giovedì 11 marzo 2021

ALLEZ BASTIA


Nelle giornate limpide d’estate, al mare, riuscivo a vederla. Vedevo il suo dito roccioso indicare qualcosa lassù verso l’alto del Tirreno, qualcosa che sulla cartina geografica dava una sentenza inappellabile: la Corsica sembrava davvero puntualizzare il suo vecchio legame con Genova. Perché la Corsica è un autentico pasticcio, un conflitto politico e culturale inscritto dentro la sua storia millenaria. La Francia, nonostante tutto, qui non è mai stata di casa. C’è chi ha provato a stemperare il conflitto nell’orizzonte della dualità, come il filosofo Jean Toussaint Desanti, che nel suo libro "Effacer la mer" scrisse: “Ho messo di fronte l’inquietudine all’indeterminato. Non mi sento un esiliato, ma il mio passato non lo posso nascondere”. Chi invece, come il saggista Paul-François Paoli, ha sottolineato l’irriducibile diversità formativa: “I corsi non si sentono francesi, non riconoscono l’autorità e il governo di Parigi. Sono allergici alla globalizzazione. L’unica cosa che vale per loro è la testa del moro, simbolo dell’isola”. La Corsica è stata per anni, e per certi versi lo è ancora, seppure in tono minore, attraversata da sentimenti secessionistici, scossa, turbata, mutilata da una serie di attentati, di bombe esplose durante una dura guerra civile fra opposte fazioni di indipendentisti e nazionalisti, che soprattutto verso la fine degli anni settanta sembrò conflittualità apparentemente irrisolvibile, e il calcio, specchio e cassa di risonanza delle dialettiche e delle dinamiche socio-culturali si prese la scena attraverso una squadra invisa, insultata, denigrata, quando in campionato obbligatoriamente doveva sbarcare sul suolo francese. Va da sè che naturalmente il trattamento veniva ricambiato nelle partite interne dove i tifosi locali si dimostrarono sensibilmente appagati nel rendere invivibili i pomeriggi degli avversari scesi con malcelato timore sull’isola. Accadde un fatto: nel 1977 lo Sporting Club de Bastia, nato nel 1905 per intuito di Hans Ruesch, un professore di tedesco al liceo cittadino, maglia turchina con sul petto il moro sbendato nel settecento dal patriota Pasquale Paoli arriverà terza in classifica qualificandosi alla Coppa Uefa guidata in panchina da Pierre Cahuzac, allenatore inflessibile, intransigente, con i capelli impomatati e tirati all’indietro, le rughe profonde a crepargli il viso rendendo gli occhi scuri cavità oracolari, e infilato in un cappotto di montone indossato sopra la tuta da ginnastica quando il maestrale decideva di soffiare impetuoso. Ma peggio del vento fu la notizia che il centravanti mancino jugoslavo Dragan Dzajic aveva deciso di tornare a Belgrado alla Stella Rossa, e a quel punto, a tutti, sembrò che l’avventura in Europa sarebbe stata gita breve, di quelle che fai da scolaretto in pullman e gli insegnanti impazziscono per tenere a bada i più casinisti e indisciplinati, in genere disposti a schiera sull’ultima fila di sedili del mezzo. Ora, sui sedili (da stadio) ci sarebbe da ragionare. L'impianto del Bastia nel 1978 era una scatoletta vetusta di cemento e ferro, con i riflettori bassi, in cui si incastravano a fatica 15000 persone, indefinite, vocianti, intente a sbandierare il loro orgoglio, stipati fra una balaustra e un cartellone del Club Méditerranée che invitava i potenziali telespettatori a rivolgersi a loro per una ragguardevole vacanza in Corsica. E quando un giorno di luglio del 1977 mentre Bastia arroccata sulla sua scogliera a picco sul mare e i palazzi color rosa e terra bruciata faceva sfoggio di turisti, nei vicoli tortuosi di Porto Vecchio spuntò un olandese, bello, biondo e con generalità da rockstar. Il presidente del Bastia, Gilbert Trigano, aveva appena comprato dal Valencia Johnny Rep, il “Martin pescatore” come lo avevano soprannominato all’Ajax per la rapacità con cui si lanciava sulla fascia lasciandosi alle spalle i difensori avversari, che ricordava la foga con la quale questi uccelli si gettano nei fiumi in cerca di cibo. Ah, ovvio, a Bastia non c’era il Mellow Yellow, il primo e celebre, tollerato, coffee-shop di Amsterdam, qui siamo sospesi fra sacro e profano, tra santi e diavoli, tra massi erosi dal tempo e sabbia bianca, e Rep, accompagnato dal direttore sportivo Jules Filippi si lasciò sballonzolare fra quel mosaico di insenature, di baie e calette, vedendo a un tratto spuntare la sagoma dello stadio “Armand Cesari” di Furiani. Rep si guardò intorno, un po’ stranito, chiedendo: “Scusi eh, non per essere pignolo, ma qui ci alleniamo vero?”. Non esattamente, lì si  faceva entrambe le cose, ci si allenava e ci si giocava, ma senza dubbio lo stupore di Rep si placò facendo conoscenza con i nuovi compagni perché nel recinto del Furiani, dove il sole toccava i 40 gradi e la salsedine solleticava le narici e riempiva i polmoni, c’era un discreto gruppo di calciatori che in quel momento rappresentava l’identità dell’intera Corsica. Una squadra solida, ostica, ferina, con qualche elemento di assoluto valore, dal portiere Pierrick Hiard, (inserito da Cauzhac dopo che il titolare  Marc Weller lasciò intravedere inquietanti lacune) dallo stopper rude e coraggioso quanto basta per diventare un idolo, Charles Orlanducci, detto anche “il leone di Vescovato" (un paesino a pochi chilometri a sud di Bastia) dal centravanti François “Fanfan” Félix, allo stempiato metronomo Claude Papi, alla coppia di centrocampisti, Lacuesta e Larios,  al fisico sottile di Jean Marie De Zerbi, al giovanissimo marocchino Merry “Krimau”. In soldoni, il Bastia, disconosciuto e vagamente disprezzato dalla nobiltà continentale del pallone, si mise sulla mappa geografica della Coppa UEFA 1977/78 eliminando in fila e in maniera clamorosa lo Sporting Lisbona, il Newcastle United di Dave Creig e Marc McGhee, e il Torino di Pulici e Graziani, vincendo in casa e fuori, ammutolendo sia l’urlo del San James’s, sia il ridondante Comunale. Nei quarti il Bastia asfalterà il Carl Zeiss Jena e in semifinale la complicata doppia gara contro gli svizzeri del Grassopphers sarà risolta grazie al siluro in diagonale di Papi nella partita di ritorno, una gara condizionata da un terreno al limite della praticabilità a causa delle copiose piogge primaverili che avevano impantanato la Corsica. La rete mandò in estasi i tifosi “bastiacci” garantendo l'agognato biglietto per la finale. Johnny Rep, manco a dirlo, fu un trascinatore, la vera cifra qualitativa del Bastia, pur sembrando giocare sempre al risparmio, gradendo le zone del campo in ombra dalle canicole, se non che, appena ricevuto il pallone fra i piedi offriva spettacoli incantevoli. Meno incantevole fu quando decise di riaccompagnare la squadra in città guidando il bus al posto dell’autista finché non venne fermato dai compagni di squadra dopo un paio di curve decisamente troppo larghe. Oh, è vero, la finale. Va detto allorché capitano queste occasioni irripetibili, non bisogna farsi trovare impreparati. Gilbert Trigano non ci pensò due volte e in vista della partita di andata da disputarsi nel capoluogo corso contro il PSV Eindhoven chiamò il suo amico regista cinematografico Jascques Tati per catturare sulla pellicola più riprese possibili di quell’evento. Tati, appassionato di sport, accettò con entusiasmo e dal montaggio nacque il documentario, Forza Bastia ‘78 “ou l’ile en féte”. Ma siccome alla fine dei salmi la spuntarono gli olandesi e la delusione per la sconfitta fu enorme, il filmato rimase nascosto in un cassetto degli uffici del club per oltre vent’anni. A districare le bobine fu la figlia del regista, Sophie Tatischeff, che finalmente rimontò le immagini assemblando un racconto di circa 26 minuti. Nonostante la sconfitta, l'Équipe (nessuno fa le copertine belle come loro..) pubblicò le righe del poeta Vittoriu d’Albitreccia in lingua materna: “… Da Levante a Punente, l’Auropa scummossa hà scupertu una squatra, un’isula, un populu è i ghjurnali di tutti i paesi indicanu induv’ella si trova a CORSICA! Dimula franca, hè questa a più bella vittoria di BASTIA!”.

 

 

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