mercoledì 21 luglio 2021

GENOA YOU ARE RED AND BLUE


Se qualcuno avesse dovuto dipingere Genova in quel momento, nell’attesa, avrebbe usato colori a olio per ottenere una pasta lucida e densa allo stesso tempo. Avrebbe mescolato il blu e il rosso in una tonalità vivace con cui avrebbe coperto tutto schiacciando forte il pennello sulla tela per separare le setole e lasciare lunghe strisce biancastre sporcate appena di colore. A quel punto, avrebbe aggiunto ancora del rosso per sfumare il cielo, assottigliarlo, e dilatarlo fino a farlo scivolare lentamente in una tonalità meno accesa, infine, avrebbe illuminato la pasta rimasta rappresa con del giallo, usando solo la punta del pennello, là dove il rosso aveva formato piccoli grumi, e avrebbe riempito le bande lasciate indietro, trasformandole in schegge di luce fatte riflettere sotto una luna invisibile che separava il blu del cielo da quello del mare. 4 marzo 1992, Genoa- Liverpool. Rete in virata di Valeriano Florin e due righe, un saluto, il sinistro dispotico di Branco a regalare al Genoa la saldatura robusta del raddoppio sul volo inutile di Hooper. Tre dita, le ultime tre dita del piede per colpire la valvola del pallone, comprimerla, e ottenere una traiettoria beffarda che negli ultimi metri cambia direzione, cambia destino, cambia il risultato. L’andata valevole per i quarti di finale della Coppa Uefa finisce lì, con quella cartolina spedita dal Brasile da Claudio Ibrahim Vaz Leal detto Branco, il terzino perfetto voluto a tutti i costi da Osvaldo Bagnoli per far volare in alto il Grifone. Oggi nessuno manda più cartoline, eppure per i genoani Branco vive in due affrancature: questa e un’altra spedita sotto la Nord in un derby che svelò un mare di cartapesta e una caravella a solcarlo. Contro il Liverpool invece c’era stato un bagliore di laser, un immenso We Are Genoa sulla tribuna laterale e all’ingresso in campo gli altoparlanti elargirono “Così parlò Zararthustra”, musicato nella partitura strepitosa di Richard Strauss, innescando colori, storia, abissi e vertigini del club più antico d’Italia.  Il brodo primordiale in cui nasce il Genoa profuma distintamente di the con un goccio di latte. Il football sbarca dalle navi britanniche che attraccano al porto e i marinai a riposo faranno scendere un pallone. Genova lo assorbe a partire dalla punta della cattedrale di San Lorenzo, per scendere dondolando come una barca al molo nei suoi vicoli, nelle sue viscere, nei carrugi, nelle botteghe adornate da bassorilievi di santi e guerrieri; nella chiesa stramba di San Pietro in banchi, fino all’ingresso del Palazzo imperiale, trovando il verde e fresco dei carpini nella piazzetta dei ragazzi, sbirciando la pancia di sottoripa, curiosando nella via del Campo cantata da De André, passeggiando in via Balbi pregna del respiro caldo dei vecchi lavatoi. E si impara a giocare a calcio sotto la sua lanterna snella e amorevole. Salirà in cattedra James Richard Spensley un dottore londinese soprannominato “U’megu”. Con lui uno svizzero, tale Edoardo Pasteur. Insieme convinceranno i soci del Cricket and football Club ad inserire il calcio nella prassi e nella denominazione aprendo le porte al nuovo sport nel primo empirico campo di Ponte Carrega vicino al torrente Bisagno.

“Se questi muri sapessero parlare, anche le strade potrebbero arrossire, se questa gente avesse la pianura, chiusa, Genova. Io questa notte ho voglia di cantare, dalla finestra ti sento anche arrossire, tanto nessuno ci può ascoltare, sorda, Genova. Non mi basta un blues, per averti un po’ di più, Genoa, you are red and blue...”

Quindici giorni dopo il ritorno, caro Genoa che dormisti nell’albergo di Penny Lane, eri invitato a Anfield, senza la paura di essere lì, in un tempio, dentro un’atmosfera antica, intrisa di cuoio e dal dolore di stinchi tacchettati. Ma quel Genoa era un meccanismo perfetto, da Capitan Signorini a Ruotolo, da Torrente al geometra Bortolazzi. E da perfetta acqua cheta nel vento di bonaccia, i rossoblù in maglia da trasferta, sfiammarono le velleità di rimonta del Liverpool. Una manovra ad ampio raggio, suggerita da Onorati e rifinita da Ruotolo offrì ad Aguilera lo spiraglio per il diagonale vincente. Un anatroccolo che fece piangere migliaia di occhi assiepati nella "Kop". Carlos “Pato” Aguilera, talento nato nella crepuscolare Montevideo, racchiuso in un metro/sessanta e qualcosa, rapido ed ispido, che dopo la polvere del muro di Berlino, sulle ali del "Wind of Change", si vide accoppiare un gigante ceco dai lunghi capelli sulle spalle e l’aria da bassista, con ottime referenze ai Mondiali italiani: Thomas Skuhravy. Nella ripresa, il Liverpool si buttò in avanti con la bava alla bocca. Rush, di testa, sorprese l'estremo Simone Braglia a capo dell'ennesimo corner e ridette linfa all’Anfìeld. Verso la porta del Genoa cominciò a piovere di tutto ma Braglia sventerà l’impossibile meritandosi una nicchia nella cattedrale. Jones, Rush, Barnes, il danesone Moelby, si metteranno le mani nei capelli, storditi dalle parate di quel mortale che osava sfidare gli dei nel loro santuario. Poi il Genoa cucirà il capolavoro in una “lectio contropiedis” da manuale: Skuhravy toccò per Eranio che guadagnò metri palla al piede smistando la palla dalle parti del solito Aguilera puntuale a rimettere la sua firma sul secondo centro. Il tecnico Bagnoli aggiungerà quest’impresa alla sua personale lista di prodigi. Osvaldo Bagnoli, figlio della Milano operaia, poco da bere, e molto da lavorare, che ascoltava “ticket to ride” ma anche “il ragazzo della via Gluk”, ruspante, pratico, nel senso migliore del termine, nella fedeltà alle umili origini portata come una medaglia al pari dell'etichetta vagamente ironica applicatagli all'epoca dei primi successi in Serie A: "il mago della Bovisa", là dove i pomeriggi avevano il sapore schietto delle partitelle con gli amici a piedi nudi sul prato..

“Tra questa gente che osserva e si lamenta, pure Colombo è stato uno fra cento, e adesso in mare veleggia la rumenta, strana, Genova. Io questa notte ti vorrei parlare, e invece parto per mandarti a dire, che tu sei bella, sì, ma da ricordare. Bella più che mai. Non mi basta un blues per averti un pò di più, Genoa, you are red and blue.”

 

 

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