mercoledì 30 settembre 2020

BOHEMIAN RHAPSODY

                           



Il Bohemians dovreste guardarlo attraverso una cartina tornasole virata su toni freddi, il colore acceso non rende completamente giustizia, non instaura il corretto registro, la piacevole armonia, la discrepanza fra la mitteleuropa che fu e l’orrido serrarsi dell’attualità. Sì, indubbiamente, il Bohemians Praga è una delle squadre più romantiche al mondo, non sentitevi offesi. Che poi si collochi nell’anima piena di sogni, persi in altrettanti sogni, di una città dove può accadere qualsiasi cosa, sotto cupole smeraldo che invocano neve, né dimostra la sintesi escatologica. Occorre salire sul Tram numero 24 in Piazza Venceslao e semplicemente scendere alla fermata Bohemians nel quartiere Vrsovice in cui il club sorse, frutto dell’idea di un virtuoso gruppo ciclistico che nel 1905 abbinerà il pallone alle due ruote quando da questo distretto le statue sul ponte di San Carlo potevi vederle soltanto se salivi sulla cima di un faggio poiché eravamo ancora in un ambiente prevalentemente rurale per non dire silvestre. Roba che un canguro alla fine si sarebbe trovato quasi bene. Ah, il canguro. L’animale totemico del Bohemians, cucito sullo stemma, è frutto della bizzarra donazione della Federcalcio australiana sul finire degli anni ‘20 dopo che la squadra andò a giocarci una tournée. In realtà i canguri erano due, una coppia, e lo stravagante regalo, una volta rientrati a Praga, venne affidato a Oldrich Havlín, un giocatore dell’epoca, che consegnò i canguri allo zoo cittadino in cui vissero sereni il resto della loro esistenza. Insomma cose curiose a Vrsovice, dove pulsa il vecchio stadio Dolicek, e tutt’intorno ruota una zona satura di palazzoni in Art Noveau, una zona schiva, di quelle da ambientarci un libro, o un film, con protagonisti degli incappucciati alchimisti, intenti al calar della sera a percorrere strette viuzze acciottolate, rischiarate dalla luce smorzata di lampioni velati dalla leggera bruma emersa silenziosa dal Botic, un fiumiciattolo, anzi un ruscello, il tutto mentre al caffè Sladkovsky, oltre a rimettervi al mondo con una pinta di Klobasa e un fumante Parek, potreste incominciare a veder spuntare la storia del club in quadretti appesi a pareti pastello ingentilite da tendine in stile liberty. Certamente non mancherà il ritratto di Antonin Panenka, baffi d’ordinanza e pancetta malcelata, l’uomo della foglia morta, quello che brevettò il rigore a cucchiaio, scommettendo sulla sua efficacia durante gli allenamenti con il portiere Zdnek Hruska. Panenka già a 11 anni si era vestito di biancoverde ma non c’era in quel 1983 quando il Bohemians vinse il suo primo e unico titolo nazionale e al Dolicek scoppiò un autentico delirio. Ecco, quegli anni profumano davvero di un romanticismo imbarazzante, fusione di bellezza e talento, densità semantica primordiale contro la quale non si può competere. La squadra del capitano Premysl Bicovsky, di Milan Cernak, di Jiri Sloup, che ebbe anche lampi di prestigio nelle coppe, e una sera, si prese la briga di eliminare l’Ajax di un giovane Marco Van Basten proprio nel catino "boemo" del Dolicek.

 

                    

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