Un rito iniziatico e quasi psicotropo, volto alla conoscenza suprema, assolutamente gratuito e non generante profitto, quindi condannato come immorale, eppure cavilloso e tenero, versatile e ubiquo, appiccicato sul soffitto delle nostre insonnie.
Caduto l’ultimo refolo di vento, cade anche la pace nell’abitacolo della vettura.
“Spud sei un coglione, cazzo” – urla Mark con un lampo di febbre nell’iride chiara – “è un’occasione e tu rinunci? Perché… perché ha paura… Oh signori miei della corte qui riunita, avete sentito? Spud ha paura dei morti”. Seduti sul sedile posteriore, Begbie e Simon finiscono la loro paglia mentre lentamente dallo stereo tenuto a basso volume, svaniscono le note di "Atmosphere" dei Joy Division.
“Beh Mark, è un affare da duri di stomaco, ma se dici che il vecchio, giù sotto terra, è carico d’oro possiamo tentare visto che prima lo tumulino perbene con una bella lastra di marmo passerà un po’ di tempo e questa pioggerella stronza ci renderà lo scavo meno faticoso. Sai cosa, quale pazzo, tu sei un fottuto genio Mark Renton”.
Cartacce a mezz’aria, nella brezza, sfacciataggine sulle labbra, perfida esiguità. Simon detto Sick Boy, un paio di colpi di tosse, ogni fibra persuasa dalla sua empatia demente con Sean Connery, imbaldanzito dall’incipit di "Temptation" degli Heaven 17:
“Ok, ci sto, in fondo quell’avvocato lo conoscevo bene, era un gran pezzo di merda, mai vinto una causa giusta, se lo ripuliamo dei suoi orpelli d’aldilà per un paio di mesi il buco è assicurato, e tu Spud poi non venire a elemosinare in astinenza, resterai in down, così magari impazzendo ti disintossichi”.
Intanto il treno è passato, probabile sia stato il rapido per Glasgow delle 18,40, un siluro dritto nel culo della città di quegli schifosi protestanti e di quelle cacche in pigiama. “Va bene” – riemerge Spud accendendosi una Benson, “Va bene, lo facciamo stanotte, dimmi, il cimitero è quello di Burial Ground vicino a Calton Hill?”.
Zodiaci e natura ora galleggiano nell’etere, nel dolore degli spazi eterni, nell’armonia delle sfere.
“Si, l’hanno sepolto là, ho controllato accuratamente, sono andato pure a dargli l'estremo saluto in obitorio prima che chiudessero la bara, anelli, orologio a cipolla e rosario, tutto rigorosamente d’oro, oro puro, ma agiremo domani pomeriggio…”.
Ingiurie da caserma, colluttare di dannazioni. Mark spegne lo stereo a metà di "Lust for life" di Iggy Pop.
“Dannato branco d’idioti, domani c’è il derby a casa dei jambos, a Leith saranno occupati a vedersi o sentirsi la partita, ci sarà poco movimento, e ho rintracciato un amico che lavora come custode al Dean, per qualche sterlina ci fornirà delle divise da addetti ai camposanti cittadini, le pale per scavare le ho già sistemate in garage, ah proposito, come cavolo si chiama quel nuovo acquisto di cui parlano tutti bene?”.
Già l’Hibernian, disincanto e scetticismo, non vince, non vince mai, ciò nonostante si sforza di nobilitare un destino, un orgoglio scivolato via da lombi irlandesi che è giocoforza patire.
“Si chiama, Houchen, Keith Houchen”, risponde con un collirio di luce sugli occhi Simon – “Oh, sarà un altro brocco voluto da quel Miller” – ridacchia Begbie, sotto baffetti teatrali, fra vanagloria e talento. Ora possono ripartire, riparte anche il nastro della cassetta nell’autoradio: "I was made for loving you dei Kiss".
[Chissà se c’è un nesso fra sostanze stupefacenti e poetica, a
giudicare da qualche rimatore maledetto direi di sì, almeno nel caso di Welsh ha
funzionato, anche se per diamine poi si è ripulito a
dovere e dopo un giretto a Londra è tornato lassù a Edimburgo a svolgere lavori per i servizi sociali
del comune, leggendo nelle pause Docherty di William McIlvanney, e toh, trova
dei diari polverosi incominciando a modellare il nucleo borderline di
Trainspotting, il resto è storia. Sapete che vi dico, torno al mio racconto, ai suoi amichetti,
spero sinceramente non si mettano in un grosso guaio, disseppellire un cadavere
è roba da becchini fraudolenti di Stevenson ma quello era frutto di fantasia,
fogli scritti in un periodo ricamato d’occulto, mica pagine di cronaca nera con
su le foto di compulsivi tossici di fine XX secolo.]
Piove, una tettoia di plexiglass graffiata, qualche scarabocchio, peni innocenti. Lazzaroni, cupi e ossuti, liturgie scordate dalla vestizione, skinny jeans per esaltare magrezze da tossicodipendente, knitwear Pringle e Fred Perry, una truffa di finti adulti senza scampo, nel tanfo accentuato dalla bocca nera, portuale, di questa città che soffoca le fauci e soverchia di lutto.
“Leith è il buco di culo più peloso del mondo” – “Hai ragione Mark, ma in fondo mi piace anche per questo, perché ci somiglia, non sei tu a ripetere sempre, ehi Simon, guardala quella gente, atletica, pulita, travestita da vivi, impegnata a guardare le vetrine dei negozi” – “Già proprio così, un momento però Spud, dove è finito Begbie?”.
Eccolo trionfante, con passo da elfo: “Avevo bisogno di una scopata amici, ed era pure carina, ha anche gridato, che donna, andateci, merita”. Spud mugugna caustico: “Secondo me eri a giocare a biliardo”. “E se anche fosse, bel bambinello, uso la stecca come il cazzo, io, non perdo una partita dal 1978”.
Sguardi bassi, consapevoli.
“Si, va bene lo stesso, fermi, allora ricapitoliamo, adesso ci facciamo due pinte e procediamo, ho scelto il bus per dare meno nell’occhio, gli attrezzi ce li scaricherà nei cespugli all’ingresso del cimitero Tommy a un’ora stabilita”. Begbie sbotta: “Fanculo a quel salutista di Tommy, se non creperà di acidi morirà di aids”..
“Beh, senti chi parla, adesso ci serve, saliamo”.
Grammatica curva, dolente, vocali strette, avari sussulti del mezzo, una nave senza timone impaziente di salpare. Grugniti scozzesi, più “funky” dello standard english e più “rock” del cockney. Begbie butta giù qualcosa, Mark lo vede.
“Cazzo Begbie, dobbiamo restare lucidi e tu ti cali un anfetamina adesso?” – “Sono teso” – Fiato corto, vacillante ellittica di comprensione. “Questa e' la maglietta di Eddie Turnbull?” – "Si, senza di lui e gli altri quattro non avremmo avuto i Famous Five e l’Hibernian più forte di sempre, ve li ricordate?” – “Io sì” – ammicca Spud : Eddie Turnbull, Lawrie Reilly, Willie Ormond, Bobby Johnstone e Gordon Smith, e in panca Hugh Shaw, uno squadrone..
Si scende, Dreadnought. Brusio da pub, qualche coro pre derby, in sottofondo "There is a light that never goes out" degli Smiths. Sui vetri piombati ancora gocce di pioggia, altri giri di pesante, tutti alla fine ingeriscono qualcosa di colorato, clausure e solitudini, luogo di visioni destinate a non durare, collettiva letizia, supponenza e malignità, una casba piena di topi di Giaffa.
Escono, gli occhi di Mark schivano una maschera sdrucita d’anziano, i quattro alzano la fronte, una camminata pigra fino alla nuova fermata per Calton Hill. Il postribolo del porto si allontana, il cielo apre una fessura ed esplode in una corta chioma di luce sugli ultimi palpiti d’acqua putrida lungo il molo. Mark parla a labbra strette, dallo zainetto estrae quattro tute, bianche.
“Dunque, statemi a sentire, appena scesi ci mettiamo questi camiciotti, gli attrezzi sono nascosti nel cespuglio accanto alla seconda cabina telefonica”.
Vestiti così, candidi, sembrano dei serafini, delicati e sgomenti nei filamenti di volto, consci delle screpolature della sorte, ma l’abbandono non tollera un regno dei cieli, un verdetto di critica borghese. E Leith, con il suo moncherino del Firth of Forth, mantiene la propria distinta identità rispetto al resto della città. Nel 1920 quando la cittadina fu annessa alla capitale scozzese ci furono non pochi risentimenti e tutt’oggi il seggio parlamentare è assegnato per la circoscrizione di Edimburgo nord-Leith, a sottolineare il fatto che può essere considerata un’entità separata, forse astratta.
Sottoproletariato cattolico, messe intarsiate dal suono d’arpa. Un cristianesimo isterico, come una gravidanza supposta, nel privilegio di un Dio. Ci siamo, la cancellata di ferro a punte di lancia cigola sui cardini, Simon va a prendere le pale. C’è un auto, un maggiolino giallo, una coppia di gay si bacia al ritmo di "Dark and Long" degli Underworld. Le riserve di catecolamine nel cervello, tornano ma neanche tanto, Mark si avvicina, sbieco, torvo, bussa nervoso sul finestrino.
“Ehi! via di qui, dobbiamo lavorare, avanti andate a impalmarvi da un’altra parte”.
“See… e tu chi sei, biondino?”.
Begbie, fulmineo, un sorriso strozzato, assesta un calcio nella portiera, rumore di lamiera contorta.
“Vi dovete togliere dalle palle o giuro che questa pala ve lo ficco in tutti e due i vostri culetti di ceramica”.
Dentro non c’è nessuno, odore di muschio bagnato, lapidi sbreccate, celtiche assediate dall’edera, un corvo pulsa alto nel cielo di cenere. Passi sulla ghiaia, la tomba dell’avvocato Arthur McGinn è ormai a pochi metri. Terra e una croce di legno temporanea con le referenze.
“Avanti forza” – “Ok Mark, solo posso sentire un attimo cosa fanno gli Hibs laggiù dai Jambos” – “Ehi Begbie, stiamo per riesumare un defunto e tu vuoi sapere che cazzo fa l’Hibernian?” – “Solo un attimo poi ti giuro che tirerò su questo signore alla pari di un negromante”. “E sia, solo un minuto”.
Gracchiare di radio, scorrere di rotella, stazioni in bassa frequenza, "Heroes" di David Bowie, quegli stronzi dei Simple Minds che si sono messi a copiare gli U2, infine la BBC Scotland.
“Allora dannazione Begbie quanto stiamo?” – “0-0 ma Andy Goram è rientrato dall’infortunio, solo pare che John Collins giri sul campo come una busta di nylon”.
“Stop” – tuona Mark – “Basta, si comincia, spegni questa cosa”.
Venti minuti di sudore e la bara affiora. Feretro scuro con un Cristo patiens privo di patibolo. Spud ha le ginocchia immerse nel fango, miscuglio di goliardia, incetta d’aria, repulsione.
“Il piede di porco Mark! serve il piede di porco…” impreca, concitatato, Simon.
Stizza, eccola Leith, contrattempi e incastri, accozzi rimescolati, canovacci sparigliati in decenni di degrado. Un grido, dal cancello, rauco, grottesco, altri ragazzi in camicioni a quadri e bomber d’ordinanza.
“Vi serve questo, ladri di polli, brutte merde! Addio cari, e comunque sarebbe fatica sprecata ci abbiamo già pensato noi a ripulire l’avvocato, bye, fottetevi, scemi”.
Mark, Spud, Simon, Begbie, sono spadaccini ciechi che si muovono senza senso sulle tavole di un palcoscenico di viltà, le sigarette spente nel pugno. Spud fissa le orbite vuote di Mark, Begbie e Simon fracassano definitivamente sull'argilla smossa e umida. Renton getta il camice bianco.
“Leith non morirà mai” – dice Spud.
Simon esulta: “Ehi, abbiamo vinto, ha segnato Houchen, di testa, allora non era un lungagnone inutile, 1-0 in trasferta, senti i nostri come cantano Sunshine on Leith…”.
Delirio, follia in odore di crisantemi? È solo questa la risposta da dare?
No.
Al netto di difficoltà personali e voglia di trasgredire, il
problema è l’assenza di uno scopo e la mancanza di un sole vero a riscaldare le
ossa. Rent, Sick Boy, Spud e Begbie tornano a guardare la vita scorrergli
accanto, senza mettersi in mezzo, spettatori volutamente assenti, bruciati,
delusi. Sul divano unto di casa sniffano qualcosa, e quando la droga viene sniffata gli effetti
insorgono dopo circa dieci minuti: onnipotenza, colori e suoni più vividi,
allucinazioni, abiure, delirio e fobie persecutorie. "High."
Mark riacciuffa un briciolo di ossigeno, futile:
“Sapete, ho sentito di un tifoso degli Hibs che negli anni ’70 si voleva far assumere come dirigente degli Hearts per mandarli in rovina, gli aveva mandato pure un curriculum con i fiocchi e per poco non gli infila a giocare nei pascoli delle Highlands, un piano diabolico porca troia, quasi come il nostro di oggi, e finito male allo stesso modo. Sembra si chiamasse Welsh, Irvine Welsh, tu Begbie lo conosci?” – “No, eppure mi sento di stimarlo, diamine che botta..”.
Musica nel tugurio: "(it’s against) The laws of love", The Volcanos.
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