Morire sulla riva del fiume. Nella retina l’immagine della
rivoluzione fallita, l’epos delle notti prodigiose di primavera stroncate sul
più bello. La storia di un amore non corrisposto finito in venti minuti di
follia. Da adolescente, sei stato questo per me, Español. Una sensazione strana
quei giri d’orologio, il brivido che provi quando sai di fare qualcosa di
sbagliato ma continui a farlo. Perché ti piace quella cosa sbagliata, ti fa
impazzire. L’Español del 1988, l'ultimo tiro della sigaretta di Javier
Clemente, che invece di rovinare i polmoni rovinò i cuori. Eppure Javier, sei
stato un talento di Euskal Herria. Sfortunato e tenace, capace di intravedere
nel tremendo infortunio che ti stroncò sul nascere non una fine, ma l'inizio di
una luminosa stagione da allenatore culminata dai trionfi con il tuo Athletic
negli anni di grazia ottantatré e ottantaquattro. Javier Clemente, el rubio de
Barakaldo, periferia industriale di Bilbao. L’uomo che alla pari dello
scultore Eduardo Chillida forgiava le sue squadre nel metallo, lasciando poi
fossero il vento e la pioggia a rifinirle.
Cosa successe quella sera lassù in Germania? nell’asettica
Leverkusen, che odorava di aspirina e di schiume di scarico sugli argini del
Reno. Sembrava fatta. Un gioco da ragazzi. Un po’ come per gioco nacque un
giorno d’ottobre del 1900 questa squadra per merito di Octavi Aballí, Lluís
Roca e Àngel Rodríguez Rui, tre studenti di ingegneria dell'Università di
Barcellona, entusiasti di creare una società che assunse il nome di Club
Español de Football. Figlio di un Dio minore, soffocato dal “Més que un club” dei
“despoti”, lassù in Avinguda Diagonal, nel respiro indimenticabile dello stadio
Sarrià. Avevi impallinato le grandi d’Europa, tanto che qualcuno in giro per le
Ramblas o per il Passeig de Gràcia incominciò a dire: “Lo mejor de Barcelona,
es ser del Espanyol” (Il meglio di Barcellona è essere dell’Español.) E nacque
la favola dei “Matagigantes” che avevano eliminato Milan e Inter a stretto giro
di boa. La lotta e lo spirito degli umili erano stati premiati. La finale della
Coppa UEFA in due atti come registrato copione imponeva, incominciò il 4 maggio
1988. E l’Euro- fiesta sembrò non finire. L’Español davanti a 45000 anime
traboccanti si scatenò. Una furibonda corrida dove i tedeschi non ebbero scampo
sommersi dall’epica, dalla doppietta di Sebastian Losada detto “El Pipiolo” e
dal centro di Miguel Soler. "Espanyol, Espanyol, Espanyol" nessuno voleva
uscire dallo stadio. Il 3-0 valeva un cuscino su cui N'Kono, Orejuela, Gallart,
Valverde e compagnia biancoblu potevano poggiare la testa e dormire sonni tranquilli
giacché nessun nibelungo avrebbe potuto rovesciare il tavolo della festa, già
carico di paella, tortillas e crema catalana.
E in Germania tutto fece propendere al meglio. Allo scadere
della prima frazione le speranze per i padroni di casa si affievoliranno
ulteriormente, il risultato restava ancorato sullo 0-0. Ma al rientro in campo
ecco i farmacisti che non t’aspetti. Clemente chiuse la squadra in difesa, si
intestardì di non prenderle. Mai avrebbe pensato a una rimonta avversaria.
Cercò di contenere le folate, ma in breve esaurì sigarette e speranze. Una
scelta che si rivelerà fatale. Al 57° un indecisione difensiva aprì la crepa.
Il brasiliano Tita suonò la carica con un goal di rapina, seguito cinque minuti
dopo dal raddoppio di Falko Goetz. La partita era ufficialmente riaperta,
mancava solo un goal per impattare la differenza, e il Bayer sembrava averne di
più. Al minuto 81, nella più elementare legge di Murphy, il coreano Cha Bum Kun
anticipò Urquiaga, incornando un cross proveniente da un calcio di punizione
completando la rimonta. Quello che nessuno si aspettava alla vigilia, era
accaduto: supplementari. Qui il Bayer parve placare il suo impeto, l’Español
frastornato non fu capace di organizzarsi e di conseguenza arrivarono i calci di
rigore. Il Bayer con Ralf Falkenmayer fallì il suo primo penalty, e Pichi
Alonso riportò i suoi nuovamente avanti. Andò a segno anche il terzino Josè
Guerra, tuttavia di lì a poco in bestiale sequenza arrivarono tre errori
consecutivi degli uomini di Clemente: Santiago Urquiaga, Manuel Zúñiga, e
Sebastián Losada. I tedeschi invece non sbaglieranno più un colpo. Il portiere
Thomas N’Kono, fusto d’ebano del Camerun, restò in ginocchio. La beffa era
completa. La coppa arrivata a Leverkusen per farci solo scalo ci resterà per
sempre. E la sconfitta più inspiegabile nella storia del Real Club Deportivo
Español diventerà pianto e rimorso, roba da stracciare le foto della gioia
scattate appena una settimana prima.
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