domenica 19 dicembre 2021

QUELLI DELLA FRIEDHOFSTRIBÜNE


Vienna, distretto di Dornbach. Respiro volubile della Friedhofstribüne, la gradinata accanto al cimitero, foglie secche, muschio e controfigure del nostro domani con qualche orpello asburgico sull'ovale fumé. Lo stadio del Wiener Sport Klub ti appare tra imbarazzo e insolenza nel cedimento degli occhi e del chiavistello del Platz; penombra zaffata di birra, programmi domenicali abbandonati sulle tribune, lo Stadion Magazine, voce del popolo, pretesa di celebrità, impulso di osservazione dentro un recesso di forma e muffe. Lo si vende in un botteghino stamberga, nido di latta e ferro, casermetta da cambio della guardia, alla pari dello stadio, altro alambicco, dove dal 1904 giocano gli Schwarz-Weißer adombrati dal profilo retrò di un palazzone di Hernals, margine periferico sofferente allo svanire dei tram gialli della Ringstrasse e delle anse del Danubio. Il Wiener Sport Klub ha camminato sulla storia calciando un pallone nel fango, sotto piogge gelate e dentro pomeriggi tersi di sole, quando ancora la barba di Francesco Giuseppe si aggirava nei corridoi di Schönbrunn, e lo ha fatto sul terreno presumibilmente più antico su cui si è giocato ininterrottamente in Austria e forse anche nell'Europa continentale. Il Platz è santuario laico, la tribuna principale appoggia direttamente al muro di cinta del cimitero limitrofo, altrove d’argilla puntellata dal supplizio del marmo, mentre, con le spalle rivolte ai defunti, i tifosi assistono alle ormai poco eccitanti prestazioni della loro compagine pur ammiccando a quel numero 17, perché qui non è possibile essere il dodicesimo uomo ma solo il diciassettesimo, unica cabala d'appello per far ruotare, stridendo, ai piedi di un cielo abbrunato, i cardini del cancello del camposanto. La Friedhofstribüne, letteralmente la “tribuna sul cimitero” è diventata il ritrovo di tifosi di una società a stretto azionariato popolare, che si oppongono alla mercificazione del calcio facendo risuonare, blandamente, quasi per dispetto, una marcia funebre all’inizio di ogni partita, nel sottobosco seminascosto della "Regionalliga", nobiltà decadute e modesti calciatori di quartiere.  Ma il Wiener Sport Klub negli anni '50 sarà un illusione di stravizio che lo portò a laurearsi due volte campione d’Austria e a dare sette sberle alla Juventus che qui venne per un quarto di Coppa dei Campioni con Sivori, Charles e Boniperti beccandosi la più pesante sconfitta europea mai registrata nei suoi archivi. Da un anno sono stati avviati i lavori di rinnovo, un rimodellamento che in un baluginio da basso impero lascerà intatti un paio di settori e soprattutto quei riflettori portati dal Prater nel dopoguerra; quei riflettori non si muoveranno, perpetuando le gesta dei nasi forti da scuola danubiana di Hans Pesser, Josef Hammerl e Erich Hof, nel crepuscolo di sottintesa sovranità, permeato da un valzer di Strauss nel punto in cui lo spartito prende consistenza e tutto il resto rimane un rumore monocorde e lontano, del tutto incapace di accendere sfumature nell'inquietudine dell'anima protesa al silenzio.


 

 

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