sabato 8 aprile 2023

MALDITOS PENALITIS!


Morire sulla riva del fiume. Nella retina l’immagine della rivoluzione fallita, l’epos delle notti prodigiose di primavera stroncate sul più bello. La storia di un amore non corrisposto finito in venti minuti di follia. Da adolescente, sei stato questo per me, Español. Una sensazione strana quei giri d’orologio, il brivido che provi quando sai di fare qualcosa di sbagliato ma continui a farlo. Perché ti piace quella cosa sbagliata, ti fa impazzire. L’Español del 1988, l'ultimo tiro della sigaretta di Javier Clemente, che invece di rovinare i polmoni rovinò i cuori. Eppure Javier, sei stato un talento di Euskal Herria. Sfortunato e tenace, capace di intravedere nel tremendo infortunio che ti stroncò sul nascere non una fine, ma l'inizio di una luminosa stagione da allenatore culminata dai trionfi con il tuo Athletic negli anni di grazia ottantatré e ottantaquattro. Javier Clemente, el rubio de Barakaldo, periferia industriale di Bilbao. L’uomo che alla pari dello scultore Eduardo Chillida forgiava le sue squadre nel metallo, lasciando poi fossero il vento e la pioggia a rifinirle.

Cosa successe quella sera lassù in Germania? nell’asettica Leverkusen, che odorava di aspirina e di schiume di scarico sugli argini del Reno. Sembrava fatta. Un gioco da ragazzi. Un po’ come per gioco nacque un giorno d’ottobre del 1900 questa squadra per merito di Octavi Aballí, Lluís Roca e Àngel Rodríguez Rui, tre studenti di ingegneria dell'Università di Barcellona, entusiasti di creare una società che assunse il nome di Club Español de Football. Figlio di un Dio minore, soffocato dal “Més que un club” dei “despoti”, lassù in Avinguda Diagonal, nel respiro indimenticabile dello stadio Sarrià. Avevi impallinato le grandi d’Europa, tanto che qualcuno in giro per le Ramblas o per il Passeig de Gràcia incominciò a dire: “Lo mejor de Barcelona, es ser del Espanyol” (Il meglio di Barcellona è essere dell’Español.) E nacque la favola dei “Matagigantes” che avevano eliminato Milan e Inter a stretto giro di boa. La lotta e lo spirito degli umili erano stati premiati. La finale della Coppa UEFA in due atti come registrato copione imponeva, incominciò il 4 maggio 1988. E l’Euro- fiesta sembrò non finire. L’Español davanti a 45000 anime traboccanti si scatenò. Una furibonda corrida dove i tedeschi non ebbero scampo sommersi dall’epica, dalla doppietta di Sebastian Losada detto “El Pipiolo” e dal centro di Miguel Soler. "Espanyol, Espanyol, Espanyol" nessuno voleva uscire dallo stadio. Il 3-0 valeva un cuscino su cui N'Kono, Orejuela, Gallart, Valverde e compagnia biancoblu potevano poggiare la testa e dormire sonni tranquilli giacché nessun nibelungo avrebbe potuto rovesciare il tavolo della festa, già carico di paella, tortillas e crema catalana.

E in Germania tutto fece propendere al meglio. Allo scadere della prima frazione le speranze per i padroni di casa si affievoliranno ulteriormente, il risultato restava ancorato sullo 0-0. Ma al rientro in campo ecco i farmacisti che non t’aspetti. Clemente chiuse la squadra in difesa, si intestardì di non prenderle. Mai avrebbe pensato a una rimonta avversaria. Cercò di contenere le folate, ma in breve esaurì sigarette e speranze. Una scelta che si rivelerà fatale. Al 57° un indecisione difensiva aprì la crepa. Il brasiliano Tita suonò la carica con un goal di rapina, seguito cinque minuti dopo dal raddoppio di Falko Goetz. La partita era ufficialmente riaperta, mancava solo un goal per impattare la differenza, e il Bayer sembrava averne di più. Al minuto 81, nella più elementare legge di Murphy, il coreano Cha Bum Kun anticipò Urquiaga, incornando un cross proveniente da un calcio di punizione completando la rimonta. Quello che nessuno si aspettava alla vigilia, era accaduto: supplementari. Qui il Bayer parve placare il suo impeto, l’Español frastornato non fu capace di organizzarsi e di conseguenza arrivarono i calci di rigore. Il Bayer con Ralf Falkenmayer fallì il suo primo penalty, e Pichi Alonso riportò i suoi nuovamente avanti. Andò a segno anche il terzino Josè Guerra, tuttavia di lì a poco in bestiale sequenza arrivarono tre errori consecutivi degli uomini di Clemente: Santiago Urquiaga, Manuel Zúñiga, e Sebastián Losada. I tedeschi invece non sbaglieranno più un colpo. Il portiere Thomas N’Kono, fusto d’ebano del Camerun, restò in ginocchio. La beffa era completa. La coppa arrivata a Leverkusen per farci solo scalo ci resterà per sempre. E la sconfitta più inspiegabile nella storia del Real Club Deportivo Español diventerà pianto e rimorso, roba da stracciare le foto della gioia scattate appena una settimana prima.


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