Nel match program, qualcuno, evidentemente
tifoso del Celtic, scrisse in maniera stizzita 1-1, sbavando l'inchiostro della biro oltre gli
spazi neutri, come se l’ordine gerarchico precostituito dai nomi delle due
squadre avesse perso valore e si potesse infangare il cimelio perché i celebri
biancoverdi scozzesi adesso sarebbero stati costretti a cercare di disinnescare la
scatola elettrica del Georgios Karaiskakis a Atene, anzi no al Pireo, perché
guai a confondere le questioni d’appartenenza. Roba seria, ideale e
materiale. Atene città eterna nell’eternità dell’effimero, vie senza luce, cortili aperti su improvvisi locali creati sulle fondamenta di palazzi crollati,
dove i greci amano sorseggiare caffè, e continuano a fare filosofia; Atene
sublime nella sua incompiutezza, Atene che da sempre vuole arrivare e non
arriva mai nel suo mare, nel suo porto. Eccolo il Pireo, e attenti
perché Atene e il Pireo non sono la stessa cosa, non lo sono mai stati
nonostante Temistocle con le sue mura avesse per primo tentato di unificare i
battiti di due cuori diversi, così vicini eppure così lontani, spersi nel grande catino attico. Al Pireo
beccheggia un piccolo golfo che è un luogo dell’anima. Si chiama “Ormos
Aphroditis” perché, secondo il mito, Afrodite prediligeva questo luogo per
venire a bagnarsi guardando lontano l’Acropoli della Dea rivale Atena. I resti
delle mura di Temistocle corrono lungo le rocce a picco sul mare e ci si può
sedere sugli enormi blocchi di pietra del piccolo cantiere navale in cui
riposano barche tirate in secca. Qui sorgeva lo stadio Karaiskakis che nel 1974 odorava
di terra e vento di maestrale, i gradoni ondeggiavano alla vista imbiancati di calce, nei
bar intorno all’impianto, sotto i pergolati, i vecchi fumavano, chiacchieravano,
snocciolavano i loro "Koboloi", sorseggiando quel vino resinoso che si può bere
solo attingendolo direttamente dalle botti, mentre il mare scintillava, i gozzi
ancorati prendevano il largo, l’odore dei pesci cotti sulla griglia si attorcigliava
in aria, e i giovani discutevano all’ombra della
chiesetta del Santo Nikolao. L’Olympiakos è l'adolescente coronato d'alloro, la
moralità, l'onore, la competizione, lo splendore, la sportività e la lealtà
racchiusi nell'ideale olimpico. La scintilla scoccò nella Taverna di “Moira”, uno di quegli
antri forati dalla salsedine in cui vigono tovaglie di carta e saccoccie con
dentro posate e tovaglioli, e il tempo pare accorciare il suo normale scorrere intorpidito
dalla lentezza del luogo. Era il 10 Marzo del 1925, e lì, dove oggi
sorge la via Karaolì-Dimitriou, venne fondato il club strisciato di
biancorosso, giusto quando il Pireo, ancora pieno di ferite, ricominciava a
gorgogliare di vita e di sogni. Un club libero, che abbracciò la migrazione cretese,
quella delle isole dell’Egeo e quella dall’Asia Minore, per creare una delle più forti e resistenti combinazioni
di passione dell’intero pease. Dopo i successi degli anni ’50, quando l’Olympiakos
sarà soprannominato "Thrylos" (Θρύλος) ossia “leggenda” i suoi sostenitori, per
tornare sulla scena principale, dovranno aspettare l’arrivo di un magnate, un armatore di
Andros, il gentiluomo Nikos Goulandris. Nel 1971 assumerà la carica di
direttore generale ma l’anno successivo sarà già sullo scranno presidenziale, ripristinando
tutti i membri di spicco del consiglio di amministrazione cacciati dal regime
dittatoriale. Metterà in panchina Lakis Petropoulos, nonostante
ci fosse chi lo trattava con sospetto a causa del suo passato con il
Panathinaikos del maestro serbo Stjepan Bobek, ex grande bomber del Partizan
Belgrado, ma anche allenatore dei rivali “verdi” ateniesi. Tuttavia, gli effetti del suo
lavoro si vedranno presto. Petropoulos era un uomo misurato, tranquillo, con il
vizio, o la vanità, dell’eleganza, sempre con un dolcevita, completi costosi,
trench e giacche di pelle, uno insomma che non si è mai messo una tuta in vita sua per
andare in panchina. Uno che capirà presto che George Delikaris è il calciatore più
talentuoso che ha in squadra ma anche un personaggio problematico da gestire
con attenzione. Al Pireo intanto arrivano gli uruguaiani Julio Losanda e Milton
Viera, quest'ultimo il primo straniero a venire a giocare in Grecia, il nazionale francese Romen Argyroudis , gli
attaccanti Yves Triantafyllos e Michalis Kritikopoulos, il fantastico Mike
Galakos, Giannis Kyrastas, Babis Stavropoulos lo specialista dei calci
piazzati, i ragionieri del centrocampo Takis Synetopoulos e Niko Yutsos, e soprattutto,
lo abbiamo citato, George Delikaris, (arrivato per 1725000 dracme dalla piccola società degli
Argonaftis), colui che chiamavano “il Dio della domenica" o il
"George Best di Grecia”, sia per una discreta somiglianza con il Best nordirlandese,
sia anche per le affinità nel privato. Infine, dietro, un quintetto
difensivo diventato una "poesia" in bocca all'Olimpo: Kelesidis,
Gaitatzis, Siokos, Glezos, e Aggelis. L'Olympiakos vincerà 3 titoli nazionali
consecutivi, e due coppe di Grecia. Nella Coppa dei Campioni datata 1974/75 il
sorteggio lo opporrà subito al Celtic Glasgow. In un Celtic Park fosco, umidiccio, davanti a 40000
persone, nella pancia scoperta di uno stadio ancora vergine di sconfitte in Europa, l'Olympiakos azzardò, passando in vantaggio con Milton Viera al 36º
minuto, abile ad aggirare un legnoso McNeill, subendo poi il pareggio di Paul Wilson in chiusura
di primo tempo su un cross di Danny McGrain. L'Olympiakos la chiuderà in 10, perché
l’autore del goal, Viera, deciderà di non farsi mancare niente facendosi
espellere a dieci minuti dal termine. Al ritorno, il campo di gioco del Pireo era
stato riseminato appena due settimane prima della partita e la superficie
presentava grumi, gobbe, pennacchi d’erba, qualche insidiosa fossetta e in
alcuni punti c’era solo terra nuda e cruda. Forse uno dei campi peggiori del mondo,
e il Celtic ebbe pure una mezza intenzione di appellarsi all’ Uefa. l'Olympiakos si impose segnando due reti
nei venti muniti d'apertura, entrambe direttamente
da calci piazzati. Un 2-0 firmato Michalīs Kritikopoulos e Babis Stavropoulos. Nel turno successivo, disputato contro l’Anderlecht, accadde l’imponderabile.
Evidentemente le velate proteste del Celtic per le difficoltà incontrate sul quel
terreno poco praticabile infastidirono comunque la federazione europea e ai
greci, dopo aver perso male 5-1 a Bruxelles, non bastò il 3-0 interno per
superare i bianco malva perché l’arbitro, l'ungherese Károly Palotai, annullò addirittura
tre goal all’Olympiakos, uno di Galakos, uno di Charalambos e uno di
Stavropoulos, non concedendo due rigori apparsi evidenti. Il tutto fra le
proteste vibranti e i petardi lanciati dalle tribune in un clima di pericoloso subbuglio. Il
27 dicembre dello stesso anno, Goulandris, attraverso un telegramma inviato
dalla sua residenza invernale a Gstaad, in Svizzera, presentò le sue dimissioni
dalla presidenza dell'Olympiakos, adducendo motivi privati, gravi problemi di
salute, oltre alla tremenda delusione per i risvolti della partita con l'Anderlecht. “Non sono triste per la mia imminente morte- disse. Quello che in realtà mi rattrista, è il
fatto che non potrò più guardare il mio amato Olympiakos”. Tristezze, sospetti
e rimpianti per una squadra che poteva davvero arrivare fino in fondo.
Invece qualche anno dopo arrivò il Gate 7, una tragedia, che segnerà per sempre la storia
degli “Erithrolefki”.
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