venerdì 11 giugno 2021

I BASTIONI DI LUCCA


Quel giorno del 1905 a Lucca pioveva. Pioveva come Dio la mandava, o se non era Dio ad ogni modo il cielo si era comunque fatto nero, pareva adirato di brutto e nonostante fosse il 25 maggio pareva novembre, ma i poveri gerani sui balconi facevano la spia, tutti con il capino mogio, costretti a grondare acqua. Faceva anche freddo, un freddo da cappotto, con quel vento che entra dalle porte cittadine e che i lucchesi nel loro vernacolo agghindato da una bussola impazzita chiamano “drento”. Oh, cosa volete, mica siamo in Brasile qui, non è vero carissimi Felice, Vittorio ed Ernesto? Ecco, bisognava stare al riparo in quella grigia mattinata scandita dai rintocchi di bronzo del campanile di San Martino, magari mettersi a mangiare e bere di piglio buono che chissà può plasmarsi meglio un idea già accarezzata in mente. E problemi non c'erano bastava scegliere e avere due lire in tasca: Da Tista, con la sua biadina da sorbire rigorosamente con una manciata di pinoli, dal Taddeucci con il buccellato e la sua ricetta segreta al pari di quella della Coca Cola, dal Giusti in via Santa Lucia con gli scaffali traboccanti di pane e focaccia. Per tutto il resto non c’era Master Card ma c'era Marzetto, per essere esatti la Pizzicheria Sante Nieri detto Marzetto, un locale pittoresco in stile liberty che altrove avrebbe potuto essere ritenuto eccentrico e un pochino pretenzioso, ma non lì, dietro il coro di San Michele, in una posizione centrale ma allo stesso tempo riservata, orbata di inutile ostentazione. I tre citati andranno giusto lì, seduti davanti a un bel piatto di "tordelli". I fratelli Felice e Vittorio Menesini, oltre, appunto, a Ernesto Matteucci. Ora occorre dire che i tordelli vanno serviti con un sugo di carne, o al limite semplicemente al burro per apprezzarne meglio la struttura e la complessità del ripieno. I tre ne sentivano il bisogno in ambedue le modalità, dopo un periodo di lavoro in Brasile, e sentivano il bisogno anche di un'altra cosa, impellente, necessaria, alla moda, una cosa di cui nel paese sudamericano avevano scorto tutta la bellezza e la passione. E allora fra un tuono e un bicchiere di rosso fondano la Lucchese, la squadra di questa città dalle mura solenni, trasformate da cinta difensiva a passeggiata distensiva, dove, innalzando lo sguardo dal baluardo di San Salvatore, si adocchia lo stadio nudo, quasi ascetico, il "Porta Elisa" che nella sua semplice natura di cemento e fili d’erba nasconde una storia di vestigia oggi impensabili. Occorre riprendere in mano la storia e virarla a nostro piacimento partendo senza dubbio dagli anni ’30, nel fagotto di un Italia amministrata dalle direttive del governo fascista, uno stivale come sempre disilluso, pronto ad applaudire o fischiare a seconda dell'interesse del momento, nonostante punte di consenso e crescita sociale, presto coperte da un drappo di futuro nero e non tanto per il colore di alcune camice. L’uomo da segnarsi sull’taccuino non ha un nome eminentemente toscano, si chiama Giuseppe Della Santina, agiato imprenditore pugliese dedito al mattone, nonché proprietario della squadra. Della Santina ci vede lungo, capisce il successo nello sport più amato, insieme al ciclismo, potrebbe portare in alto la sua reputazione a livello nazionale. Va detto che il Della Santina è pungolo di partito, ha il sostegno di diversi gerarchi col fez sulla testa, ma senza dei buoni giocatori e un buon allenatore i rossoneri difficilmente sarebbero usciti dalle sacche locali della terza serie. Occorreva pescare un allenatore estroverso al punto giusto, latore di un idea di gioco intraprendente tale da poter catapultare il calcio a Lucca in egual maniera a quello che faceva impazzire le folle nelle grandi città, e da Bari arriverà Erno Egri Erbstein, ebreo errante dagli abiti eleganti e dagli occhi profondi, un talmud serrato nella sua ruminazione, fra i palazzi di una Budapest sorniona, ammaliante, incastonata di uno spirito mitteleuropeo ancora ghiotto di belle signore, sigari e teatri. Sarà un sodalizio colmo di successo; in sole tre stagioni la Lucchese dai lidi regionali si iscriverà alla Serie A. La città si imbandiera, abbandonando quel silenzio uggioso e scaramantico che infastidiva le stravaganze da artista di Giacomo Puccini rifugiatosi a Torre del Lago. Nel 1935 il compositore se ne era andato da un paio lustri circa, un vero peccato, perchè al bar Savoia, luogo di ritrovo del tifoso lucchese, i caffè raddoppiarono. Una scalata in cui Erbstein costruì un meccanismo perfetto, fatto di coesione d’intenti e di una serietà professionale unita a un amorevole e paterna relazione con i suoi calciatori. Tuttavia molti segreti di quella Lucchese erano purtroppo celati ai più attenti osservatori, proprio per la peculiare caratteristica di trovarsi in un ambiente provinciale sottostimato dalle alte dirigenze sportive nazionali. I ragazzi di Erbstein non possedevano il perfetto ritratto dell’atleta “fascista” come i due Bruno, Scher e Neri, che si erano palesemente dichiarati avversi al regime, o come l’anarchico Libero Marchini, e persino uno dei pilastri della nazionale dell’epoca, il portiere Aldo Olivieri, detto il gatto magico, seppure in un ordalia di ragionamenti e salvacondotti riuscì ad aggregarsi alla nazionale di Vittorio Pozzo evitando situazioni a dir poco spiacevoli. La Lucchese in Serie A non fu novella da caminetto, riuscì a competere con i maggiori club italiani prendendosi la soddisfazione di battere i vicini viola in entrambe le partite mantenendo nel complesso una posizione di classifica da capogiro per tutto il girone di andata, grazie ad un calcio propositivo ma mai scellerato, che alla fine di quella stagione così fischiettante di felicità indennizzò il nuovo stadio di Porta Elisa con il prezioso record dell’imbattibilità casalinga, concludendo il torneo in una soddisfacente, e direi imprevedibile, settima posizione a pari punti con la ben più stimata Ambrosiana-Inter. L’anno seguente però, oltre alle inevitabili cessioni dei calciatori migliori, si accrebbero le difficoltà di Erbstein, fra l’altro ammalatosi per quasi tutto il campionato, e poi ormai tutto faceva temere ciò che sarebbe accaduto anche qui, ossia l’emanazione delle leggi razziali, e quella Lucchese fin troppo spregiudicata e fin troppo piena di antifascisti o di pacati indifferenti, rimase a stento in A. Quelle possenti mura rinascimentali non potevano salvare le condizioni di vita che si stavano prospettando per Erbstein e famiglia, condizioni che lo portarono ad accettare la chiamata nel Torino, squadra che gli promise non solo di perseguire i suoi metodi di lavoro ma soprattutto la protezione da quel clima aspro che stava giungendo al suo culmine, finchè neanche Torino per lui bastò, seppure, a guerra finita il suo Toro diventò per nemesi la squadra più forte del mondo, eppure si sa, gli eroi muoiono tutti giovani e belli, e forse pure meno giovani e meno belli, perchè il tragico schianto sordo di Superga fu lutto frammisto a eterna luce votiva. E la Lucca del pallone diventò prisma di rifrazione del passato virato su un futuro pronto a scappare di carambola in un anonimato simile a coloro che passano le notti in un locale della Versilia seduti a bere e a guardare gli altri ballare e le coppiette impegnate in effusioni amorose. Quando decise di rientrare nel giro scendendo dalla sua mansarda di una casatorre dei vicoli del centro saranno sospiri da cadetti con qualche lampo di ambizione ma più che altro saranno lunghe passeggiate nel brulichio incessante della serie C, piano di sopra o piano di sotto che fosse. Discorso a parte meritano alcune memorie, maglie e giocatori. "Lucca Comics" impazzava già da una decina d'anni e nel 1978, per esempio, i rossoneri in una splendida divisa a righe ampie, senza sponsor, per un calcio ancora avulso da dogmi da usufrutto, allenati da Giovanni Meregalli furono abili a giocarsi la promozione in B correndo fino all’ultima giornata in un testa a testa drammatico con la Spal. Chiuderanno al secondo posto, e non sarà sufficiente. Indelebile nel cuore dei tifosi la trasferta di Ferrara del 12 marzo: un 2 – 2 da brividi decisamente forti. Il 1990 rappresenta plasticamente una delle stagioni più iconiche della pantera rampante. Maglia stavolta sponsorizzata “Bertolli” dal gusto retrò, e in campo il bomber Roberto Paci, autentico talismano da "mi ritorni in mente": 10 stagioni, condite da una caterva di reti. Accanto a lui un altro Roberto, Simonetta da Latina, detto Robbè, sinistro magico e rifinitore eccelso. Con loro Pascucci, Vignini, Russo, Monaco, Fiondella, e Gaetano "Tano" Salvi, baffi e capello tzigano dalla storia sportiva racchiusa nel pendolarismo yippie da autostop sulla bretella Livorno-Lucca con quel compleanno segnato in rosso nel calendario nella giornata della festa dei lavoratori, lui che con la sua flemma non sembrava davvero uno stakanovista, ma attraverso le sue giocate farà innamorare la gente del Porta Elisa. E la Lucchese targata Corrado Orrico (l'Omone sceso dal suo eremo di Volpara) che conquisterà la cadetteria al termine di un campionato eccitante aggiudicandosi nella rinnovata Favorita di Palermo anche la Coppa Italia di Serie C. Ve lo ricordate l'Anglo Italiano? Ebbene nell'edizione 92/93 la Lucchese fu inserita nel gruppo A pareggiando al Porta Elisa contro il Newcastle di Kevin Keegan, lo stadio non era pienissimo essendo una partita infrasettimanale ma dal Regno Unito si presentò comunque un nutrito gruppo di tifosi. Bruno Russo realizzerà il momentaneo 1 a 0 per i rossoneri poi raggiunti nel secondo tempo. Le due trasferte in terra inglese furono poco fortunate, prima la sconfitta a Londra di misura contro il Brentford e successivamente quella a Fratton Park contro il Portsmouth per 2 a 1 decretarono l’uscita dalla competizione con l'appendice del sonoro ma inutile successo interno nei confornti del Birmingham City. Nel 1996 la Lucchese rialloggiata in B costruisce una squadra dalle malcelate aspirazioni di alta classifica. Ad indossare le strisce rossonere con sponsor "Cremlat", c'è sempre l’indomito Paci al cui fianco sgomita Massimo Rastelli, moretto campano dalla faccia furba. Diventerano i gemelli del goal, tandem mistico del calcio di provincia, miscelati a un pò di peccati di gioventù: Stefano Bettarini, Ciccio Cozza e Beppe Cardone. In panchina il ghigno di Bruno Bolchi per poco non diventò sorriso quando i rossoneri chiuderanno sesti a quota 54 punti con diversi rimpianti. Delusioni e bizzarrie di una città di pietra e mattoni dove i diavoli provano a fare lo sgambetto ai santi all'ombra delle sue mura. Il 10 luglio del 2002 la Lucchese di Francesco D’Arrigo e del presidente Aldo Grassi, ricade dalla scala, prova a risalire, vestendosi “Errea” con la benedizione laicissima di “Lucca Bingo”, ma quel pomeriggio ci voleva la Porta di sant'Anna per andare in goal e un palo colpito da Toni Carruezzo oltre a una serie di sfortunate circostanze tolsero al popolo rossonero la gioia del successo nella finale play off disputata contro la Triestina. Saranno lacrime amare che preannunceranno un futuro incerto e periglioso fra prove tecniche di risalita e tanti scivoloni fra le solite, penose, carte bollate. Meglio pensare a qualche band musicale in arrivo al Summer Festival, o alla vecchia Pizzicheria e a una calda minestra di farro, perché a Lucca, almeno nel calcio, adesso fa abbastanza freddo nell’anima. 

 

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