giovedì 1 ottobre 2020

CAMPIONI PER 20 MINUTI



 

La lontananza sai è come il vento. Lo cantava Domenico Modugno e qualcosa ci incastra con questa storia. A Livorno il vento che comanda è il libeccio; spinge le onde a infrangersi sugli scogli sotto la terrazza Mascagni e sparge tra i quartieri l’aria pungente e schietta del Tirreno. Si, forse, (il forse è d’obbligo), la lontananza, o il tempo, assomiglia al vento che ha provato a mitigatare anche i cuori più duri, lenendo il ricordo di quei venti minuti in cui si passò dall’entusiasmo straripante di uno scudetto vinto alla rabbia per il ribaltamento del risultato. Nella città dei Quattro Mori ci hanno fatto perfino una commedia teatrale dal titolo “tre-due-uno- Forti ir canestro (ir) era bono”. La Location fu il teatro dei Salesiani perché intanto occorre fare un bel distinguo. In quel caldissimo pomeriggio del 27 maggio 1989 mica tutta Livorno tifava per l’Enichem di Alberto Bucci, solo metà o una porzione, diciamo così, l’altra sinceramente gufava. Roba sociale, politica. La Enichem, o Libertas, in canotta gialloblu era l’espressione borghese, benestante, della città, mentre l’allora Allibert, o Pallacanestro che dir si voglia, in canotta biancorossa, rappresentava invece il tessuto più proletario, portuale.

In ogni caso dogmi non completamente assunti, la verità, quello che balzava subito agli occhi, era l’enorme passione di Livorno per il basket con due squadre nel massimo campionato e l'angusto, semisferico, Palasport di Via Allende sempre pieno come un “ovo” (sodo?) ogni domenica. Erano anni strani, anni di mezzo, di cambiamento, la coda degli ottanta stava per sgretolare il muro di Berlino, nei locali si ballava la Lambada e con le lire inflazionate si campava ancora bene. L’Enichem era la squadra di proprietà delle famiglie Boris e D’Alesio, una società che aveva investito egregiamente su ragazzi di talento lasciandogli tutto il tempo necessario per maturare. Alberto Bucci intuì la maniera per fargli fare il decisivo salto di qualità. Alessandro Fantozzi e Andrea Forti rispettivamente play e guardia erano tipi non eccessivamente atletici tuttavia durissimi in difesa e chirurgici in attacco, Alberto Tonut e Wendell Alexis una sicurezza sulle ali e infine la rotazione fra Flavio Carera e Joe Binion sotto le plance garantiva solidità costante al rimbalzo. La gara decisiva fu dipsutata contro l’Olimpia Milano di coach Franco Casalini, dell’icona Dino Meneghin, del goriziano ribelle Roberto Premier, della classe arrivata da oltreoceano di Bob Mc Adoo, della regia di Mike D’Antoni e della giovane promessa Riccardo Pittis; una Milano che da sette anni consecutivi si giocava lo scudetto. La serie si disputò al meglio delle tre partite e dopo due vittorie esterne per entrambe si tornò a Livorno per la "bella" visto che l’Enichem durante la stagione regolare aveva guadagnato una posizione di classifica migliore sulla griglia dei play off. Quella partita si porterà dentro un epoca, la concluse e gettò le chiavi. Gli ultimi secondi saranno fra i più concitati e pazzi di sempre. Fantozzi recuperò il pallone sulla metà campo a una manciata di secondi dalla fine e invece di tirare da tre rischiando di sbagliare nettamente e mettere malamente termine a una sfida drammatica da O.K. Corral, ebbe il guizzo del genio riuscendo a distinguere nella selva di corpi dell’area avversaria il fisico smunto e le braccia lunghe di Andrea Forti. Forti agguantò la sfera portandosela davanti alla faccia anticipando il raddoppio micidiale e scorretto della coppia Meneghin- Mc Adoo.

Tutto il Palasport urlava, tutto era un fremito incontenibile, alcuni caddero in ginocchio mentre la palla ribalzava sul ferro per poi scivolare lentamente dentro il cerchio. Andrea Forti finì steso a terra, dopodichè arrivarono attimi interminabili dove non si capì praticamente niente in una bolgia da girone dantesco. Qualche giocatore si rifugiò negli spogliatoi, Premier scatenò una rissa con i tifosi, l’arbitro Grotti (quello accanto al tabellone) assegnò canestro più fallo aggiuntivo per l’Enichem. Era finita? la Libertas Enichem Livorno era veramente campione d’Italia? Le voci si impastarono, si mischiarono; Alexis saltò sulle spalle di Carera e si metterà a tagliare la retina come da prassi del vincitore, la folla pareva un mare increspato dalla schiuma del trionfo. E invece no, un quarto d’ora circa e tutto cambiò. Anche i primi TG della sera, che avevano annunciato il tricolore livornese, furono costretti a rettificare la notizia d'apertura.

Successe che l’altro arbitro, quello nei pressi del tavolo dei giudici, tale Pasquale Zeppillo, che successivamente per timore di qualche ritorsione muterà il cognome in Zeppilli, dichiarò di aver sentito distintamente la sirena suonare precedentemente al tiro e revocherà la decisione del collega capovolgendo il risultato. Complicato dire che udì correttamente. Le sirene del Palazzetto dell’Ardenza erano al soffitto e non vicino al banco degli ufficiali addetti alla partita. Fatto sta che quella sconfitta dolorosa farà in modo di ripiegare su se stessa la Libertas che da quella batosta non si riprenderà mai più fallendo nell’estate del 1991. Allo stesso modo l’intera Livorno cestistica subì un contraccolpo negativo e amaramente incomincerà a sparire dai radar del basket italiano.


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