Dentro la
piccola Peugeot 205 scura parcheggiata su uno spiazzo al limitare di una zona
boschiva ci sono quattro uomini, aspettano che le prime luci dell’alba rischiarino
i declivi intagliati dallo scorrere placido del Reno. Fa freddo, è metà
novembre, la condensa si spalma sui vetri dell’abitacolo, in cui non si fuma né
si beve, solo si conversa a bassa voce sugli ultimi dettagli di un piano ordito
in fretta e furia ma reo confesso di non avere altre alternative ragionevoli. Occorre
restare tranquilli e lucidi nonostante la stanchezza di una nottata passata in
bianco, misurando a piccoli passi la stanza di un Motel di frontiera tedesco,
dove bisognava decidere se rischiare o meno quella via. La stazione doganale di
Rouffach, qualche chilometro a nord di Mulhouse, un posto direbbe Simenon dove non accade mai
nulla, è uno di quegli ingressi ritenuti, a detta dei migliori contrabbandieri di
polli e droga, a basso controllo. Appena prima del cambio di personale la
Peugeot si muove verso la sbarra, la coppia di agenti con il classico
cappellino della gendarmerie a forma cilindrica detto Chepì, si avvicinano visibilmente provati dal turno. Sono
due francesini da operetta di Rotrou dove le finzioni e gli artifici del teatro
sono portati al massimo grado di inverosimiglianza in un atmosfera di
schematica ripetitività. Dal finestrino escono i passaporti, i passeggeri
vengono fatti scendere qualche minuto per dare un occhiata all’interno dell’auto, viene fatto aprire il portabagagli, poi basta, basta così, per i doganieri è tutto a posto,
anzi no, uno dei due proprio mentre la macchina si rimette in moto li richiama:
“Bulgari eh, immagino andrete a Parigi a vedere la vostra squadra nazionale ma
non fatevi illusioni abbiamo Cantona e Papin, sabato vi battiamo 3-0, buon
viaggio.”
La transenna meccanica si alza con un leggero rumore metallico, è
fatta, nessuno ha notato i visti scaduti di Emil Kostadinov e Luboslav Penev, soprattutto
nessuno li ha riconosciuti. I loro connazionali Borislav Mihajlov e Georgi
Georgiev (al volante) entrambi giocatori della squadra locale avevano avuto una
buona idea e adesso Kostadinov e Penev si sarebbero potuti unire al resto della
squadra che dovrà affrontare la Francia al Parco dei Principi in una partita
decisiva per la qualificazione a USA ’94. Quei fottuti geni dei bulgari.
Fatalismo, predisposizione alla fantasticheria, indolenti, orgogliosi, tendenti
all’azzardo, ottimo spirito d’osservazione e astrazione: le grandi cose vennero sempre
da Sofia scriveva Ivan Vazov il letterato nato a Sopot rimasto celebre per “Sotto
il giogo” romanzo in tre parti tratto dalla vita dei bulgari alla vigilia della
sollevazione popolare contro gli occupanti turchi nel 1876. Emil Kostadinov e Luboslav
Penev adesso giocano all’estero, rispettivamente in Portogallo, al Porto, e in
Spagna al Valencia, ma ambedue sono frutto del CSKA, il club figlio dell’esercito,
sorto nel 1948 ed espressione della potenza del governo. Parigi
val bene un Mondiale, mutuando Enrico di Navarra. Scende una pioggia leggera, lo stadio è strapieno, dagli
spalti arriva sul campo anche un galletto e gli addetti fanno fatica ad acciuffarlo fra le risate dei quarantamila presenti. La Francia ha la
fiche buona, gioca in casa e con due risultati su tre a disposizione staccherebbe il biglietto avito. La prima
mezz’ora non è straordinaria, le squadre appaiono contratte solo che a un certo punto la Francia segna. C’è
uno scontro tra Didier Deschamps e Canko Tzvetanov a centrocampo, la palla finisce a
Pedros che lancia lungo. Al limite dell’area Papin colpisce di testa e serve l’assist
per l’accorrente Cantona, troppo facile, rete. Riparte una marsigliese ancora più
convinta tuttavia silenziata dopo cinque minuti dalla testata vincente di
Kostadinov susseguente a un calcio d’angolo. La ripresa sarà giocata su ritmi
da boxeur de rues. Papin, acciaccato,
è costretto a lasciare il campo per Ginola, salutato con un’ovazione dai tifosi
parigini. La Bulgaria è sostanzialmente una banda di brutti ceffi, tanto brutti quanto tremendamente efficaci, guidati dal funanbolo Hristo Stoičkov, che vivacchia su un ritmo da musica Chalga, mentre
Viale Vitosha è vuoto, perchè tutti sono davanti a uno schermo e nella cattedrale Alexander Nevski (più guerriero
che santo) friggono le candele della speranza. La partita si sta chiudendo in
pareggio e negli Stati Uniti pare debba andare davvero la Francia come da
pronostico della vigilia. Almeno finché non succede qualcosa fra il prodigioso
e il sorprendente. Nell’incitamento assordante del pubblico l’arbitro scozzese
Leslie Mottram assegna un calcio di punizione alla Francia nei pressi della bandierina avversaria.
Il regolamento non scritto auspicherebbe che, per difendere il risultato, si
resti in possesso di palla più a lungo possibile, bloccando, di fatto, il gioco. Solo
che David Ginola, troppo Narciso per evitare l’avvenire gaudente, piuttosto di
ripassare il pallone al compagno in una banale inerzia di tedio, decide di scattare repintino verso la linea di fondo e mette in
mezzo la sfera dove però non c'è nessuno, un horror vacui maledetto per la Grandeur
transalpina perché la Bulgaria, a trenta secondi dallo scadere, ha un ultimo
giro di motore, e da squinternati circensi da baraccone con un paio di stelle sul tendone, leggono bene la profezia. Gerard Houllier, il tecnico francese, è impietrito in panchina, le sue coordinate cartesiane stanno per sbriciolarsi in uno psicodramma. Kremenliev lancia Penev che serve il solito Emil Kostadinov il
quale varca l’area di rigore e lascia partire un tiro che sbatacchia sulla
traversa ed entra in rete. Il cronometro segna 44.59. Bog e bulgarska urla al microfono il
telecronista della TV di Sofia. Si, Dio è bulgaro, è un editto.
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