Inghilterra- Scozia? Partiamo con
la signora MacLeod. La donna sarebbe dovuta apparire in primo piano, sorridente
e vestita con semplicità. Avrebbe dovuto dire che era la moglie di Ally,
l'allenatore di quella invincibile armata del calcio e a quel punto tutte le
casalinghe di Scozia, secondo i piani, si sarebbero precipitate a fare acquisti
al supermercato. Non si conosce con esattezza la cifra spesa per l’iniziativa
pubblicitaria, si sa solamente che quel contratto, dopo il crollo della
nazionale ai campionati del Mondo, fu invalidato e la catena di grandi
magazzini in questione si rivolse immediatamente ad altri mezzi di seduzione
del consumatore. Nel giorno della partita contro l'Olanda valida per i mondiali
del 1978 (ossia la resa dei conti del girone), i parsimoniosi scozzesi oltre ai
calcoli sulla qualificazione si misero a fare anche un altro tipo di conti,
quantificando quello che sarebbe costato l'eventuale mesto ritorno a casa della
loro squadra. Secondo un computo che teneva presente diversi aspetti, il
mancato passaggio del turno (nonostante l’epigrafe allucinogena del “Non mi
sentivo così da quando Archie Gemmill segnò all'Olanda nel '78”) avrebbe comportato una
perdita economica di oltre un milione di sterline. Dentro la bolla speculativa
c’erano gli accordi con la casa automobilistica Chrysler (300 mila sterline per
pubblicizzare un nuovo modello attraverso i 22 nazionali), con l'industria
discografica capeggiata da Rod Stewart e Andy Cameron (lancio di dischi
commemorativi inneggianti al successo nella Coppa del Mondo), e con il settore
tessile per via di magliette, camicie e bandiere incensate di vittoria.
Qualcuno, probabilmente in malafede, dirà che la privazione finanziaria superò
perfino la delusione dei tifosi. Insomma parve che la sconfitta sul campo
dovesse passare in secondo piano davanti alla quantità enorme di soldi che
velocemente scivolarono via come un ruscello nelle Highlands. Una vignetta
di fine ottocento mostra un ministro della Chiesa di Scozia che incontra un
compaesano mentre si prende cura del camposanto: “Mi fa piacere che lavori nel
giardino del Signore, Jock.” - “Grazie Reverendo ma avreste dovuto vedere in che
stato lui lo aveva lasciato.” Irrispettosi dei ranghi, dissacranti,
disincantati. Poco inclini ad andare d’accordo fra di loro, figuriamoci con
quelli del piano di sotto. A sanare le divergenze non ci riuscì nemmeno Giacomo
VI, primo sovrano a regnare su tutte le isole britanniche, successore di Elisabetta
I. Il rapporto con il cosiddetto “Auld Enemy” (il vecchio nemico) è rimasto
burrascoso, e se si vuole aprire perbene il pomo della discordia, va fatto a
nord, sia di Edimburgo, sia di Glasgow, coinvolgendo un arco immaginario la cui
estremità flessibile parte da Greenock, tocca nell'impugnatura Inverness e
scende fino all'altro vertice di Dundee. E' in questo comprensorio, dove si
allungano enormi laghi silenti e l’orizzonte si serra davanti a aspre vette
cariche di erica, che il sentimento del “Tartan”, del “Bonnie Scotland”, caro
all' orgogliosa rivolta Stuart, resiste, piegandosi senza spezzarsi come il
cardo selvaggio di Stirling, sotto le raffiche di ovatta soffiate dal goffo
conformismo contemporaneo. L’indole scozzese plasmata dal clima duro, da vigorosi
sorsi di whisky e dall’etica presbiteriana ha potuto trovare ampie sacche di
separazione da Londra attraverso una sostanziale separazione di poteri nel
diritto pubblico e privato. In Scozia sin dai disordini del 1706 è sorto un
sistema d’istruzione di alto livello accessibile da tutte le fasce sociali.
Questo approccio verso la scuola, finanziato con i proventi del sistema
fiscale, ha permesso alla popolazione di essere fra le più colte d’Europa,
facendo sbocciare illustri scienziati nonché noti letterati. Esiste, è
vero, un rovescio della medaglia dato dal ricordo di essere stati gli impavidi
coraggiosi ma anche i fatalmente perdenti e oppressi. Questo corto circuito fa
strisciare un ancestrale senso di sfiducia e una tendenza a sminuirsi, degna
del miglior Freud in "Al di là dei principi di piacere", macerata nel
continuo risentimento del predominio politico e culturale inglese. Nel calcio
si comincia a darsele di santa ragione il 30 novembre del 1872 all’Hamilton Crescent di Glasgow
in una empirica, trasandata, partita conclusasi 0-0. La Scozia, completamente
formata da giocatori del Queen's Park, ebbe in prestito dalla nazionale di
Rugby le divise blu e da allora blu resteranno. La carica del “Flower of
Scotland” invece arriverà tardi, circa un secolo dopo. Nel frattempo incomincia
a scatenarsi la furia dell’Old Firm e sulle placide sponde del Loch Ness, il 2o
aprile 1934, Robert Kenneth Wilson scatterà una foto fatale che il giorno dopo
farà impazzire il mondo stampata sulle pagine del Daily Mail: il mostro,
nemmeno poi così mostro, esisteva davvero? Oh, fu un grandioso falso, ma il buon scozzese
deve credere nel dogma di "Nessie" a qualunque costo (altrimenti mettiamo in cattiva luce San Colombano e allora come si dice: scherza con i fanti ma lascia stare i santi..). Tornando in musica la canzone,
divenuta inno, fu composta da Roy Williamson, componente del gruppo musicale
folk "The Corries" nel 1967 e adottata negli anni settanta.
Buckingham Palace ne permise l'uso nonostante fosse una canzone deliberatamente
e profondamente anti-inglese ispirata alla battaglia di Bannockburn del 1314. Nel
1993 sostituì Scotland the Brave che nel 1980, vivaddio, a sua volta aveva
preso il posto del fischiatissimo God Save The Queen, e qualcuno, dai finestroni rigati di pioggia del palazzo di Holyroodhouse, giurò di aver visto il fantasma della povera Regina Mary. Poche
soddisfazioni e molte delusioni a dire il vero per il Leone rosso di Robert the
Bruce. Nel 1961 la Scozia sprofondò a Londra sotto un clamoroso 9-3, il
risultato peggiore nei confronti diretti con i bianchi di sua Maestà. Uno
strepitoso Jimmy Greaves segnò una tripletta con l’imbarazzante difesa scozzese
che riuscì nell’impresa di concedere 5 goal in 10 minuti. Il portiere della
Scozia, Frank Haffey, per la vergogna, decise addirittura di abbandonare il
paese ed emigrò in Australia. La rivincita, per fortuna, arrivò sei anni dopo
quando il gruppo di Bobby Brown espugnò Wembley per 3-2 battendo i neo campioni
del mondo in serie positiva da 19 incontri. La rete d'apertura la segnerà il
leggendario Denis Law, Pallone d’Oro 1964, eccezionale attaccante che ha
scritto pagine di storia del Manchester United, ma che a Manchester giocò anche
con il City e proprio una sua marcatura, durante il drammatico derby del 1974
disputato a Old Trafford, paradossalmente condannerà alla retrocessione i red
devils. Ripercorrendo Scozia- Inghilterra o Inghilterra- Scozia ci sarebbe da
menzionare tutta la trafila del cosidetto Home British Championship, ossia il
più antico torneo per nazionali e conseguentemente l'epopea dei vari Jimmy Johnstone, Sandy Jardine, Greame Souness, Joe
Jordan e Kenny Dalglish, e ogni altra vecchia gloria, oblio di
una manifestazione sicuramente importante purtroppo calata nel fetido, aspro,
respiro condominiale con gli inglesi naturlamnete avanti nei conteggio dei
successi. Alla partita di Londra del 1977 pare ci fossero 70.000 tartaners sui 98.000
spettatori presenti. L'atmosfera, quando le squadre uscirono dal tunnel di Wembley era indescrivibile; le reti di Gordon McQueen e Dalglish scatenarono l’invasione
di campo più celebre della storia. Per vincere di nuovo a Wembley servì una
rigore di John Robertson nel 1981 ma in quel caso, nonostante l’ennesima
massiccia presenza scozzese, le nuove balaustre dello stadio bloccarono sul
nascere ogni festeggiamento alimentato da un trip troppo esuberante. Invece tornando alle sfide a
tenore internazionale si giunge a quella del giugno 1996, valevole per i
campionati europei organizzati dall’ Inghilterra del “Football Coming Home”.
Finì 2-0 per gli inglesi con le firme di Alan Shearer e Paul Gascoigne e con il
portiere David Seaman sugli scudi per aver parato un tiro dal dischetto al
capitano Gary McAllister a dodici minuti dal termine sul punteggio di 1-0.
Resta famosa la frase rivolta da McAllister al suo compagno John Collins
allorché gli sussurrò: “If I score, we win the game”. E invece non solo ci sarà
l’errore dal dischetto ma pochi attimi dopo pure la beffa attraverso il
pallonetto show di Gazza sopra la testa di Colin “Braveheart” Hendry, seguito
dal colpo al volo di sinistro spedito alle spalle di Andy Goram. Un pomeriggio
amarissimo quello e mai digerito, neppure vendicato nel play off del 1999
valido per la qualificazione agli Europei del 2000 in Belgio e Olanda. Uno
spareggio sanguinoso che premiò ancora gli inglesi. Il primo dei due match si
disputò il 13 novembre all’Hampden Park di Glasgow e la squadra allenata da
Kevin Keegan si portò via il successo grazie ad una doppietta di Paul Scholes.
Al ritorno, a Wembley, nonostante le minime possibilità di rimonta in mano agli
scozzesi, ci fu la solita battaglia. La Scozia vincerà 1-0, (centro di Don
Hutchison) sfiorando più volte il il raddoppio che le avrebbe consentito di
disputare i tempi supplementari. Anche stavolta David Seaman sbarrò le porte
della gloria ai blu parando un calcio di rigore, ironia della sorte, proprio
all'autore della rete del vantaggio. Gli ultimi faccia a faccia sono stati
quello dell’11 novembre 2017, Inghilterra- Scozia 3-0 e quei sei minuti di
follia allo stato puro nella gara di Glasgow: la Scozia, sotto di una rete
riversa in campo tutto il cuore e una magnifica doppietta di Griffiths
ribalterà lo contesa mandando in visibilio l'intero paese. A riportare la
partita sul definitivo 2-2 ci penserà Harry Kane. “It feels like a defeat” dirà
dopo la partita Leigh Griffiths, l’unico nel girone ad essere riuscito ad
abbattere il muro difensivo inglese: già, un pari amaro come una sconfitta
perché per la nazionale allenata da Gordon Strachan i tre punti avrebbero
significato sperare ancora nella qualificazione al Mondiale. Sebbene i risultati negativi spesso siano
stati meno netti di quelli mostrati dai referti, è oggettivo che per sperare di
sconfiggere fra un paio di settimane gli inglesi a casa loro servirebbe una Scozia almeno parente di
quella degli anni settanta. Servirebbe una sorta di ultima chiamata, un suono
di cornamusa, (ah, attenti, quelle a tre bocche mi raccomando, poichè a due sono strumenti irlandesi e fanno un
suono più dolce..) come accadde prima dello scontro sulla terra brulla di
Culloden Moor, e fra i mattoni rossastri di Hampden lo sanno bene: “Everyone needs stroke luck
sometimes”, disse, ferito gravemente e attorniato dai suoi uomini, il buon
Principe Charles.
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