Se qualcuno avesse dovuto dipingere Genova in quel momento, nell’attesa,
avrebbe usato colori a olio per ottenere una pasta lucida e densa allo stesso
tempo. Avrebbe mescolato il blu e il rosso in una tonalità vivace con cui
avrebbe coperto tutto schiacciando forte il pennello sulla tela per separare
le setole e lasciare lunghe strisce biancastre sporcate appena di colore. A
quel punto, avrebbe aggiunto ancora del rosso per sfumare il cielo,
assottigliarlo, e dilatarlo fino a farlo scivolare lentamente in una tonalità
meno accesa, infine, avrebbe illuminato la pasta rimasta rappresa con del
giallo, usando solo la punta del pennello, là dove il rosso aveva formato piccoli
grumi, e avrebbe riempito le bande lasciate indietro, trasformandole in schegge
di luce fatte riflettere sotto una luna invisibile che separava il blu del cielo
da quello del mare. 4 marzo 1992, Genoa- Liverpool. Rete in virata di Valeriano
Florin e due righe, un saluto, il sinistro dispotico di Branco a regalare al Genoa la saldatura robusta del raddoppio sul volo inutile di Hooper.
Tre dita, le ultime tre dita del piede per colpire la valvola del pallone,
comprimerla, e ottenere una traiettoria beffarda che negli ultimi metri cambia
direzione, cambia destino, cambia il risultato. L’andata valevole per i quarti
di finale della Coppa Uefa finisce lì, con quella cartolina spedita dal Brasile
da Claudio Ibrahim Vaz Leal detto Branco, il terzino perfetto voluto a tutti i
costi da Osvaldo Bagnoli per far volare in alto il Grifone. Oggi nessuno manda
più cartoline, eppure per i genoani Branco vive in due affrancature: questa e un’altra
spedita sotto la Nord in un derby che svelò un mare di
cartapesta e una caravella a solcarlo. Contro il Liverpool invece c’era stato
un bagliore di laser, un immenso We Are
Genoa sulla tribuna laterale e all’ingresso in campo gli altoparlanti
elargirono “Così parlò Zararthustra”, musicato
nella partitura strepitosa di Richard Strauss, innescando colori, storia, abissi e
vertigini del club più antico d’Italia. Il
brodo primordiale in cui nasce il Genoa profuma distintamente di the con
un
goccio di latte. Il football sbarca dalle navi britanniche che
attraccano al
porto e i marinai a riposo faranno scendere un pallone. Genova lo
assorbe a partire
dalla punta della cattedrale di San Lorenzo, per scendere dondolando
come una
barca al molo nei suoi vicoli, nelle sue viscere, nei carrugi, nelle
botteghe
adornate da bassorilievi di santi e guerrieri; nella chiesa stramba di
San Pietro
in banchi, fino all’ingresso del Palazzo imperiale, trovando il verde e
fresco dei carpini nella piazzetta dei ragazzi, sbirciando la pancia di
sottoripa, curiosando nella via
del Campo cantata da De André, passeggiando in via Balbi pregna del
respiro caldo dei
vecchi lavatoi. E si impara a giocare a calcio sotto la sua lanterna
snella e amorevole. Salirà in
cattedra James Richard Spensley un dottore londinese soprannominato “U’megu”.
Con lui uno svizzero, tale Edoardo Pasteur. Insieme convinceranno i soci del
Cricket and football Club ad inserire il calcio nella prassi e nella denominazione
aprendo le porte al nuovo sport nel primo empirico campo di Ponte Carrega
vicino al torrente Bisagno.
“Se questi muri
sapessero parlare, anche le strade potrebbero arrossire, se questa gente avesse
la pianura, chiusa, Genova. Io questa notte ho voglia di cantare, dalla
finestra ti sento anche arrossire, tanto nessuno ci può ascoltare, sorda,
Genova. Non mi basta un blues, per averti un po’ di più, Genoa, you are red and
blue...”
Quindici giorni dopo il ritorno, caro Genoa che dormisti
nell’albergo di Penny Lane, eri invitato a Anfield, senza la paura di essere
lì, in un tempio, dentro un’atmosfera antica, intrisa di cuoio e dal dolore
di stinchi tacchettati. Ma quel Genoa era un meccanismo perfetto, da
Capitan Signorini a Ruotolo, da Torrente al geometra Bortolazzi. E da perfetta acqua
cheta nel vento di bonaccia, i rossoblù in maglia da trasferta, sfiammarono le velleità di
rimonta del Liverpool. Una manovra ad ampio raggio, suggerita da Onorati e
rifinita da Ruotolo offrì ad Aguilera lo spiraglio per il diagonale
vincente. Un anatroccolo che fece
piangere migliaia di occhi assiepati nella "Kop". Carlos “Pato” Aguilera, talento nato nella crepuscolare Montevideo,
racchiuso in un metro/sessanta e qualcosa, rapido ed ispido, che dopo
la polvere del muro di Berlino, sulle ali del "Wind of Change", si vide
accoppiare un gigante ceco dai lunghi capelli sulle spalle e l’aria da
bassista, con ottime referenze ai Mondiali italiani: Thomas Skuhravy. Nella
ripresa, il Liverpool si buttò in avanti con la bava alla bocca. Rush, di testa,
sorprese l'estremo Simone Braglia a capo dell'ennesimo corner e ridette linfa all’Anfìeld. Verso
la porta del Genoa cominciò a piovere di tutto ma Braglia sventerà
l’impossibile meritandosi una nicchia nella cattedrale. Jones, Rush, Barnes, il
danesone Moelby, si metteranno le mani nei capelli, storditi dalle parate di quel
mortale che osava sfidare gli dei nel loro santuario. Poi il Genoa cucirà il
capolavoro in una “lectio contropiedis”
da manuale: Skuhravy toccò per Eranio che guadagnò metri palla al piede
smistando la palla dalle parti del solito Aguilera puntuale a rimettere la sua firma sul
secondo centro. Il tecnico Bagnoli aggiungerà quest’impresa alla sua personale
lista di prodigi. Osvaldo Bagnoli, figlio della Milano operaia, poco da bere,
e molto da lavorare, che ascoltava “ticket
to ride” ma anche “il ragazzo della
via Gluk”, ruspante, pratico, nel senso migliore del termine, nella
fedeltà alle umili origini portata come una medaglia al pari dell'etichetta
vagamente ironica applicatagli all'epoca dei primi successi in Serie A: "il
mago della Bovisa",
là dove i pomeriggi avevano il sapore schietto delle partitelle con gli amici
a piedi nudi sul prato..
“Tra questa gente che
osserva e si lamenta, pure Colombo è stato uno fra cento, e adesso in mare
veleggia la rumenta, strana, Genova. Io questa notte ti vorrei parlare, e
invece parto per mandarti a dire, che tu sei bella, sì, ma da ricordare. Bella
più che mai. Non mi basta un blues per averti un pò di più, Genoa, you are red
and blue.”
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