Il Den Haag me lo ritrovai improvvisamente sulle
pagine internazionali del Guerin Sportivo dove venivano riassunti in maniera
rigida e minimalista i principali campionati esteri. Il nome, che qui da noi
assomigliava a una nota marca di bevanda decaffeinata, apparteneva a una squadra
olandese la cui contrazione linguistica ho scoperto in seguito significhi “il bosco del
Conte”, sostanzialmente L’Aja, un metro e mezzo sul livello del mare, oltre a
diverse faccende burocratiche su cui è meglio glissare. Negli anni ’80 per
identificare colori, giocatori e stadio di una squadra del genere bisognava
necessitare di un pochina di fortuna, diciamo un sorteggio europeo con una
nostra rappresentante, qualche fotografia ( accontendantosi spesso del bianco e nero ) oppure
c’era la soluzione più semplice al di là di prendere un costosissimo volo KLM
per l’Olanda, ossia verificare il catalogo Subbuteo, autentica Stele di Rosetta
per decifrare il ritrovato. Ed effettivamente al numero “civico” 400
albergava appunto il Den Haag, maglia bellissima gialloverde unita ad una
cicogna bianca come simbolo. La denominazione completa va copiata con
procedimento amanuense per non correre il rischio di scrivere strafalcioni:
Haaglandse Football Club Alles Door Oefening Den Haag, per gli amici ADO Den
Haag, fondato il 1° febbraio del 1905 presso il caffè (curioso eh) Het Hof Van
Berlijn che dopo una serie di calci senza fissa dimora si trasferì nel 1925 allo
Zuiderpark Stadion. Ecco, sullo Zuiderpark andrebbero spese un paio di parole
perché questo impianto ha significato non solo una cartolina perfetta del
periodo con quattro tribune strambe, ribassate, curve, cupe e contorte preda di
molto vento, molto umido, poco sole ma è stato anche covo di un hooliganismo violento e
corrusco che ha accompagnato per osmosi quantomeno ventennale le sorti del club
rimpinzandosi di birre, anfetamine e dosi di “ero” a basso costo mentre fra
Molenstraat e Oude Molestraat, le due principali vie cittadine, la vita
sembrava scorrere tranquillamente. Un tifoso del Den Haag intervistato da una
televisione locale disse che Den Haag era come una partita a scacchi per
strada, procede lenta finché non ti sorprende alle spalle. Rivendicazioni,
sottoculture, pura voglia di ballare sul filo letterale del rasoio, porteranno
i sostenitori del Den Haag a essere considerati fra i più pericolosi al punto che un giorno del 1982 dopo una partita con l'Haarlem decideranno di bruciare una vecchia stand in legno e alcuni
anni dopo, nel 1987, sempre nell'ingabbiato piccolo catino ribollente di Zuiderpark, la
partita tra i padroni di casa e l'Ajax sarà interrotta a causa di una furibonda
rissa sugli spalti. Una cinquantina di feriti, alcuni dei quali in
gravi condizioni, determineranno il primo pugno di ferro delle autorità:
l'ingresso del pubblico al settore Nord dello stadio Zuiderpark verrà bandito
per un lungo periodo. Eppure, a ripensarci bene alle volte quell’isteria
collettiva, prepotente, e aggressiva mi alimenta una strana sensazione di vita
rispetto a tanti teatrini di plastica odierni tutti belli e ordinati. Diceva
Nietzsche che serve il caos per creare una stella danzante, beh forse è da
incoscienti associarlo alla brutalità, o forse non del tutto. Ora, ci stiamo
dimenticando che Deen Haag è stata squadra di calcio, due volte campione dei
Paesi Bassi addirtittura durante la Seconda guerra mondiale e due volte ha
alzato la KNVB Beker o Coppa D’Olanda, nel 1968 e nel 1975. E su questi ultimi due trionfi ci sono le mani di due tecnici all’epoca emergenti: Ernst Happel e Vujadin
Boskov. Ernst Happel viennese purosangue, uno perennemente da Café Ritter, dove
discutere di calcio, bere un bicchiere di cognac e fumarsi interi pacchetti
di sigarette. Nel 1962 arriverà al Den Haag che impassibilmente lottava
costantemente per non retrocedere portando la squadra a un ottimo quarto posto. Nel ‘68 gli farà mettere in bacheca la loro prima Coppa d’Olanda contro il più
quotato Ajax grazie alle reti di Alex "Lex" Schoenmaker
e Kees Aarts. Qui Happel metterà in luce l’importanza della preparazione
atletica. Un giorno i giocatori del Den Haag si ammutinarono alla stregua del
Bounty rifiutandosi di allenarsi sotto la pioggia battente. Ernst Happel allora
prese una lattina, la posizionò sopra la parte superiore della traversa, si
allontanò con enorme disinvoltura e la colpì al primo tentativo con un calcio
preciso, lanciando una sorta di guanto di sfida ai suoi giocatori: chi la
faceva cadere poteva andare in spogliatoio, chi sbagliava restava ad allenarsi.
Quel giorno continuarono tutti l’allenamento. Boskov si sedette sulla panca dello Zuiderpark a metà circa degli anni Settanta. Come giocatore aveva una discreta reputazione (Vojvodina, Sampdoria, Young Boys, Nazionale jugoslava),
come tecnico il Den Haag fu per lui l'inizio di una carriera che sarebbe stata
altrettanto buona. Per Boskov tutto doveva lasciare il posto al
risultato, unica modalità riconosciuta nella sua personale evangelizzazione.
Niente poteva essere lasciato al caso, la preparazione, l'impegno e la
prestazione dovevano essere sempre al cento per cento. Boskov ha saputo spremere il limone gialloverde
fino all'ultima goccia. La squadra che vincerà la coppa del 1975 era prevalentemente
giovane (Martin Jol, futuro capitano, Tscheu-la Ling, Boudewijn de Geer e Joop
Korevaar, Simon van Vliet, Aad Kila, Hans Bres e Rob Ouwehand) con alcuni
veterani come il portiere Ton Thie e e Aad Mansveld. Con sé porterà Dojcin
Perazic dal Vojvodina e così aveva anche qualcuno con sé con cui conversare
nella sua lingua madre. Quando durante la preparazione apparve evidente che
l'attacco mancava di capacità decise di acquistare Henk van Leeuwen dal Roda
JC, (capocannoniere della Prima Divisione). Quell'acquisto si è rivelato un
successo. La squadra raggiunse la finale contro il favorito Twente ma un'acrobazia
di Henk van Leeuwen siglerà la rete decisiva sugli sviluppi di un calcio di punizione.
Poi l’anonimato, ascensori fra categorie e un’ultima finale del trofeo domestico,
quella che mi incuriosì nel ormai lontano 1987, solo che davanti si trovarono l’Ajax
di un certo Marco Van Basten e il cigno ebbe la meglio sulle cicogne ormai in
estinzione sportiva.
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