Tanto si vince, no? La riunione in
redazione è finita. Cosimo pedala verso casa nel tepore della prima mattina di metà
maggio, supera il mercato centrale, il suo cortile di cartacce e liquami,
s’infila in San Lorenzo, attraversa una Piazza fitta di uomini agitati che
trascinano carretti avvolti in teli di plastica verde, sono i proprietari dei banchi
del mercatino che iniziano a prepararsi per la giornata. Cosimo macina strade,
vicoli e passaggi e ripensa agli anni di militanza politica, dalla consulta ai
collettivi delle superiori, a quelli di facoltà, ai giorni delle occupazioni. Trapassa via Faenza, la bici sfreccia e sferraglia sulla pavimentazione
nuova, prende via dei Conti, salta sul marciapiede di via Tornabuoni, la bicicletta
ha un tremito, sente allentarsi un pedale, prima o poi comincerà a perdere
pezzi, pensa, mentre scorre sul camminamento ben lastricato. Via
Tornabuoni è tutta un brillare di vetrine, di camice, di accessori, gemelli,
scarpe di cuoio ocra su appositi podi, su dozzinali capitelli, su are laiche. Forse avrebbe fatto meglio
a continuare con la politica? La politica come mezzo e non come fine? Erano
passati oltre 10 anni. Adesso si ritrovava a fare il giornalista per La Nazione,
in genere cronaca cittadina, che poi in quel momento non era tanto male, c’erano
i casi del “mostro” e in febbraio, durante una conferenza sindacale, Luigi
Scricciolo, membro del Comitato centrale della Uil, era stato arrestato per le pesanti parole rivoltagli da parte di un pentito di appartenenza alle Brigate Rosse che lo accusava di spionaggio
a favore della Bulgaria. Ecco, vedete, meglio lasciar stare la politica attiva,
soprattutto quella extraparlamentare, al limite alle prossime elezioni pensò seriamente di votare radicale facendo una bella crocetta su Marco Pannella e vai col valzer dei diritti. Alla “Nazione” almeno a fine mese due lire in tasca gliele facevano
cascare sicure e pulite. Si alza dal sellino,
Cosimo, si prepara a spingere per affrontare la cunetta del ponte di Santa
Trinita, la statua di Primavera si staglia netta, già immagina la festa,
e non riesce a credere al silenzio di quel momento sui Lungarni, su
Ponte Vecchio. Osserva le mensole, le persiane, le tinte, il corridoio
Vasariano, le finestrelle, i fregi, osserva l’acqua dell' Arno scorrere mogia,
osserva il Campanile, la Cupola, il lanternone, osserva Firenze, anzi no, la
ascolta, perché domani, ebbè, domani, questa città potrebbe essere travolta,
ribaltata su se stessa, in una cacofonia di trombette e cori, in un accendersi
di bandiere ed enormi cartoni tricolori a forma di scudetto al punto da
renderla irriconoscibile. Si ricordava bene della festa del 1969, ma questa
volta tutti avevano la sensazione di un esplosione maggiore, più completa e più
affamata di baldoria, perché gli anni settanta non erano stati poi così felici
per la Viola nonostante una Coppa Italia. Si era rischiato pure di retrocedere,
ma adesso sembrava essere vicini al successo più ambito, seppure il testa a testa con la Juventus non era affatto concluso, domani noi a Cagliari loro a Catanzaro, a pari punti sarà spareggio. In quel 1982 zeppo di Baglioni e di Albano e Romina, Cosimo è un uomo di quarant’anni, con il naso grosso, ciclista quanto basta per provare ad evitare la pancetta, comincia a ingrigirsi sulle tempie, e
da quando ha comprato un borsalino di lana per l’inverno, in redazione gli
dicono che assomiglia al Perozzi di “Amici Miei”. Adesso abita nei pressi di
Via Beccheria al secondo piano di una palazzina sfumata dai colori chiari, ha avuto qualche storia con donne complicate- dice lui-, o forse era lui stesso a
pretendere troppo, va da se che per adesso non si è mai voluto sposare per la
disperazione di mamma Irma e anche di babbo Gino, pensionato delle ferrovie, però
quelle due volte la settimana che va a trovarli gli preparano sempre una sorta di pranzo di Natale
e la "schiacciata" da portare via. Ha trovato un appartamentino abbastanza confortevole, sul tavolino del soggiorno ha sistemato la sua Olivetti lettera
22 insieme a una discreta catasta di fogli e libri vari, tutti con piccoli o grandi orecchi agonizzanti su pagine sparse. Qui scrive molti dei
pezzi che poi porta al giornale, qui sta per scrivere in anticipo sui tempi
quello che succederà domani, così – crede- basterà aggiungere solo il risultato
e i marcatori e alé, pronti. Perché domani lui vuole fare festa con gli altri.
Sulla parete sopra al divanetto damascato vigila un poster di Giancarlo
Antognoni mentre dalle gambe del bracciolo spunta un posacenere un po’ bizantino dal
gambo sottile, in vetro, quasi a ridosso dell’impianto stereo e della sua
collezione di dischi dei Rolling Stones. C’è pure l’ultimo album, Tattoo You, e lui poche storie andrà al concerto di
Torino il prossimo 11 luglio, toh, sarà la sera della finale della Coppa del
Mondo, ma mica gli azzurri ci arrivano in finale, stiamo scherzando. Cosimo si
accende una Muratti, impregna la stanza di fumo, comincia a rimuginare sul pezzo, dovrà essere qualcosa di
sociale, un minimo di antropologia locale, perché le pagine sportive non sono
di sua competenza, tuttavia è inevitabile spelacchiare sui protagonisti di
quello scudetto. Tanto si vince no? No, perché se non si vince qui bisogna trovare
un alternativa, un secco elogio funebre, qualcosa da lacrima e rimpianto. No,
no, si vince. Alla TV danno una replica di “Fantastico”,
c’è Claudio Cecchetto, Heather Parisi, Memo Remigi, Gigi Sabani, e Walter Chiari, la verità è che siamo il popolo del varietà, altro che anarchia, rivoluzioni e reazioni, è solo
la brezza della gioventù che ti fa bollire idee e pulsioni, poi il tempo
sistema tutto, o quasi. Dunque Firenze. Per lui Firenze restava quella dei
Guelfi e dei Ghibellini, angusta, buia, con le case l’una addossata alle altre,
con i ponticelli a collegare lo stesso caseggiato da un vicolo all’altro, non
certo la città delle sfolgoranti prospettive architettoniche rinascimentali. E il
carattere dei fiorentini era rimasto quello, mica quello mediceo, nonostante lui
si chiamasse Cosimo ma il nome glielo avevano messo perché suo nonno paterno, artigliere
sul Piave, si chiamava così non certo per tributo al Duca. Ora, va detto che la
Fiorentina dei Pontello, raggomitolata negli uffici liberty di Piazza Girolamo Savonarola,
aveva allestito una squadra di tutto rispetto per la stagione 1981-82, consegnandola
nelle mani di Picchio De Sisti ( che aveva sostituito l'anno precedente a metà stagione Beppe Carosi) con malcelate ambizioni. Arrivarono Cuccureddu, Vierchowod,
Pecci e Graziani a puntellare la base che comprendeva Galli, Galbiati,
Antognoni e Bertoni. La corsa con la Juve è stata durissima, De Sisti
ha dovuto fare a meno per mesi di Antognoni, gravemente infortunato in uno
scontro con il portiere genoano Martina, tuttavia sostituito egregiamente da Miani. Gli scontri
diretti erano entrambi terminati a reti bianche. E quindi eccoci alla giornata numero
30: Fiorentina e Juventus in vetta con 44 punti. Entrambe impegnate in trasferta. Ma la
Fiorentina aveva obiettivamente il compito più arduo, impegnata a Cagliari contro una squadra
alla ricerca di un punto decisivo per la salvezza. I rivali bianconeri dovevano
invece recarsi in casa del Catanzaro già tranquillo. Tanto si vince no? Eh, vediamo.
Le prime battute sulla Olivetti iniziano a scoppiettare sul foglio vergine: “la città è una fiumana di gente, si cammina senza camminare, trasportati da una gioia infantile e priva di gravità...”. Tanto si vince
no? A dirla tutta si alzò una vocina da
portinaia, una chiacchera, una diffidenza, pepata al punto giusto come la trippa
di Ponte di Mezzo. Durante la puntata dell’ultimo Processo del Lunedì venne
annunciato il prossimo arrivo in bianconero di Michel Platini. La trasmissione
faceva dieci milioni di telespettatori ed era la massima tribuna calcistica
possibile. I presenti in studio erano tutti d’accordo: La Juventus ha preso
l’asso che le permetterà finalmente di vincere la sua prima Coppa dei Campioni.
Un momento, la classifica parlava chiaro: il campionato non era concluso, c’erano
appaiate da mesi la Fiorentina e la squadra di Trapattoni, com’è possibile che
Platini vinca il trofeo continentale se non è assolutamente detto che ci
partecipi? E questo fu un indizio. Ma tanto si vince no? Cosimo
spense la sigaretta e cominciò a pensare al secondo dubbio, un segnale arrivato
al momento delle designazioni arbitrali. Tutti si aspettavano che a Cagliari e
Catanzaro venissero mandati i due migliori fischietti del momento, Casarin e Agnolin.
Vennero invece designati abbastanza a sorpresa Pieri per la Calabria e Mattei
per la Sardegna. Scelte quantomeno curiose. Terzo elemento, (e qui Agatha
Christie avrebbe sicuramente decretato il colpevole del giallo per bocca di
Poirot) l’eventuale spareggio. Una prospettiva che faceva paura in particolar
modo a Enzo Bearzot e alla Federazione che stava raccogliendo i cocci post
calcio-scommesse confidando in un Mondiale senza ritardi sulla tabella di
marcia e da indulgenza plenaria. E come fai a prepararti al meglio se una serie di titolari importanti ti arrivano stremati dopo una partita che vale lo
scudetto? Cosimo rinuncia a scrivere, tanto si vince…? ora qualcosina lo
induceva a riflettere, ad aspettare la sentenza reale data dai campi da gioco. Domenica 16 maggio, fa caldissimo. Cosimo fu svegliato dal clacson di una macchina, apre
la persiana e vede un paio di ragazzi dentro una 127 con i finestrini aperti e una
bandiera viola al vento andare probabilmente verso uno dei tanti punti di ritrovo,
bar in genere, per ascoltare nel pomeriggio tutto il calcio minuto per minuto alla radio. Oddio,
tanto si vince, no? Cosimo si fece la barba, si vestì e uscì fuori nell’aria
tersa, ed ebbe la brutta impressione che l’età dell’innocenza della Firenze
calcistica fosse finita quel giorno, diventando improvvisamente adulta, conscia degli
intrighi di palazzo, abbruttita da una rete annullata chissà perché a Graziani e del
solito rigorino pro Juve realizzato da un Brady in partenza, e hai un bel dire “meglio secondi che ladri”, uno
sfregio così non lo dimentichi più. E infatti se ne parla ancora oggi con lo
stesso dolore. Cosimo aggrottò la fronte, si passò una mano fra i capelli, decise di lasciare la pagina bianca, un segno di protesta, gli parve
intellettualmente la cosa più corretta da fare, il direttore approvò, e allora prese su per Via del
Canneto, uno dei luoghi più belli e intimi della città, per andare dalle parti
di San Niccolò, strade che mettono pace, perché tanto non si vince, non si
vince mai.