Nelle giornate limpide d’estate,
al mare, riuscivo a vederla. Vedevo il suo dito roccioso indicare qualcosa
lassù verso l’alto del Tirreno, qualcosa che sulla cartina geografica dava una
sentenza inappellabile: la Corsica sembrava davvero puntualizzare il suo
vecchio legame con Genova. Perché la Corsica è un autentico pasticcio, un conflitto politico e culturale inscritto dentro la sua storia millenaria.
La Francia, nonostante tutto, qui non è mai stata di casa. C’è chi ha provato a stemperare
il conflitto nell’orizzonte della dualità, come il filosofo Jean Toussaint
Desanti, che nel suo libro "Effacer la mer" scrisse: “Ho messo di fronte l’inquietudine all’indeterminato. Non mi sento un
esiliato, ma il mio passato non lo posso nascondere”. Chi invece, come il
saggista Paul-François Paoli, ha sottolineato l’irriducibile diversità formativa:
“I corsi non si sentono francesi, non
riconoscono l’autorità e il governo di Parigi. Sono allergici alla
globalizzazione. L’unica cosa che vale per loro è la testa del moro, simbolo
dell’isola”. La Corsica è stata per anni, e per certi versi lo è ancora, seppure in tono minore, attraversata da
sentimenti secessionistici, scossa, turbata, mutilata da una serie di attentati, di bombe
esplose durante una dura guerra civile fra opposte fazioni di indipendentisti e
nazionalisti, che soprattutto verso la fine degli anni settanta sembrò conflittualità
apparentemente irrisolvibile, e il calcio, specchio e cassa di
risonanza delle dialettiche e delle dinamiche socio-culturali si prese la scena
attraverso una squadra invisa, insultata, denigrata, quando in campionato obbligatoriamente doveva sbarcare sul suolo francese. Va da sè che naturalmente il trattamento veniva ricambiato nelle partite interne dove i tifosi locali si dimostrarono sensibilmente appagati nel rendere
invivibili i pomeriggi degli avversari scesi con malcelato timore sull’isola.
Accadde un fatto: nel 1977 lo Sporting Club de Bastia, nato nel 1905 per intuito di Hans Ruesch, un professore di tedesco al liceo cittadino, maglia turchina con sul
petto il moro sbendato nel settecento dal patriota Pasquale Paoli arriverà terza in classifica qualificandosi alla Coppa Uefa guidata in panchina da Pierre Cahuzac,
allenatore inflessibile, intransigente, con i capelli impomatati e
tirati all’indietro, le rughe profonde a crepargli il viso rendendo gli occhi
scuri cavità oracolari, e infilato in un cappotto di montone indossato sopra la tuta da ginnastica
quando il maestrale decideva di soffiare impetuoso. Ma peggio del vento fu la notizia che il centravanti
mancino jugoslavo Dragan Dzajic aveva deciso di tornare a Belgrado alla Stella Rossa,
e a quel punto, a tutti, sembrò che l’avventura in Europa sarebbe stata gita breve, di quelle che fai da
scolaretto in pullman e gli insegnanti impazziscono per tenere a bada i più
casinisti e indisciplinati, in genere disposti a schiera sull’ultima fila di
sedili del mezzo. Ora, sui sedili (da stadio) ci sarebbe da ragionare. L'impianto del Bastia nel
1978 era una scatoletta vetusta di cemento e ferro, con i riflettori bassi, in cui
si incastravano a fatica 15000 persone, indefinite, vocianti, intente a
sbandierare il loro orgoglio, stipati fra una balaustra e un cartellone del Club
Méditerranée che invitava i potenziali telespettatori a rivolgersi a loro per
una ragguardevole vacanza in Corsica. E quando un giorno di luglio del 1977 mentre
Bastia arroccata sulla sua scogliera a picco sul mare e i palazzi color rosa e
terra bruciata faceva sfoggio di turisti, nei vicoli tortuosi di Porto Vecchio
spuntò un olandese, bello, biondo e con generalità da rockstar. Il presidente
del Bastia, Gilbert Trigano, aveva appena comprato dal Valencia Johnny Rep,
il “Martin
pescatore” come lo avevano soprannominato all’Ajax per la rapacità con cui si
lanciava sulla fascia lasciandosi alle spalle i difensori avversari, che
ricordava la foga con la quale questi uccelli si gettano nei fiumi in cerca di cibo. Ah, ovvio, a Bastia non c’era il Mellow Yellow, il
primo e celebre, tollerato, coffee-shop di Amsterdam, qui siamo sospesi fra
sacro e profano, tra santi e diavoli, tra massi erosi dal tempo e sabbia bianca, e Rep, accompagnato
dal direttore sportivo Jules Filippi si lasciò sballonzolare fra quel mosaico di
insenature, di baie e calette, vedendo a un tratto spuntare la sagoma dello stadio “Armand Cesari” di Furiani. Rep si guardò intorno, un po’ stranito, chiedendo: “Scusi eh, non per essere
pignolo, ma qui ci alleniamo vero?”. Non esattamente, lì si
faceva entrambe le cose, ci si allenava e ci si giocava, ma senza dubbio lo
stupore di Rep si placò facendo conoscenza con i nuovi compagni perché nel recinto del Furiani, dove il sole toccava i 40 gradi e la salsedine solleticava
le narici e riempiva i polmoni, c’era un discreto gruppo di calciatori che in quel momento
rappresentava l’identità dell’intera Corsica. Una squadra solida, ostica, ferina,
con qualche elemento di assoluto valore, dal portiere Pierrick Hiard, (inserito
da Cauzhac dopo che il titolare Marc
Weller lasciò intravedere inquietanti lacune) dallo stopper rude e coraggioso quanto
basta per diventare un idolo, Charles Orlanducci, detto anche “il leone di
Vescovato" (un paesino a pochi chilometri a sud di Bastia) dal centravanti François
“Fanfan” Félix, allo stempiato metronomo Claude Papi, alla coppia di
centrocampisti, Lacuesta e Larios, al
fisico sottile di Jean Marie De Zerbi, al giovanissimo marocchino Merry
“Krimau”. In soldoni, il Bastia, disconosciuto e vagamente disprezzato dalla nobiltà
continentale del pallone, si mise sulla mappa geografica della Coppa UEFA
1977/78 eliminando in fila e in maniera clamorosa lo Sporting Lisbona, il Newcastle United di Dave Creig e Marc McGhee, e il Torino di Pulici e Graziani, vincendo
in casa e fuori, ammutolendo sia l’urlo del San James’s, sia il ridondante
Comunale. Nei quarti il Bastia asfalterà il Carl Zeiss Jena e in semifinale la
complicata doppia gara contro gli svizzeri del Grassopphers sarà risolta grazie al siluro
in diagonale di Papi nella partita di ritorno, una gara condizionata da un terreno al
limite della praticabilità a causa delle copiose piogge primaverili che avevano
impantanato la Corsica. La rete mandò in estasi i tifosi “bastiacci” garantendo l'agognato biglietto per la finale. Johnny Rep, manco a dirlo, fu un
trascinatore, la vera cifra qualitativa del Bastia, pur sembrando giocare
sempre al risparmio, gradendo le zone del campo in ombra dalle canicole, se non che, appena
ricevuto il pallone fra i piedi offriva spettacoli incantevoli. Meno incantevole fu
quando decise di riaccompagnare la squadra in città guidando il bus al posto
dell’autista finché non venne fermato dai compagni di squadra dopo un paio di curve
decisamente troppo larghe. Oh, è vero, la finale. Va detto allorché capitano
queste occasioni irripetibili, non bisogna farsi trovare impreparati. Gilbert Trigano non ci pensò due volte e in vista della partita di andata
da disputarsi nel capoluogo corso contro il PSV Eindhoven chiamò il suo amico
regista cinematografico Jascques Tati per catturare sulla pellicola più riprese possibili di
quell’evento. Tati, appassionato di sport, accettò con entusiasmo e dal
montaggio nacque il documentario, Forza Bastia ‘78 “ou l’ile en
féte”. Ma siccome alla fine dei salmi la spuntarono gli olandesi e la delusione
per la sconfitta fu enorme, il filmato rimase nascosto in un cassetto degli
uffici del club per oltre vent’anni. A districare le bobine fu la figlia del
regista, Sophie Tatischeff, che finalmente rimontò le immagini assemblando un
racconto di circa 26 minuti. Nonostante la sconfitta, l'Équipe (nessuno fa le
copertine belle come loro..) pubblicò le righe del poeta Vittoriu d’Albitreccia
in lingua materna: “… Da Levante a
Punente, l’Auropa scummossa hà scupertu una squatra, un’isula, un populu è i
ghjurnali di tutti i paesi indicanu induv’ella si trova a CORSICA! Dimula
franca, hè questa a più bella vittoria di BASTIA!”.
Nessun commento:
Posta un commento