giovedì 1 ottobre 2020

LA VIOLETTA


 

Durante i giorni di “Occupy Wall Street”, il movimento statunitense critico verso la diseguaglianza economica e sociale e più in generale verso gli eccessi del capitalismo finanziario (rappresentato simbolicamente e non, appunto, da Wall Street), si era imposto uno slogan simpatico ed incisivo: “You don’t hate mondays, you hate capitalism.” A fare schifo non è la tua vita, il tuo lavoro, il tuo ufficio e i tuoi lunedì, ma un sistema economico e valoriale fortemente sbagliato. Salisburgo ha fatto un voto, una promessa, a Makarsteg sul ponte degli innamorati c’è un lucchetto con un nastrino color viola, tutti ricordano, tutti hanno un vecchia foto, a partire dai locali dentro i cortili della Getreidegasse, dove l’oste, non importa se apparentemente burbero, indica la zona di Maxglan come Gesù indicava la montagna agli apostoli. Silenzi rotti solo dal Salzach orfano di ghiacci e dal cigolare di insegne in ferro battuto. Salisburgo fatta di campanacci, di venti, di rossori alpestri e flauti magici. Salisburgo è Singspiel, drammaturgia operistica indirizzata verso un ideale etico, progressiva purificazione sulla via della verità. Anche qui il sacco delle lattine, ora l’Austria Salzburg è confinata in terreni da pascolo, dove in inverno si gioca solo se qualche custode premuroso libera il campo dalla neve. Eppure nel 1994 la violetta sbocciò nella primavera di San Siro davanti a un pubblico mai visto, lei abituata ai proiettori che si sporgevano dai condomini di Lehen al pari di quattro bacchette da incenso e a gusci di tribunette ormai perdute ma divenute punto di riferimento del quartiere di Tulpenstrasse. L’epoca d’oro della violetta si concluse quella sera a Milano, in una finale UEFA tirata come la corda del violino del piccolo Wolfgang Amadeus. Il Prater scelto per l’andata non portò provviste per il ritorno bensì una rete da rimontare. Ci provò Otto Baric, tecnico da burrasca, ci provò l’orchestra: Konrad, Lainer, Weber, Winkholofer, Furstaller, Aigner, Amerhauser, Artner, Marquino, Pfeifenberger, Stadler, ci provarono senza costrutto e da lì, la discesa fino ai fronti contrapposti di filosofia, di stile, di interessi, di linguaggio, fino a quella che lassù i tifosi hanno ardentemente ribatezzato traditionhatzukunft (la tradizione ha un futuro) mutuando Ernst Jünger, l'ultimo grande filosofo della vecchia Europa. Perchè l’Austria Salzburg resta nel cuore di tutti gli appassionati, non bastano i milioni a sradicare un identità, un sentimento, le radici sono storia, l’alluminio robaccia da indifferenziata.

 

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