sabato 8 maggio 2021

NO ONE LIKES US..


“[...] Il mercoledì successivo giocavamo contro il Millwall al Den. Dei Lions si può dire quel che si vuole, ma di sicuro avevano un bel seguito a livello locale. In quasi tutte le città e le aree urbane d’Inghilterra ci si aspetta di vedere in giro ragazzi che indossano svariate maglie con i colori delle diverse squadre, con una certa prevalenza del club del posto. A Bermonsdey e in Old Kent Road non si vedono altro che maglie del Millwall. Prova evidente che la squadra è seguitissima dalla comunità locale. E che la paura fa novanta. Una volta – ci eravamo trasferiti da poco nella zona sud-est di Londra – stavo camminando lungo Leathermarket Street. C’era un bambino seduto sul muretto. Avrà avuto otto anni e portava una maglia del Millwall. Quando arrivai alla sua altezza mi fece: “Ehi, capo. Per che squadra tieni?”. “Per il Middlesbrough” risposi io, bello spavaldo. Era un piccoletto, di sicuro ce l’avrei fatta a evitarlo. Proseguii e quando l’ebbi superato di qualche metro lo sentii cantare: “Vai a firmare, vai a firmare, barbone. Tanto c’avete solo la disoccupazione”. Stupefatto, mi voltai. Quando vide che lo stavo guardando, il bambino si mise una mano in tasca e tirò fuori una monetina. Poi mi gridò: “Eccoti 10 pence, comprati una casa”. Non cito la fonte per maldestra dimenticanza. Ma insomma: “No one likes us, no one likes us, no one likes us, We don't care/ We are Millwall, super Millwall, We are Millwall from The Den”. Ho provato a mulinare intorno a questa asserzione ma non ci sono riuscito perché questa locuzione è la particella di Dio, il bosone di Higgs, perché se una delle domande principali che la fisica moderna si pone è quella da dove nasce la massa, la stessa cosa possiamo assumerla per tracciare i contorni del fenomeno MIllwall. Non ci sono austere lavagne d’Università, tantomeno prodigiosi computer su cui collocarla, nel profondo, scuoiato, cementificato  su est londinese dove rimonta l’eco dell’ansa del Tamigi, questa frase la trovi scritta sui muri anneriti di New Cross, sotto i ponti di South Bermonsdey, e nasce come urlo di culto, riecheggiando dagli spalti del Den con la sua forza primordiale di eco identitario, vibrando come un suono antico che stemperandosi nell’aria rarefatta accumuna l'odore dei docks, degli sfasciacarrozze, delle officine, dei depositi di gomme, e, soprattutto, la certezza di una vita: essere Millwall. Oh, Esattamente una squadra non la località. Il Millwall nasce più a nord di dove risiede attualmente. Nel 1885 vede la luce sulla Isle of Dogs, fondato da lavoratori scozzesi di una fabbrica di marmellata, La C&E Morton’s, creata da un certo James Thomas Morton ad Aberdeen nel 1849, per rifornire le navi di generi alimentari. Il blu come colore in onore della Scozia, terra d'origine. Dockers, diranno subito, Lions, grideranno alla fine del cammino nella F.A. Cup del 1900 dove la squadra fu eliminata solamente in semifinale dopo aver estromesso dalla competizione formazioni ben più blasonate, tanto da meritarsi l’accostamento con il felino. Il Millwall poi migrerà, anche se migrazione in questo caso assume toni un po’ troppo enfatici, decisamente più da passeggiata, visto che lo spostamento si poteva misurare arrangiandosi con un buon metro da sarta; insomma, qualche centinaia di metri in linea d'aria. Qui scelsero un appezzamento di terreno, stipato tra gli angoli delle case, fra un intreccio di linee ferroviarie, angusti capannoni e vicoli bui. Era il 1910, e spuntava la sagoma ossuta del vecchio "Den", firmato Archibald Leitch e inaugurato il 22 ottobre alla presenza del presidente della FA Arthur Kinnaird. Raro, trovare una squadra così legata al proprio quartiere d'appartenenza. E quando l’amministrazione della tua zona vuole occuparsi del bene del tuo club allora parve davvero che il cerchio si accenda di fiamme e il leone, superbo, ci salti dentro varcando una sorta di futuro che potesse riservare emozioni nuove, diverse, non solo nell’adrenalina di una scazzottata o di una pinta di al Lord Nelson. Successe nel 1987. il Millwall annunciò un accordo di sponsorizzazione di quattro stagioni con il Borough di Lewisham del valore annuo di 70000 sterline circa. David Sullivan, presidente del Consiglio comunale, si disse non solo orgoglioso di questa scelta ma anche convinto che ciò potesse migliorare la reputazione del luogo e diminuire le problematiche annesse alla frangia più accesa della tifoseria. A corredo dell’operazione, la benemerita proposta di regalare per ogni singola partita a venire 100 biglietti da dividere fra anziani e portatori di handicap. Non troppo convinto dell’intervento, si mostrò il leader locale del partito conservatore David Green, convinto assertore che tutti questi soldi erano uno spreco di risorse che non avrebbero risolto i problemi del posto. Tuttavia, cose volete, le speranze dei tifosi dei Lions di porre fine a 100 lunghi anni di attesa per una promozione in Prima Divisione, si dimostrarono argomento ben più convincente delle rare proteste. Il Millwall ai nastri di partenza del campionato di Seconda Divisione 1987/88 era allenato da John Docherty, toh, scozzese, ottimo suonatore di cornamusa a tre bocche, nato sotto le bombe del 1940. La svolta si nascondeva dietro il recesso, non quello fosco del Cold Blow Lane, ma in quello meno pericoloso delle trattative di mercato. Al Den si mosse artiglieria pesante. Per 85000 sterline arriverà dal Portsmouth il centrocampista irlandese Kevin O’Callaghan, dal Gillingham, Tony Cascarino anch'egli irlandese con frammenti italiani, 190 centimetri inizialmente avviati verso la professione di parrucchiere e istruttore di yoga part-time, poi entrò nel settore giovanile dei Gills nel 1982, proveniente dal Crockenhill, in cambio di alcune tute da ginnastica e di ferri da stiro semirovinati. Con loro, George Lawrence dal Southampton, che forse aveva giocato una delle migliori stagioni di sempre in riva alla Manica ma sul quale i dirigenti dei Saints stavano cercando l’affare economico visto che in scuderia al “Dell” ormai stavano scalpitando Matt Le Tissier e Alan Shearer. Le 160000 sterline dell’assegno di Reg Burr, presidente del Millwall, dissiparono ogni dubbio in proposito. Le altre pedine dello scacchiere di Docherty, erano Les Briley capitano e idolo grazie al suo stile coriaceo di centrocampista, in coppia con l’altra icona della linea mediana ossia Terry Hurlock detto “Gypo”, cespuglio di capelli ricci e orecchino d’oro, mancava la benda all’occhio ma sarebbe stato perfettamente a suo agio sulla prua di una nave pirata. Tutta gente da Millwall insomma. Concreti e con pochi fronzoli. Non solo. Là davanti zampettava istrionico un biondino di 22 anni, cresciuto dalle parti di Highams Park, che tanto aveva impressionato un osservatore del Millwall quando giocava per i dilettanti del Leytonstone & Ilford, e che a 15 anni era stato portato al Den: Teddy Sheringham, assoluto predatore della superficie racchiusa tra i lati di un rettangolo. In pochi dubitarono che quel Millwall non vincesse. Forse solamente il numero dei goal subiti rispetto alle altre dirette pretendenti poteva alimentare qualche dubbio. Ma la porta difesa da Brian Horne tenne sufficientemente bene. Il timbro sulla festa fu raggiunto alla penultima giornata in casa dell’Hull City e dopo oltre un secolo il Millwall finalmente se la poteva giocare anche con le grandi in campionato. E siccome nessuno lo prese sul serio, Teddy Sheringham cominciò a segnare sempre dentro la scatoletta del Den; segnò pure un giorno del 1988 quando il Millwall si prese troppo sul serio andando in testa alla classifica della Prima Divisione e il gommista all’angolo dello stadio cadde svenuto dopo aver bevuto 5 litri di birra.

“No one likes us, no one likes us, no one likes us, We don't care/ We are Millwall, super Millwall, We are Millwall from The Den”..

 



 

Nessun commento:

Posta un commento

LA VIOLA D'INVERNO

  I ricordi non fanno rumore. Dipende. Lo stadio con il suo brillare di viola pareva rassicurarci dal timore nascosto dietro alle spalle, l’...