giordano Hasan Ismaik, non versò la somma dovuta (circa 5 milioni) subordinando il bonifico al desiderio di diventare tenutario di maggioranza del club (cosa che a quanto ne so in Germania, "Deo Gratias", è impossibile tranne per le società di diretta emanazione aziendale tipo il Bayer Leverkusen). Oh, il TSV perse anche lo stadio. Il Bayern Monaco, proprietario dell'Allianz Arena, infatti ufficializzò la rottura del contratto che permetteva ai cugini di disputare le partite casalinghe nella grande astronave colorata, rinunciando ai 3,5 milioni annui di affitto pagati dal Monaco 1860.
A dirla tutta il TSV si era sgravato già di molte quote di partecipazione dell'Allianz vendendole allo stesso Bayern a causa della difficoltà ad onorare l’impegno economico e a questo punto, vista la cacciata dall'Eden, ecco il ritorno nello storico Grunwalder Stadion. Eppure se partiamo dal concetto tutto teutonico del "è nata prima la birra o il boccale?", a Monaco di Baviera è nato sicuramente prima il TSV 1860. Il figlio maggiore, bello, ma ripudiato dal tempo che lo ha riempito di rughe e di sconfitte, lasciando spazio e fin troppa gloria alla seconda prole: rossa, vincente e piena di soldi.
“Papà, quando è stata l’ultima volta in cui il Monaco 1860 ha vinto il derby?”
“Non so figliolo, dovresti chiedere al nonno!”
Questa freddura è circolata in città per molti anni. Per la precisione il digiuno di vittorie nel derby è durato dal 12 novembre 1977 al 27 novembre del 1999, ventidue anni di sofferenza sportiva interrotti dalla bordata di Thomas Riedl all’Olympiastadion.
Eppure nei giorni delle partite di campionato a Marienplatz si vedono un mare di magliette biancocelesti indossate con composta fierezza da quei sostenitori che per tutta la settimana sembra restino nascosti nelle loro stanzette, soli, eclissati in un limbo di ricordi per non essere umiliati dalla vetrina dei vicini. Fanno perfino tenerezza quando invadono la metro che li porta al capolinea della U3. Un fiume di sciarpe e maglie con il leone rampante della famiglia reale Wittelsbach. I "Die Löwen", come si può facilmente dedurre, devono il suffisso numerico all’anno della loro fondazione anche se all’epoca erano soltanto una polisportiva di belle speranze. Per l’avvento del “fussball” si sarebbero dovuti aspettare una quarantina d’anni e un gruppetto di ragazzi della società di ginnastica Münchner TurnVerein che vollero aggiungere la sezione calcistica.
C’era stata un epoca d’oro nella storia del Monaco 1860. Durerà per tutto il decennio dei sessanta sotto la guida dell’allenatore austriaco Max Merkel, un musico dedito al pallone arrivato dopo qualche buon risultato ottenuto sulla panchina del Borussia Dortmund. Lo spartito ebbe poche stonature e la sua orchestra suonò come il miglior clavicembalo temperato di Baviera fino a diventare campione di Germania nel 1966, passando l’anno precedente una notte da finalista (o da leoni...) davanti ai centomila di Wembley dove venne fagocitato dalla bulimia dei martelli di Bobby Moore che si presero la Coppa delle Coppe con una doppietta di Alan Selay.
Il Monaco 1860 era pervenuto all'atto conclusivo dopo una durissima sfida di semifinale contro il Torino di Gigi Meroni, risolta addirittura con uno spareggio al Letziground di Zurigo. Una squadra caparbia e un po’ strampalata quel TSV; il portiere era yugoslavo, Petar Radenkovic, uno dei personaggi sicuramente più pittoreschi che abbiano mai calcato le scene del calcio tedesco. Registrò anche un disco ('Bin i Radi, bin i König') meravigliando le folle ben oltre i pali della porta di competenza. Il capitano Rudolf Brunnenmeier era sulla buona strada per diventare capocannoniere, Hans Küppers aveva grandi doti tecniche e tiro incisivo, Peter Grosser era un mezzo geniaccio e Hans Heiss Rebele un robusto centravanti di manovra dal sorriso caustico. Tuttavia la fortuna volgerà presto le spalle a quelli del 1860. Il bilancio societario cominciò a presentare le prime crepe con un’esposizione debitoria di oltre due milioni di marchi e nel 1970 ecco l’onta della retrocessione in seconda divisione. Gli anni settanta furono un periodo di difficoltà finanziarie per tutto il calcio tedesco, persino il cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt era dovuto intercedere presso le banche per salvare dalla bancarotta l’Amburgo, la sua squadra del cuore. Il Monaco 1860 fu addirittura costretto a ripartire, e aggiungerei guarda caso, dai campionati regionali.
L'ombra del fallimento totale venne spazzata via dall’avvento di Karl Heinz Wildmoser, ambiziosissimo presidente, che riporterà la più antica squadra di Monaco in Bundesliga. La stagione di grazia fu quella che coincise con il quarto posto del 1999/00, raggiunto grazie ai lampi di classe di un ispirato Thomas Hassler a fine carriera, che valse la qualificazione alla moderna Champions League.
Evidentemente però la narrazione del Monaco 1860 presenta qualcosa di strano, di imponderabile. Ciò che per tutti all’alba del nuovo millennio è stata fonte di guadagni, per i leoni di Baviera è diventato paradossalmente la cagione della rovina. Quello stadio che per il Bayern con il suo strepitoso indotto e i suoi centocinquantamila soci è stato un investimento verso il futuro, per il situazionismo del Monaco 1860 è stato un salto finanziario nel buio. In ogni caso venendo alla stretta attualità il TSV, dopo l'allontanamento dalla panchina del portoghese Vitor Pereira, venne affidato al biondo ascetico, ex centrocampista, Daniel Bierofka. Una squadra formata interamente da baldi giovani e dalla loro temeraria incoscienza, bravi ad assimilare in fretta il blasone del marchio e imporsi in Regionalliga tornando a far ruggire il Grünwalder, che sarà pure vecchio, sverniciato e decadente ma resta comunque la vera tana del leone. Oggi dopo un paio d’anni di terza serie le cose stanno prendendo la giusta strada per il gruppo passato nelle mani di Michael Köllner e sospinto dalle reti dello scafato bomber da trincea Sascha Moelders, anche se il cammino resta lungo e periglioso, visto anche che un imprevedibile DNA rientra nelle caratteristiche congenite dei leoni. Alles Gute!
giovedì 21 gennaio 2021
I LEONI DEL TONDO
Il Tondo era un impianto modesto, costruito accanto agli argini stanchi dell’Elsa, senza curve, ma il pubblico sui quei sei o sette gradoni si faceva sentire eccome. Oh, c’erano anche il Bar Rossano e il Bar Mario, ciò detto, a ogni modo, lì il biliardo restava al vertice dei pensieri perché sotto i neon intasati dal fumo, i giorni scorrevano sul panno verde attraverso estenuanti partite a "boccette", che in quel periodo si palesava gioco e materia di culto al pari degli scacchi in Russia. Insomma, torniamo a Marco Ciappi, tipo esuberante, capello indiavolato, occhio apparentemente mogio, spolverina verde militare, naso adunco, una certa propensione per le lettere e sciarpa in lana al collo con il leone rampante (l’imperatore Arrigo VII elargì questo simbolo al fortilizio intorno al 1300..). Ci univa la passione dei fumetti e al di là dei classici compagni di scuola diventammo buoni amici, poi onestamente a me quel Poggibonsi del calcio mi intrigava parecchio. D’altra parte mi sono sempre piaciute le piccole realtà e tutto sommato Poggibonsi lo era. Una cittadina di 20000 persone adagiata a metà strada fra Siena e Firenze che parlava un dialetto ibrido spinto sensibilmente più verso l’accento del capoluogo di regione per una questione di rivalsa, antichi confini e altre faccende di scomodo vicinato. Lui, il Ciappi, impazziva per Andrea Pistella, del quale mostrava orgoglioso l’autografo scarabocchiato su una fotografia, anzi su un ritaglio di giornale, attaccata con il magico "Vinavil" su una pagina del suo diario. In effetti Pistella era un valido attaccante dalla fluente chioma nera e dallo scatto perentorio, nato a Rapolano Terme e che giocherà perfino una stagione nel Cagliari in serie A. Con Marco, in maggio, avevo visto l'amichevole fra il Poggibonsi e l'Unione Sovietica che si stava preparando agli europei in Germania, finita 4-1 per lo squadrone del Colonello Lobanovsky. Mi avrebbe trovato persino un biglietto per il derby del 6 novembre a ma ebbi un imprevisto e la partita la vidi alla sera in replica su Canale 3 Toscana con il commento del molto sudamericano Gigi Rossetti che ad ogni rete della Robur allungava all’infinto l'urlo goal, mentre lo speaker dei leoni era Cesare Ghiribelli (foto sotto) fondatore della rivista "I' Tondo", super appassionato e frequentatore dello Sporting Club di via Trento.
Il Tondo esplose. Pistella
imperversò, e dopo cinque minuti su lancio di Riccardo Giangio, venne fermato soltanto dall’arbitro
per un fuorigioco apparso inesistente. Nella ripresa ci si attendeva la reazione del Siena, ma furono ancora i giallorossi a dominare: al 56′ il raddoppio,
Pistella allungò la sfera per Giangio sulla sinistra, progressione micidiale di
quest’ultimo e pennellata al centro per lo spezzino Luca Biagiotti, frangiflutti
del centrocampo di Vettori, che con uno scatto si liberò di Carsetti depositando
in rete un violento diagonale. Il Poggibonsi dilagò su un Siena impotente,
annichilito dal gioco spumeggiante degli uomini del corrusco Uliano Vettori, tarchiato, nativo di San Gimignano, voce roca e calvizie inclemente. A venti
dalla fine il sigillo: Pistella deruberà del pallone Rastelli, lanciandosi in
avanti e mettendo in azione quel filibustiere di mille arrembaggi, Salvatore Fusci,
abile a penetrare in area come una lama nel burro e a sparare la botta
rasoterra del definitivo 3-0. Per la cronaca il Siena si rifarà il campionato successivo con gli interessi. Lo sappiamo, lo rammenta Nick Hornby, e noi a lui dobbiamo credere fideisticamente: il calcio è come la vita, c'è sempre un' altra stagione.
LIVING THE DREAM
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