venerdì 23 aprile 2021

MADE IN EAST BELFAST



A East Belfast il tempo sembra fermarsi. E nonostante sia una pia illusione quella di bloccare le lancette, tuttavia, in questo spicchio di città che si distende macchinosa verso lo schiumare della battigia, ti rapisce la percezione del suo dilatarsi, di un rallentatore invisibile agli occhi ma sensibile all’animo, pronto ad accogliere gli effluvi del porto con il suo articolarsi di identità, il suo senso di appartenenza, il suo condividere legami comuni, semantici e sintattici, senza fretta, appunto, perché il fuso del Glentoran fila e torce a suo piacimento scandendo un’ora ignota. La gente che abita le casette a schiera (protagoniste dell'infanzia dell'autore delle Cronache di Narnia..) puntellate su Mersey Street, è di norma gentile, estroversa, apparentemente allegra ma basta uno sguardo un pò più intenso e capisci che gli occhi nascondono tremori antichi. Belfast è stata, e per certi versi lo è ancora, città in guerra con se stessa. Sotto un cielo piombo gravido di pioggia, il vento fischia stridulo fra le pietre, e i bambini giocano a calcio in campetti poveri sulla collina, nello stesso pendio da cui George Best vedeva ergersi i cantieri navali dove lavorava suo padre, quelli della Harland&Wolff’s, quelli con le due enormi Gru gialle ribattezzate Sansone e Golia. Al Westbourne Bar, si ritrovano i tifosi dei “Glens” una scatoletta d’arenaria scura con le finestrine verdi, ben protette da un inferriata. Dentro ti rischiara una luce soffusa da presepe che pare essere quasi un lusso, uno sfarzo inutile buono solo per sedersi su un treppiedi davanti al bancone di mescita fornito di una discreta batteria di Harp Lager e Whiteever, mentre annusi l’aria impregnata di una qualche essenza di fumo illegale accanto a lupi di mare benedetti dal poster incorniciato del Glentoran di Roy Coyle, e magari, in sottofondo gira “And The Healing Has Begun” di Van Morrison, nativo di queste parti e dichiaratamente sostenitore della causa dei “Cock and Hens”. Ah, nessun incerottato aneddoto, il galletto simbolo del club nato nel 1882 era semplicemente il sigillo di famiglia del suo primo presidente Victor Coates. Del resto appare poco complessa anche la storia dei colori, finiti con l’essere mutuati da una squadra di rugby di Dublino venuta qui in tournée. Abbiamo parlato di mare eppure è il fiume Connswater ad accarezzare il gradiente dell’Oval, lo stadio, scarnificato e asimmetrico del Glentoran, tondo, come il rumore della bomba sganciata nel 1941 da un bombardiere tedesco che costrinse la squadra ad emigrare per otto anni perché in mezzo al terreno si formò un cratere che pareva voler risucchiare tutto il pianeta dei Glens. L’Oval scricchiola e crepita, ma resta ancora al suo posto, un estratto d’acciaio e gradinate di cemento con due stand coperte a imperlare di sudore e passione i restanti, modesti, settori scoperti con la loro personale dose di agopuntura fatta di crushbarriers dal sapore d’arsenico e vecchi merletti. Il Glentoran è legato all'ambiente più operaio e proletario della città e sebbene il nemico dichiarato si chiami Linfield e la rivalità non solo sia solo sentita ma spesso violenta e instabile si tratta esclusivamente di una picca sportiva e non a sfondo settario come invece lo era quella fra Linfield e lo scomparso (in circostanze cruente..) Belfast Celtic. Il Glentoran resta club ruotato su orbite a maggioranza protestante al punto che un giorno un tale David McIllen, di professione reverendo, portò diatribe da Venerdì Santo, (l’anatema di un sacerdote di Limerick, o se volete Dio che tifa Linfield) recando scompiglio, minacciando i tifosi che non avrebbero seguito il suo sermone nella vicina chiesa Presbiteriana. Ma cosa volete il religioso capitò nel momento più sbagliato visto che quel fine settimana (era l’aprile 2005) Chris Morgan segnò al novantesimo la rete del 2-1 contro il Linfield a Windsor Park nella semifinale della coppa nazionale poi portata a casa. E fu evento a dir poco celebrato, considerato che ogni anno da quel giorno il club di East Belfast, non manca di ricordare gli eroi di quella partita iconica fra i cosiddetti “Big Two”. Una sfida scandita dal calendario ogni 26 dicembre cascasse il mondo. Va da se che il Glentoran o "Cluain Teorann" in gaelico (prato di confine) ha almeno un altro match riposto nell’album dei ricordi e fra le chincaglierie annesse sbuca un primato piuttosto odiato. Successe che nella Coppa dei Campioni del 1967 quella conclusa a Wembley con il successo del Manchester United fra gli abbracci commossi di Bobby Charlton e Matt Busby, la finalista sconfitta, ossia il Benfica, venne sorteggiata al primo turno proprio contro il Glentoran. Ok, c'erano una manciata di nomi nella squadra di casa che avevano o avrebbero giocato un calcio più retribuito attraversando il Mare d'Irlanda, per esempio il centrocampista Tommy Jackson, il terzino Arthur Stewart, oltre al player manager John Colrain ex Celtic. Il resto della compagnia dei galletti non giocò mai a calcio se non part-time e alcuni sempre fra le lamiere e gli sdruciti banner rosso verdi e neri del Glentoran. Complicato avere ragione di Eusebio, Simoes e Coluna. Ad ogni modo quando l’impiegato postale Tommy Morrow cadde in area e l’arbitro assegnò un rigore al Glentoran realizzato da Colrain, un rapimento estatico rapì i 40000 presenti, facendo partire un applauso quasi senza soluzione di continuità, almeno così riportano le cronache innegabilmente troppo agiografiche del Belfast Telegraph, che non s’interruppe nemmeno dopo il pareggio della perla nera. A Lisbona, nel catino vertiginoso del Da Luz, i glens fecero un altro figurone pareggiando 0-0 ma ecco l’arcano, quella sarà la prima partita, terminata in doppia parità, legiferata dal regolamento delle reti in trasferta e in tal modo, senza perdere, il Glentoran uscì dalla Coppa. Dieci anni dopo un'altra grande arrivò all’Oval, la Juventus, solo che stavolta la squadra capitanata da Alex Robson dopo un promettente avvio condito dalla traversa di Johnny Jamison dovette cedere ai bianconeri seppure Claudio Gentile pare abbia avuto meno problemi con Zico e Maradona che con lo scatenato Rab McCreery, basettoni, pantaloni a zampa d’elefante ed eloquente sentore di zolfo. Nella galleria delle leggende compare il bizzarro portiere Ezekiel Johnson, capace di comparire improvvisamente nell’area avversaria per cercare la rete, o di compiere atti di vera e propria follia calcistica, l’ala Tom Morrison, estroso corridore di fascia dal carattere non esattamente accomodante, oppure Fred Roberts, strepitoso bomber anteguerra che mise a referto 332 reti, uno talmente bravo a colpire di testa da procurarsi una sorta di tonsura benedettina in mezzo alla capigliatura pare provocata dal continuo contatto con la palla che, va detto, non era il palloncino coloratissimo da luna park odierno. Insomma il Glentoran è una ottima medicina contro le Superleghe, appurato il fatto che il depauperamento emozionale del calcio ha iniziato comunque a intaccare anche questi muri da diversi anni. E seppure in Irlanda le avvisaglie sono diventate occasione per alterchi beckettiani, in generale si tende a pensare che la tv a pagamento ti dia la possibilità di avere di più dello sport che ti interessa finendo per averne di meno, come poco burro spalmato sul pane, ma citando Tolkien: "finché i più piccoli ci saranno, ci sarà sempre una bella storia da raccontare".
 

 

 

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